Massimo Calandra, la Repubblica 05/06/2009, 5 giugno 2009
DAKAR, LA GRANDE MURAGLIA DEGLI ALBERI
In meno di un anno, duemila ettari di piante di gomma arabica hanno messo radici robuste nella regione di Louga, Senegal. Sono il primo "mattone" della Grande Muraglia Verde africana, sono la conferma che nulla è impossibile. Che anche il più visionario dei sogni potrebbe presto trasformarsi in realtà, salvando una terra ormai allo stremo e - forse - cambiando i destini del mondo. Altri semi e giovani esemplari sono stati piantati in Mauritania, in Ciad, in Etiopia, Mali, Niger, Burkina Faso, Sudan, Eritrea. Nonostante un cielo asciutto e spietato, alla frontiera del deserto sta germogliando un´immensa barriera di alberi ed arbusti. Dall´Atlantico all´Oceano Indiano, da Dakar a Gibuti. Settemila chilometri in lunghezza e quindici in larghezza, attraverso undici nazioni diverse ma tutte d´accordo. Un muro vivente che non divide e non isola, al contrario: unisce un continente nella lotta alla desertificazione e alla diaspora. Secondo la Banca Mondiale e gli Stati africani coinvolti nell´operazione, questa prossima cintura di acacie, baobab, agrumeti, piante medicinali, nuove ed antiche coltivazioni, terrà lontano la progressiva e devastante avanzata del Sahara, che ogni anno divora una superficie pari a quella di tutto il Lazio. Fermerà l´esodo verso l´Europa e i grandi centri della popolazione rurale, che rappresenta ancora il 75% di quella complessiva del continente. Il presidente senegalese Abdoulaye Wade l´ha definito «la sfida ambientale dell´Africa». I primi risultati del progetto della Grande Muraglia Verde hanno inaugurato il Festival africano sull´ecologia e lo sviluppo sostenibile, appuntamento che si è tenuto in questi giorni a Mohammedia, venti chilometri da Casablanca. In Marocco, paese che sta scoprendo una vocazione ambientalista grazie anche e soprattutto alle capacità persuasive del rampollo di una delle più influenti famiglie locali. Moundir Zniber, presidente dell´Associazione per un Marocco Verde, ha prima ottenuto la conversione "eco" della multinazionale Chaabi. Ed ha poi provocatoriamente organizzato il Festival nel centro più inquinato del Maghreb: un crocevia di pipe-line petrolifere, centrali elettriche e a carbone, raffinerie, aziende chimiche.
Nel cuore del complesso industriale è stato seminato a tempo di record un grande prato, utilizzando quel materiale rivoluzionario - il polyter - che dovrebbe rappresentare la formula magica per un rapido attecchimento della Grande Muraglia: piccoli cristalli in grado di assorbire e conservare straordinarie quantità d´acqua, permettendo al loro interno una fenomenale crescita delle radici. Bastano due litri - invece dei cinquanta normalmente necessari - perché un pomodoro cresca rigoglioso. Il sistema, dalla ecosostenibilità garantita, è lo stesso che in questi anni ha ingigantito le oasi del Dubai. E se poche gocce di pioggia permettono lo sviluppo della pianta, gli africani scommettono che quelle che cadranno nella futura fascia verde - dai 100 ai 400 millilitri annuali - saranno più che sufficienti. Al centro del surreale prato del Festival di Mohammedia, circondato da ciminiere sbuffanti e con un oleodotto che ne delimitava il perimetro, tende berbere arredate con sedie e scrivanie in cartone riciclato hanno ospitato tavole rotonde, proiezioni di documentari, esposizioni artistiche. Venti paesi africani, insieme ad alcune delegazioni europee, hanno partecipato. Aggirandosi fra gli stand, scoprendo le centinaia di associazioni ecologiste attive nel continente, si respirava la consapevolezza dei presenti di essere protagonisti di qualcosa di decisivo. Secondo Moundir Zniber, «l´Africa è il continente più ricco dal punto di vista naturale. E il meno sviluppato. L´Occidente è al collasso: si ritrova a bordo di un aereo, ma senza pista di atterraggio. E´ allora qui, in Africa, che si gioca il futuro prossimo del mondo». Ventisei anni, padre nordafricano e madre parigina, studi in Francia e cuore in Marocco, grazie anche alle buone relazioni della famiglia si è ritagliato un ruolo di guru nella classe dirigenziale del suo paese. «Davanti agli occhi abbiamo l´esempio negativo dei fratelli europei. Noi possiamo ancora crescere, ma in una maniera sostenibile». Sostiene che è soprattutto una questione di cultura, quella che permetterà agli africani di non cadere negli stessi errori occidentali. Semplici buone intenzioni? Nel corso del festival, il gruppo Chaabi - industria, immobiliare, turismo, distribuzione - ha sottoscritto un impegno ufficiale a produrre per i prossimi quindici anni in maniera redditizia ma "pulita", secondo i parametri internazionali. E il primo mattone della Grande Muraglia ha cominciato a germogliare.