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 2009  giugno 04 Giovedì calendario

ECCO QUELLO CHE DRAGHI VOLEVA VERAMENTE DIRE


Il 29 maggio il governatore Draghi ha letto ai soliti invitati le «Considerazioni finali», che per l’uso della prima persona sembrerebbero «sue» e, invece, sono riflessioni di una squadra di economisti della Banca d’Italia specialisti in economia nazionale e internazionale e coerenti con le analisi della Bce pubblicate ogni mese nel Bollettino economico. Nessuno degli argomenti sviluppati, delle diagnosi e delle terapie ci hanno sorpreso, perché ItaliaOggi li ha anticipati da mesi, taluni persino prima dello scoppio della crisi economica mondiale, che è lo sfondo in cui Draghi sviluppa le considerazioni. Soprattutto non ci ha sorpreso l’ammissione che le radici della crisi siano in una finanza che ha operato «a briglie sciolte» e che «l’espansione monetaria né l’azione degli stabilizzatori automatici presenti nei bilanci pubblici sono state sufficienti a contrastare la caduta della domanda aggregata».

In un clima di giornalismo più attento a presunte o costruite storie di materassi che ai problemi reali, da cui non sarà facile uscire, il rischio è che tutto finisca immediatamente nel dimenticatoio, perché se la crisi non è imputabile a un uomo non interessa. Però, la crisi resta in tutte la sua drammaticità e le contraddizioni evidenti. Dobbiamo fare un’osservazione preliminare: il governatore non può dire tutto ciò che sarebbe opportuno, perché non può rischiare contraccolpi sulle forze politiche e sulla borsa. Allora, il lettore deve interpretare con maggior attenzione. Evidenziamo alcuni passaggi:

a) le banche italiane devono rafforzare il loro patrimonio, con autofinanziamento mediante ritenzione di utili o con aumenti del capitale di rischio o con ricorso a strumenti pubblici. Sembra una contraddizione con il riconoscimento che «l’impatto della crisi sulle banche è stato da noi meno traumatico che in altri paesi», ma non c’è incoerenza, perché «meno traumatico» non vuol dire assenza di trauma!

b) il credito erogato è diminuito, soprattutto per le Pmi. Draghi richiama l’esempio degli anni Cinquanta, quando il sistema bancario fu artefice del «miracolo economico» della ricostruzione e auspica che le banche attuali «valutino il merito di credito dei loro clienti con lungimiranza». Ma se si devono rispettare i coefficienti di Basilea 2 non c’è spazio per la lungimiranza. Non solo, ma se le norme fiscali limitano la deducibilità della svalutazione allo 0,3 per cento dei crediti complessivi e la parte eccedente è rateizzabile in 18 anni, non si potrà pretendere una stimolante lungimiranza nella concessione. Questa constatazione è una critica indiretta al ministero dell’economia, che, avendo fagocitato il ministero delle finanze, dovrebbe essere più sensibile a una politica del credito non penalizzata dalle restrizioni fiscali introdotte inopportunamente dal D.L. 112 del giugno 2008. Peraltro, osserviamo, che una crisi economica, riducendo il volume degli affari restringe naturalmente la domanda di credito alle banche;

c) la crisi riduce il gettito e, qui sta la parte più delicata delle «Considerazioni», perché gli interventi statali faranno aumentare il rapporto Debito pubblico/pil, sia perché aumenta il numeratore sia perché si riduce il denominatore, fenomeno, peraltro già in atto. Infatti, presto si presenterà il problema di una concorrenza tra bond statali e titoli privati che le imprese dovranno emettere per far fronte alla necessità di capitali quando inizierà la ripresa. Allora, anche il tasso d’inflazione sarà destinato a salire e finirà anche il doppio vantaggio dei lavoratori pubblici, che fruiscono della stabilità del loro reddito, aumentato in termini reali anche per l’abbassamento dei prezzi dei beni primari;

d) il debito pubblico è destinato a impennarsi ulteriormente. E allora, come uscire dalla spirale perversa? Il governatore teme un aggravamento della già insostenibile pressione fiscale. Restano due alternative: la riduzione della spesa corrente, da attuare con immediati interventi legislativi, e l’attuazione rapida di indifferibili riforme, prima fra tutte quella della pubblica amministrazione.

Il tono misurato, ma realistico delle «Considerazioni» non impedisce di cogliere il monito di fondo: ognuno faccia la sua parte e subito, perché la crisi non è minimizzabile e la ripresa si allontana.