Massimo Nava, Corriere della Sera 4/6/2009, 4 giugno 2009
IN CRISI IL MITO DEL BISTROT: CHIUDONO SEI LOCALI AL GIORNO
PARIGI – «Parigi è una festa mobile», scriveva Hemingway, pensando alla miriade di terrazze, caffè, bar, bistrot e brasserie in cui scorre dall’alba al tramonto la magia della Ville Lumiére. Lui, Fitzgerald e Gertrude Stein s’incontravano al Select, alla Rotonde, al Flore. Popolari, letterari, turistici, intellettuali, semplici o carichi di decorazioni e specchi che amplificano lo spazio, immortalati da poeti e pittori, da secoli i bistrot parigini rappresentano l’anima della capitale e una tradizione della Francia. Nessuno riuscirebbe a credere che la «festa mobile» sia minacciata da tanti nemici: crisi economica, cambiamento delle mode e dei gusti, normativa antifumo, rivoluzione delle abitudini della clientela, ritmi di vita sempre più veloci, costi di gestione. Ma le cifre sono impietose: sei chiusure in media al giorno, duemila l’anno scorso. «Rimangono» trentottomila esercizi in Francia: erano mezzo milione all’inizio del secolo scorso, duecentomila negli Anni 60, cinquantamila ancora due anni fa.
Più colpiti la provincia e i piccoli centri, ma anche nella capitale chiusure e fallimenti sono numerosi. In genere, non cambia nella sostanza la destinazione d’uso, ma l’ambiente non è più lo stesso. Il tradizionale bistrot di quartiere è rimpiazzato da altri generi di ambienti. Avanzano, come cavallette, sushi bar, cucina fusion, pizzerie italiane, kebab. Prendono piede catene alimentari come steak house e fast food. E il cliché romantico popolare – camerieri con gilet neri e grembiuli lunghi, baguette e uova sode, fumo di mille «Gitanes» – viene soppiantato da arredi, insegne e architetture che rubacchiano un po’ dovunque stili e inseguono tendenze. Angoli della «festa mobile» cominciano a omologarsi, come la cucina, a tanti angoli del pianeta. Parigi diventa un po’ Manhattan, un po’ Tokyo, un po’ Milano.
Anche il personale cambia: modelle e studentesse servono nei locali più alla moda e non raramente sono più attraenti del menù. La ristorazione veloce subisce la trasformazione industriale, il trionfo dei piatti precotti, la dittatura del microonde e della banalità. E i locali che resistono a tutte le epoche – Les Deux Magots, le Flore, Lipp, la Rotonde per citare i più famosi – conservano ambiente e stile, ma hanno cambiato clientela: una fauna eterogenea di turisti stranieri. Il dopo shopping ha sostituito il dopo teatro, la conversazione al cellulare la lettura di Le Monde, che si ostina però a uscire il pomeriggio.
«I bistrot pagano l’incapacità di adeguarsi alle nuove forme di ristorazione e al divieto di fumo », spiega l’esperto, Bernard Boutboul, direttore di un centro studi del settore. «Il fenomeno è allarmante – ha detto Bernard Quartier, presidente dell’associazione che raccoglie quarantunmila esercizi, discoteche comprese ”. I bistrot sono in gran parte responsabili della crisi. Il consumatori non vogliono più soltanto bere un caffè e fumare. In molti esercizi, l’offerta di consumazioni veloci è di qualità modesta e i servizi lasciano a desiderare». A quanto pare, i «bistrot» che resistono meglio sono quelli che hanno ampliato l’offerta: introducendo la ricevitoria del lotto, la rivendita di giornali, lo schermo piatto per le partite di calcio e rugby, il brunch della domenica. Appunto trasformandosi.
Ma divieto di fumo, calo di consumi di alcolici e prezzi (il minimo per un caffè al banco è un euro e venti, al tavolo quattro/ cinque euro) hanno ridotto la clientela popolare. «Il caffè al banco deve costare al massimo un euro – dice Quartier – altrimenti la clientela si rivolgerà sempre più al distributore automatico in ufficio». Recentemente, il governo francese ha approvato l’abbassamento dell’Iva, dal 19 al 5,5%, allo scopo di equiparare la tassazione di caffè e ristoranti ai locali che servono fast food. Ma la crisi economica ha modificato la domanda: ordinazioni più contenuti, vino a bicchiere, piatti meno costosi. E i classici bistrot devono fare i conti con cambiamenti di abitudini alimentari e bombardamento salutistico- mediatico. I piatti a basso contenuto calorico hanno aggredito quelli della tradizione. Il dessert, più che un piacere è diventato un pericoloso nemico: è scomparso dal 20 per cento dei pasti.