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 2009  giugno 05 Venerdì calendario

LO STAFF «BOCCIO’» D’ALEMA PER PALAZZO CHIGI «MEGLIO IL QUIRINALE»


I piani di Rondolino e Velardi nel ”97: lì si lavora troppo

«Il partito, inteso come ceto politico, è un cane morto. Il suo stato è sotto ogni punto di vista desolante: il gruppo dirigente nazionale è in buona parte formato da inetti, i gruppi dirigenti locali sono del tutto al di sotto della funzione. Sarebbe illusorio credere che la nascita della Cosa 2 possa diventare l’occasione per una rifondazione del partito, che non può essere rianimato. Dobbiamo aggirare l’ostacolo. Si potrebbe parlare di una crescente ’staffizzazione’ del Pds. Dobbiamo pensare il Pds come una delle componenti del comitato elettorale di Massimo D’Alema». Con un obiettivo ambizioso: «Più che Palazzo Chigi, il Quirinale ».

Fa uno strano effetto, rileggere dodici anni dopo il documento riservato – e inedito – scritto per D’Alema nel luglio 1997 e firmato «fr&cv», che non è peregrino identificare in Fabrizio Rondolino e Claudio Velardi. Venti pagine pubblica­te in appendice a Il fantasma del leader, il saggio – ottimo – di Alessandra Sar­doni, inviata e conduttrice della Sette, che Marsilio manderà in libreria la prossi­ma settimana.

Il documento è un’alternanza di previ­sioni giuste e sbagliate, di intuizioni e di illusioni. Fr&cv prevedono «un biennio di sostanziale stabilità». «Per i prossimi due anni non dovremo aspettarci scon­quassi né fatti clamorosi». Sbagliato: po­co più di un anno dopo, Prodi cadrà, so­stituito proprio da D’Alema. Ma l’orizzon­te additato dallo staff non è la presidenza del Consiglio. Certo, si identifica l’interlo­cutore tra i cattolici in Franco Marini, «che è la forza più strutturata». Ma, sicco­me dalla Bicamerale uscirà un assetto se­mipresidenzialista, nel ”99 ci saranno ele­zioni anticipate, con due poltrone in pa­lio, Palazzo Chigi e il Quirinale. Ebbene: «D’Alema correrà per il Quirinale». Per­ché «puntare tutto sulla guida del gover­no può rivelarsi azzardato: dopo uno o due anni la crisi può scoppiare, e il reinca­rico diventa difficoltoso se non presso­ché impossibile» (e in effetti l’esperienza di D’Alema al governo finirà dopo un an­no e mezzo). Inoltre, «i ritmi di lavoro di Palazzo Chigi sono massacranti. D’Alema è un buon lavoratore, ma il suo tempo è organizzato in modo particolare: a fasi ’intensive’ si affiancano fasi di inattività pressoché totale». bene quindi «trova­re un’attività più adatta a questo stile e a questi ritmi». Meglio lasciare al suo po­sto Prodi, di cui converrà «capitalizzare i successi», ma con cui ci si potrà scontra­re. «Non dobbiamo scartare Palazzo Chi­gi, anzi dobbiamo lasciare che si creda che questo è l’obiettivo. E insieme dob­biamo coltivare l’immagine ’presidenzia­le’ di D’Alema». Anche perché «per il Po­lo sarà impossibile impostare una campa­gna elettorale quarantottesca», cioè anti­comunista, «dopo aver lavorato al fianco di D’Alema-presidente della Bicamerale per fare le riforme». E poi «D’Alema è ’giovane’. Dopo i capelli e le sciarpe bian­che di Scalfaro, un ’giovane’ al Quirinale è una svolta radicale». Moglie e figli fan­no la loro parte: «L’immagine della first-family, giovane e bella, è un fattore essenziale nell’elezione diretta. Né Berlu­sconi e né Fini sono competitivi». Il Cava­liere però rappresenta, sotto certi aspetti, un modello: «Come il Berlusconi dei tem­pi d’oro, D’Alema deve rivolgersi agli ita­liani, non alla sinistra; non al proprio ’po­polo’, ma ai giovani o ai pensionati» (me­glio i primi dei secondi: «Per quanto la contrapposizione giovani-vecchi possa essere antipatica, è proprio su questo che dobbiamo insistere»). Ma il vero model­lo è ancora più ambizioso: «Dobbiamo ri­flettere sulla figura e il percorso di Mitter­rand. Con D’Alema ci sono interessanti analogie...».

