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 2009  giugno 02 Martedì calendario

A CHI S’APPELLA

L’APPELLANTE

Michele Ainis


Manifestare significa rovesciarsi nelle piazze, percorrerle in corteo, urlare slogan col ritmo d’un tamburo. Ma c’è chi manifesta restandosene in poltrona a gambe accavallate. Questo privilegio tocca a una speciale fauna umana, comunemente nota con l’ambiguo epiteto di intellettuali. Per loro - soltanto per loro - manifestare significa firmare manifesti, pronunciamenti collettivi, appelli.
Ecco, gli appelli. Non fai in tempo a girarti e te ne cade sul groppone una secchiata. Appelli contro il supermanager ai Beni culturali (associazione Bianchi Bandinelli, 7 mila adesioni). Contro il ponte sullo Stretto (l’iniziativa è di Liberazione). Contro il ritorno al nucleare (Legambiente). In difesa della Costituzione (Libertà e giustizia). Per non lasciare gli extracomunitari senza cure (Federazione dei pediatri, 90 mila firme). Contro il referendum, o altrimenti in favore, oppure per organizzare l’astensione. Ma corrono in rete anche appelli per fermare la produzione dei cacciabombardieri JSF, o di solidarietà al movimento animalista in Austria. Pare infatti che oltralpe sia in corso una violenta repressione, magari staranno usando l’aeronautica.
C’è un mutamento antropologico dietro questi fenomeni inflattivi. Un tempo l’appello seguiva fatti eccezionali, e sanciva inoltre una rottura fra la cultura e la politica, fra gli intellettuali e i signori della legge. Aveva queste due caratteristiche il suo più celebre antenato, l’appello diffuso il 15 gennaio 1898 per la revisione del processo Dreyfus, due giorni dopo la pubblicazione del «J’accuse» di Zola. Oggi no, non è questa la regola. Perché appelli e petizioni non servono al convento, servono ai frati. «Chi non firma si rafferma», titola un paragrafo del libro che Oliviero Beha ha appena dedicato alla metamorfosi degli intellettuali (I nuovi mostri, Chiarelettere, 279 pagg., 13,60 euro). Un libro caustico e dolente, che punta l’indice contro la scomparsa dei cavalieri solitari, sostituiti dai pifferai di questo o quel partito.
La vera libertà è la libertà di non schierarsi, diceva a propria volta Adorno. Ma a quanto pare non interessa più nessuno. Precisamente a questo mirano gli appelli: sono ormai uno specchio collettivo, da un lato per celebrare l’autostima, dall’altro lato per farsi riconoscere dal branco. E dunque a chi s’appella l’appellante? Ma a se stesso, ovvio. Il nuovo appello è l’appello di Narciso.
michele.ainis@uniroma3.it