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 2009  giugno 05 Venerdì calendario

I RUSSI SCARICANO I DEBITI DENTRO OPEL


Può una società in stato prefallimentare rilevarne un’altra quasi fallita? Pare di sì, visto quel che sta accadendo in questi giorni attorno alla grande ammalata dell’auto europea, la Opel. Dietro al ripensamento con cui di fatto mercoledì la Germania ha riaperto la gara-non-gara per la Casa del Fulmine c’è in realtà la situazione di degrado finanziario in cui versa l’impero del magnate russo dell’alluminio, Oleg Deripaska. Nei guai è la capogruppo, la Basic Element holding, gravata da debiti per 30 miliardi di dollari e la Gaz, società automobilistica russa di Nizhnij Novgorod, città natale dell’oligarca russo caduto in disgrazia. Ebbene la Gaz è da tempo a corto di ossigeno e può continuare l’attività industriale per il solo fatto di aver ricevuto il mese scorso un finanziamento straordinario da un miliardo di dollari erogato da Sberbank, come riferiva ieri l’edizione online del giornale tedesco Die Welt. Guardacaso la Sberbank si trova in cordata con la Gaz per ”salvare” la Opel dal crac.

Ma non è tutto: anche l’altro socio ”forte” della cordata, la Magna, è in rapporti strettissimi con il sistema industrial-finanziario dell’ex Urss. Fino allo scorso autunno, infatti, Deripaska ne controllava il 20% del capitale. Poi, quando il suo impero ha cominciato a dare i primi segnali di un possibile e imminente crollo, la quota è stata data in pegno al pool di 70 banche incaricate di ristrutturare il debito della Basic Element holding.

D’altra parte la collaborazione fra Gaz e Magna è addirittura precedente: la società austro-canadese era coinvolta nella realizzazione della berlina Volga Siber, che utilizzava il pianale della Chrysler Sebring.

Ma i soldi pompati di recente nelle esangui casse dell’oligarca, hanno evitato il crac ma non lo spezzatino. Dall’inizio di marzo, infatti, la solita Sberbank, sta trattando con Gazprombank, il braccio finanziario del monopolista di stato del gas, per la cessione della compagnia petrolifera Russneft, di cui per altro Gazprom ha già in pegno tutte le azioni. Né vanno meglio le cose per l’auto: entro il 15 luglio diventeranno effettivi i tagli del piano di salvataggio di Gaz. Seimila e settecento operai licenziati, impianti fermi fino a nuovo ordine.

Un pasticcio industrial-finanziario che ha sullo sfondo i poteri forti di Mosca. Ma che non è né il primo né l’ultimo a verificarsi da quelle parti. Sennonché questa allegra compagnia, Magna ”rinforzata” da Gaz e Sberbank, si è aggiudicata la gara-non-gara per Opel. Facile capire perché Berlino voglia riaprire la corsa. I motivi sono forti. Al punto da far dire al nostro ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, che nulla è deciso: «Fiat non ha chiesto nulla al governo e il governo non poteva intervenire. stata una partita giocata tra il governo russo, americano e tedesco ma è una partita ancora aperta».

Non a caso proprio ieri dalla santa alleanza austro-russo-canadese è arrivato un nuovo rilancio. Sberbank e Magna daranno 500 milioni di euro in contanti alla Opel, anziché i 300 previsti. Lo ha detto il presidente di Sberbak, Gherman Gref. «L’operazione avverrà in modo proporzionale alle quote detenute, noi il 35%, Magna il 20%», ha aggiunto parlando al Forum economico internazionale di San Pietroburgo. Puntualizzando però che l’istituto moscovita «non resterà un partner strategico in questa operazione».

Lecito a questo punto chiedersi quale sia la logica che ha indotto le parti in causa a consegnare la Casa del fulmine a una cordata che porta in dote soprattutto dei debiti e può solo sperare di impadronirsi delle tecnologie tedesche per rianimare le auto ”made in Siberia”. Proviamo a rispondere.

I Länder tedeschi hanno così come interlocutore un gruppo debole, su cui possono fare tutte le pressioni che vogliono per ridurre al minimo i tagli al personale Opel. E la General Motors, ha di fatto parcheggiato la ex controllata nelle mani di un gruppo dal quale potrà ricomprarla a prezzi da saldo, non appena chiusa la bancarotta pilotata negli Usa. Chiaro a questo punto per qual motivo Marchionne abbia detto basta. Evitando di trascinare la Fiat in un pasticcio internazionale.