I giudizi sulle persone sono spietati. «La politica culturale di Veltroni è prote­zionista e assistenzialista sembrerebbe un mix di salotti buoni e invecchiati del­l’intelligenza di sinistra e sottopotere de­mocristiano ». Però «nei prossimi mesi e anni D’Alema non sarà mai più coinvolto in una polemica del tipo di quelle che l’hanno contrapposto a Veltroni. La lea­dership non è minimamente in discussio­ne: è dunque sciocco dare l’impressione del contrario». Quanto a Dini e Maccani­co, «basta poco per averli fedeli». E Berti­notti? «Nei nostri discorsi c’è ancora un (sacrosanto) disprezzo per Rifondazione: tuttavia è sciocco pensare a una separa­zione dei destini. Dobbiamo servirci di Ri­fondazione esattamente come ci servia­mo di Dini o di Di Pietro». «L’operazione Di Pietro», cooptato nel centrosinistra, «è un modello. morotea nel senso del­l’inclusione all’interno del sistema di una scheggia potenzialmente eversiva». Re­stano due ostacoli: il sindacato e i giorna­listi. «Per fare dell’Italia un Paese moder­no, dobbiamo scontrarci con il sindaca­to. Il sindacato è l’ultimo baluardo della conservazione. La normalizzazione del sindacato è il nostro compito». Invece, «nei confronti dei media dobbiamo ope­rare una svolta radicale. Noi non dobbia­mo cambiare i giornali; dobbiamo prima di tutto sedurre i giornali, per potercene servire. Il nostro dev’essere un atteggia­mento egemonico. Non dobbiamo eserci­tare un comando. Dobbiamo invece asse­condarne gli umori. I giornalisti non van­no brutalizzati: vanno blanditi e vezzeg­giati. Bisogna essere sempre sorridenti. Bisogna avvicinarsi a loro senza scorte e a passo lento. Se incontrati in luoghi o orari disagevoli vanno salutati con simpa­tia, persino invitati a prendere un caffè». Persino. «Insomma, l’immagine di D’Ale­ma come nemico dei giornalisti va rove­sciata (non sarà per niente facile…)». L’obiettivo finale è «portare alla guida del Corriere e di Repubblica due direttori di garanzia, avversi al qualunquismo pet­tegolo che costituisce oggi la cifra di que­sti due quotidiani. Non ci servono due di­rettori amici di D’Alema; ci servono due direttori che riconoscano il primato della politica». Ma il vero avversario è il carat­tere del capo, forse la sua stessa natura: «D’Alema è assai più ’anti-italiano’ che ’italiano’. Suscita/può suscitare lonta­nanza, antipatia, diffidenza. Dobbiamo correggere questa percezione», per «se­durre la gente, il segmento basso della popolazione». «D’altro canto, non è possi­bile costruire un D’Alema ’piacione e vel­troniano”. Meglio puntare sulla serietà, ’evidenziare qualche debolezza’, ’lavora­re sulle fotografie’ (in famiglia, a casa, al mare), sui media di target medio-basso, sulla tv popolare (Costanzo). Frasi più brevi, parole più semplici. Lo sguardo de­ve cambiare; c’è spesso, al termine di una risposta, uno sguardo come di autocom­piacimento, come di ricerca dell’applau­so, che va cancellato. Il corpo dev’essere meno rigido, le mani devono muoversi con più libertà e familiarità; anche la te­sta può muoversi più liberamente: un movimento dolce dal basso in alto, come di un gatto che fa le fusa, è un esempio possibile». E poi «dovremo studiare qual­che ’evento’ che definisca emblematica­mente qualche nuova immagine: la ricet­ta di cucina è l’esempio più immediato». Mancano appena tre mesi al filmato del risotto.