Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  giugno 04 Giovedì calendario

IN CRISI IL MITO DEL BISTROT: CHIUDONO SEI LOCALI AL GIORNO


PARIGI – «Parigi è una festa mobile», scriveva Hemingway, pensando alla miriade di terraz­ze, caffè, bar, bistrot e brasserie in cui scorre dall’alba al tramon­to la magia della Ville Lumiére. Lui, Fitzgerald e Gertrude Stein s’incontravano al Select, alla Ro­tonde, al Flore. Popolari, lettera­ri, turistici, intellettuali, sempli­ci o carichi di decorazioni e specchi che amplificano lo spa­zio, immortalati da poeti e pitto­ri, da secoli i bistrot parigini rappresentano l’anima della ca­pitale e una tradizione della Francia. Nessuno riuscirebbe a credere che la «festa mobile» sia minacciata da tanti nemici: crisi economica, cambiamento delle mode e dei gusti, normati­va antifumo, rivoluzione delle abitudini della clientela, ritmi di vita sempre più veloci, costi di gestione. Ma le cifre sono im­pietose: sei chiusure in media al giorno, duemila l’anno scor­so. «Rimangono» trentottomila esercizi in Francia: erano mez­zo milione all’inizio del secolo scorso, duecentomila negli An­ni 60, cinquantamila ancora due anni fa.

Più colpiti la provincia e i pic­coli centri, ma anche nella capi­tale chiusure e fallimenti sono numerosi. In genere, non cam­bia nella sostanza la destinazio­ne d’uso, ma l’ambiente non è più lo stesso. Il tradizionale bi­strot di quartiere è rimpiazzato da altri generi di ambienti. Avanzano, come cavallette, su­shi bar, cucina fusion, pizzerie italiane, kebab. Prendono pie­de catene alimentari come ste­ak house e fast food. E il cliché romantico popolare – camerie­ri con gilet neri e grembiuli lun­ghi, baguette e uova sode, fu­mo di mille «Gitanes» – viene soppiantato da arredi, insegne e architetture che rubacchiano un po’ dovunque stili e inseguo­no tendenze. Angoli della «fe­sta mobile» cominciano a omo­­logarsi, come la cucina, a tanti angoli del pianeta. Parigi diven­ta un po’ Manhattan, un po’ To­kyo, un po’ Milano.

Anche il personale cambia: modelle e studentesse servono nei locali più alla moda e non raramente sono più attraenti del menù. La ristorazione velo­ce subisce la trasformazione in­dustriale, il trionfo dei piatti precotti, la dittatura del micro­onde e della banalità. E i locali che resistono a tutte le epoche – Les Deux Magots, le Flore, Lipp, la Rotonde per citare i più famosi – conservano ambien­te e stile, ma hanno cambiato clientela: una fauna eterogenea di turisti stranieri. Il dopo shop­ping ha sostituito il dopo tea­tro, la conversazione al cellula­re la lettura di Le Monde, che si ostina però a uscire il pomerig­gio.

«I bistrot pagano l’incapacità di adeguarsi alle nuove forme di ristorazione e al divieto di fu­mo », spiega l’esperto, Bernard Boutboul, direttore di un cen­tro studi del settore. «Il fenome­no è allarmante – ha detto Ber­nard Quartier, presidente del­l’associazione che raccoglie qua­rantunmila esercizi, discoteche comprese ”. I bistrot sono in gran parte responsabili della cri­si. Il consumatori non vogliono più soltanto bere un caffè e fu­mare. In molti esercizi, l’offerta di consumazioni veloci è di qua­lità modesta e i servizi lasciano a desiderare». A quanto pare, i «bistrot» che resistono meglio sono quelli che hanno ampliato l’offerta: introducendo la ricevi­toria del lotto, la rivendita di giornali, lo schermo piatto per le partite di calcio e rugby, il brunch della domenica. Appun­to trasformandosi.

Ma divieto di fumo, calo di consumi di alcolici e prezzi (il minimo per un caffè al banco è un euro e venti, al tavolo quat­tro/ cinque euro) hanno ridotto la clientela popolare. «Il caffè al banco deve costare al massimo un euro – dice Quartier – al­trimenti la clientela si rivolgerà sempre più al distributore auto­matico in ufficio». Recentemente, il governo francese ha approvato l’abbas­samento dell’Iva, dal 19 al 5,5%, allo scopo di equiparare la tas­sazione di caffè e ristoranti ai lo­cali che servono fast food. Ma la crisi economica ha modifica­to la domanda: ordinazioni più contenuti, vino a bicchiere, piatti meno costosi. E i classici bistrot devono fare i conti con cambiamenti di abitudini ali­mentari e bombardamento salu­tistico- mediatico. I piatti a bas­so contenuto calorico hanno ag­gredito quelli della tradizione. Il dessert, più che un piacere è diventato un pericoloso nemi­co: è scomparso dal 20 per cen­to dei pasti.