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 2009  giugno 05 Venerdì calendario

5/6/2009


L’amico che vorrei a fianco
ABRAHAM B. YEHOSHUA

Da cosa si riconosce un vero amico? Dal fatto che chi si definisce tale crede e ha fiducia in te, si preoccupa dei tuoi veri bisogni, anche a lungo termine, ti indica onestamente i tuoi errori e cerca di aiutarti a correggerli. Questo è l’amico che vorrei al mio fianco. Non chi approva automaticamente qualunque cosa io faccia, dichiara il suo amore per me e mi accetta così come sono. A partire dalla grande vittoria militare di Israele nel 1967, quando venne respinta la grave minaccia militare rappresentata da Egitto, Siria e Giordania che proclamarono apertamente di volere distruggere lo Stato ebraico e concentrarono grandi eserciti lungo il suo confine, Israele è precipitato in un vortice ideologico e militare innescato dalla conquista di vasti territori durante quel conflitto.

Doveva considerare fin dal principio quelle regioni come merce di scambio e indurre il mondo arabo e i palestinesi a cercare la pace. E invece Israele - vuoi per sfiducia nei confronti delle vere intenzioni dei suoi nemici e del loro impegno a rispettare fedelmente un’eventuale intesa di pace, vuoi per la sua aspirazione ad annettersi quei territori (soprattutto quelli con un significato storico e religioso) - ha iniziato una politica di insediamenti e creato una realtà difficile da sovvertire.

Tali comunità civili erano, e sono tuttora, irrilevanti per la sicurezza dello Stato ebraico. Al contrario. Poiché ubicate nel cuore della popolazione palestinese sono obiettivo di attacchi terroristici e richiedono speciali misure di difesa e l’impegno di ingenti forze militari in compiti di sorveglianza e pattugliamento. Anche sulle alture del Golan, dove non c’è una presenza siriana, i centri ebraici situati a pochi chilometri da enormi concentrazioni di truppe siriane rappresentano un intralcio poiché, in caso di guerra, l’esercito israeliano si vedrebbe costretto ad evacuarli rapidamente, come è avvenuto nella guerra del Kippur nell’ottobre del 1973.

Gli insediamenti israeliani acuiscono dunque l’odio dei palestinesi verso Israele. Infatti, oltre a occupare le loro terre, a sfruttare le loro risorse idriche e a imporre limiti alla loro libertà di circolazione, essi simboleggiano la volontà dello Stato ebraico di restare, la sua riluttanza a concedere l’indipendenza al popolo palestinese, anche qualora questi ne riconoscesse la legittimità e si mostrasse disposto a una convivenza pacifica.

Israele ha investito grandi risorse finanziarie in quegli insediamenti, spesso ignorando importanti bisogni interni o lo sviluppo di centri abitati entro la linea verde. I coloni, in gran parte sostenitori di movimenti e partiti religiosi-nazionalisti, ostentano sovente un atteggiamento di superiorità nei confronti delle autorità israeliane, pretendono uno status speciale non solo rispetto ai palestinesi ma anche rispetto agli altri cittadini israeliani e, come possiamo renderci conto in questi giorni, c’è chi, fra loro, nemmeno riconosce più l’autorità giuridica dello Stato israeliano. Ciò che è difficile da accettare, ed è fonte di preoccupazione, è che se quegli insediamenti continueranno ad ampliarsi la soluzione di due Stati per due popoli sarà compromessa e, prima o poi, tra il Giordano e il Mar Mediterraneo si estenderà un unico Stato popolato da due etnie che, in ragione della crescita demografica palestinese, a poco a poco si trasformerà in uno Stato a maggioranza palestinese. Una ricetta sicura per la fine di Israele.

La maggior parte degli israeliani ha ormai compreso tutto ciò eppure, come un tossicodipendente schiavo della droga, non è in grado di dire: basta, abbiamo commesso un errore a cui occorre porre rimedio prima che sia troppo tardi. vero, quando fu firmato l’accordo di pace con l’Egitto coloni ebrei furono evacuati a forza dai territori del Sinai. E quando la situazione delle comunità civili ebraiche della Striscia di Gaza divenne insopportabile il leader della destra Ariel Sharon sgomberò a forza novemila coloni che vivevano frammisti a un milione e mezzo di palestinesi: un evento traumatico che ha lasciato cicatrici in entrambe le parti. Ma in Cisgiordania vivono 250.000 israeliani e la loro evacuazione potrebbe innescare una guerra civile.

Tutti gli Stati del mondo disapprovano gli insediamenti israeliani sorti dopo la Guerra dei Sei giorni, e fra questi gli Stati Uniti. Eppure, malgrado in passato i governanti a Washington abbiano avuto l’opportunità di far valere la loro influenza, hanno preferito permettere a Israele, Stato alleato e amico, di fare ciò che voleva. arrivato il momento della verità ed è un bene che un leader saggio e coraggioso quale Barack Obama che (non ne ho alcun dubbio) ancor prima che il rafforzamento della sua nazione agli occhi del mondo musulmano vede il bene di Israele e la sua sicurezza, proclami: basta, voi non fate che del male a voi stessi, danneggiate il vostro futuro. Pur non credendo a una genuina volontà di pace dei palestinesi, alla loro capacità di tenere a bada le organizzazioni terroristiche e a una sincera rinuncia alla pretesa del diritto del ritorno dei profughi, potete sempre garantire la vostra sicurezza grazie a una presenza militare nei territori palestinesi ed evitare di pregiudicare un’eventuale pace e la creazione di due Stati con ulteriori ampliamenti di insediamenti comunque inutili.

Con un appello tanto diretto e chiaro al governo israeliano non solo il Presidente statunitense ha espresso ciò che gran parte degli israeliani ha nel cuore ma ha dato prova della sua profonda amicizia con lo Stato ebraico.