Manuela Cartosio, il manifesto, 5/6/2009, 5 giugno 2009
L’ENERGETICO SORPASSO
Per la prima volta nel 2008 le fonti rinnovabili hanno attratto più investimenti di quelle fossili. A registrare il sorpasso è un rapporto dell’Onu che quantifica in 250 miliardi di dollari gli investimenti totali nel settore della produzione dell’energia elettrica. Di questi, 140 sono stati destinati all’eolico, al solare e alle altre fonti verdi. I restanti 110 miliardi sono andati al carbone, al gas e ai derivati dal petrolio. Il sorpasso, purtroppo, rischia d’essere effimero (o attenuato). Nel primo quadrimestre del 2009 gli investimenti nelle fonti rinnovabili sono crollati del 53%, per effetto incrociato della crisi economica e del crollo del prezzo dei petrolio. Pur essendoci segnali di ripresa, si prevede che nel 2009 i capitali attratti dalle energie pulite diminuiranno di un quarto rispetto all’anno precedente.
A "tirare" il sorpasso nel 2008 sono stati i paesi in via di sviluppo, Cina in testa. L’Europa, con 50 miliardi di dollari, resta il continente che in cifra assoluta spende di più in energie pulite (+2% rispetto al 2007). L’America si è fermata a 30 miliardi (-8%). I paesi in via di sviluppo hanno investito 36 miliardi di dollari, ma con un balzo percentuale del 27%. La Cina, da sola, ha speso 15 miliardi di dollari, soprattutto in parchi eolici (raddoppiando la potenza installata) e nelle biomasse. L’India ha investito 4 miliardi in energie verdi (+12%) e, anche in questo caso, oltre la metà della somma è finito nel settore eolico. Il rapporto dell’Onu segnala l’affacciarsi sulla scena delle energie verdi di alcuni paesi dell’Africa (Kenya e Angola).
In cifra assoluta la parte del leone l’ha fatta l’energia eolica: ha assorbito 50 miliardi di dollari, con un modesto incremento (1%) rispetto al 2007. Il solare ne ha attratti meno (33 miliardi), registrando però uno straordinario +50% sull’anno precedente. Pur restando il terzo settore d’investimento (quasi 17 miliardi), i biofuel hanno risentito parecchio (-9%) della crisi di sovraproduzione negli Usa e dell’accusa d’aver contribuito all’innalzamento dei prezzi dei generi alimentati. Un’accusa sicuramente fondata per il bioetanolo di prima generazione, come quello ottenuto dal mais.
Pur rallegrandosi per il sorpasso, l’Onu ribadisce che i 140 miliardi spesi in energie verdi nel 2008 sono insufficienti. Per arginare l’emissione di gas serra e mitigare i cambiamenti climatici nel triennio 2009-2011 andrebbero investiti globalmente 750 miliardi di dollari in fonti non fossili.
Restiamo nella green economy per segnalare un inedito sondaggio realizzato tra 1.200 occupati nel settore. L’hanno realizzato l’Acre Resourcies, un’agenzia di ricerca del personale, e Acona, un’agenzia di consulenza. Lo stipendio medio di un green collar (stiamo parlando di tecnici e laureati, sia chiaro, non di operai) si aggira sui 76 mila dollari l’anno. Si va dai 100 mila dollari negli Usa ai 41 mila nei paesi asiatici. Come succede in qualsiasi azienda, le buste paga più gonfie, rimpinguate dai benefits, spettanto a chi lavora nel settore legale e della finanza. Tre quarti degli intervistati sono maschi. Le donne green collar, pur in crescita, restano una minoranza e guadagnano mediamente il 18% in meno dei colleghi. Il 75% degli intervistati è soddisfatto del suo lavoro, il 93% consiglia una carriera nella green economy, il 68% pensa d’avere un posto di lavoro sicuro, addirittura «più sicuro» di un anno fa. I colletti verdi sono l’unica categoria che si sente al riparo dalla crisi.