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 2009  giugno 04 Giovedì calendario

I SEGNALI SENZA PRECEDENTI CHE ARRIVANO DAGLI EX PAESI POVERI


Brasile e India guidano la ripresa: il nuovo mondo che esce dalla crisi

Appare sempre più chiaro che la storia dell’economia globale riguarda due mondi distinti: in uno regnano scoraggiamento e pessimismo, nell’altro entusiasmo e speranza. Nelle roccaforti tradizionali della ricchezza e del potere’ America, Europa e Giappone – è difficile riscontrare buone notizie. Ma oggi oltre questi confini esiste un nuovo mondo – Cina, India, Indonesia e Brasile – nel quale la crescita economica continua ad andare avanti, i governi non sono sepolti sotto una montagna di debiti e i cittadini guardano al futuro con ottimismo. La spaccatura tra ex ricchi ed ex poveri potrebbe segnare una svolta epocale. Nel corso degli ultimi sei mesi, le teorie economiche convenzionali sono state in gran parte screditate. Sono stati spodestati i «miracolisti», i vecchi esperti che promettevano fiduciosi una crescita globale senza fine. Ma i nuovi predicatori del pessimismo – i «catastrofisti» – non hanno avuto miglior sorte. Sei mesi fa, i mercati azionari del mondo intero si sgonfiavano all’unisono, quando il sistema finanziario americano appariva sull’orlo del collasso. Questo fenomeno ha spinto molti alla conclusione che le economie emergenti dell’Asia e del Sud America fossero cresciute solo grazie alle loro esportazioni verso l’America e l’Europa, ma che non potevano contare sulle proprie forze e con ogni probabilità si sarebbero disintegrate prima, e più tragicamente, delle sofisticate economie dell’Occidente. Ma una cosa strana si è verificata sulla strada verso la depressione globale. Una volta placato il panico che aveva contagiato i mercati, si sono visti esempi di ripresa a velocità variabile. La Borsa americana, dopo sei mesi di tonfi, è già in rialzo, al punto che lo S&P 500 si ritrova approssimativamente dov’era a inizio anno, come pure lo Ftse di Londra. La Borsa giapponese ha messo a segno un successo ancor più rilevante, risalendo di quasi il 7%.

Da un punto all’altro del globo, i mercati sono in fermento. L’indice di Shanghai in Cina è in rialzo del 45%, il Sensex in India del 44%, il Bovespa brasiliano del 38% e l’indice indonesiano del 32%. I mercati azionari non hanno tutte le risposte, è vero, ma il motivo per cui molti di essi sono in netta ripresa è che le economie di questi Paesi registrano ancora oggi una crescita consistente. Le prove non mancano. In aprile, le nuove immatricolazioni in India sono salite del 4,2% rispetto all’anno precedente. La vendita al dettaglio è cresciuta del 15% in Cina nel primo trimestre 2009. La Cina prevede una crescita del 7-8% quest’anno, l’India del 6% e l’Indonesia del 4%. Sono cifre non solo considerevoli, ma addirittura sorprendenti se paragonate a quelle del mondo industrializzato.

L’economia statunitense invece si è contratta a un tasso annuale del 6,1% nell’ultimo trimestre, quella europea del 9,6% e in Giappone di uno spaventoso 15%.

Confrontiamo i due mondi. Da un lato c’è l’Occidente (con il Giappone), dove le banche appaiono disastrate per l’eccessivo ricorso alla leva finanziaria, i governi barcollano sotto il peso del debito pubblico e i consumatori devono fare i conti con bilanci familiari sconquassati. L’America è in difficoltà nel vendere il suo debito a un prezzo capace di attirare compratori (le ultime tre aste del Tesoro sono andate piuttosto male); il suo Stato più grande, la California, traballa sull’orlo del collasso fiscale; e la sua spesa pubblica supererà il 13% del Pil, un livello visto soltanto durante la Seconda guerra mondiale. Con tanti fardelli sulle spalle, anche se ci sarà una ripresa, gli Stati Uniti non saranno in grado di tornare a una crescita veloce per parecchio tempo. E quella americana resta un’economia probabilmente più dinamica rispetto all’Europa e al Giappone. Nel frattempo, il sistema bancario dei mercati emergenti appare in ottima salute. (Tutte le banche indiane, statali e private, hanno fatto registrare utili nell’ultimo trimestre del 2008!) I governi sono in buona forma fiscale.

I punti di forza della Cina sono ben noti: 2 trilioni di dollari di riserva e un deficit di bilancio che rappresenta meno del 3% del Pil. Ma prendiamo in considerazione il Brasile, che oggi vanta un’eccedenza di bilancio. O l’Indonesia, che ha saputo ridurre il debito dal 100% del Pil nove anni fa al 30% di oggi. E a differenza dell’Occidente, dove i governi sono a corto di munizioni, questi Paesi hanno ancora davanti a sé delle scelte. Solo un anno fa, la loro principale preoccupazione era un’economia surriscaldata e l’inflazione. Il Brasile, per esempio, ha tagliato i tassi d’interesse in modo cospicuo, ma solo al 10,25%, il che significa che sarà in grado di sforbiciarli ancora se la situazione dovesse deteriorare. Lo stato d’animo in molti di questi Paesi resta ottimista. Le loro valute si apprezzano contro il dollaro. I loro titoli sono in ascesa. Siamo davanti a una combinazione di indicatori, puntati tutti nella medesima direzione, che non ha precedenti. Gli Stati Uniti restano il Paese più ricco e potente del mondo. Ma dall’impero spagnolo del sedicesimo secolo all’impero britannico del ventesimo, le grandi potenze globali hanno sempre saputo che le loro sorti cominciano a vacillare quando si ritrovano sopraffatte dai debiti e con una crescita economica rallentata. Sono queste le prime avvisaglie. Se gli Stati Uniti non sapranno reagire in modo efficace, e senza perder tempo, si sentiranno mancare il terreno sotto i piedi, lentamente, ma inesorabilmente.