Maria Laura Rodotà, Corriere della sera 3/6/2009, 3 giugno 2009
FAI IL REALITY E POI MUORI: NEGLI USA GIA’ 11 SUICIDI
MILANO – Che fine fanno i ragazzi e i non tanto ragazzi dei reality show? Dipende, viene da pensare: c’è qualcuno’ raro – che diventa effettivamente famoso; c’è chi va avanti per un po’ con le serate in discoteca, chi visita villa Certosa e rischia di candidarsi alle Europee, chi finisce rapidamente nell’oblio e magari lo patisce. Lo può patire anche molto, fino ad andare via di testa trovandosi fuori dal reality (magari dopo essere stato buttato fuori). Fino a conseguenze estreme: secondo un’inchiesta del sito di notizie hollywoodiano The Wrap, almeno undici persone convolte nei reality si sono suicidate. Altre due ci hanno provato, ma forse ce ne sono altre. Gli psichiatri americani hanno deciso che, molto spesso, è colpa della «sindrome del Truman Show» (dal film con Jim Carrey), delle enormi delusioni paranoiche che può produrre il vivere un pezzo di vita davanti alle telecamere. Si segnalano casi anche sui social sites e YouTube, ma quando c’entra la tv è più grave.
Il caso più noto, del 2008, è quello di Paula Godspeed, ex concorrente di American Idol.
Dopo essere stata esclusa si è ammazzata con una overdose di droghe e farmaci davanti alla casa losangelina di Paula Abdul, cantante famosa e giudice del programma; dalla quale Godspeed era diventata ossessionata.
L’anno prima si era uccisa Cheryl Kosewicz, del cast di Pirate Masters sulla Cbs. Poco prima aveva scritto sulla pagina MySpace di un altro concorrente: «Ho perso la Cheryl forte e fluttuo, mi sento persa... Il fottuto show non ha neanche buone recensioni... e sono finita sul National Enquirer (rotocalco pettegolo-monnezzaro, ndr)... mi continuano a colpire».
A farla finita non sono solo ragazzi in cerca di celebrità; ci sono adulti destabilizzati da reality apparentemente innocui. Si è sparato James Scott Terrill, 37, dopo essere apparso nella versione americana di S.O.S. Tata. Si è lasciato morire tra alcol e metadone Simon Foster, che aveva perso la compagna e il lavoro dopo aver partecipato all’edizione inglese di Cambio moglie. Si è uccisa la sorella di una concorrente brutta di Extreme Makeover (quello della chirurgia plastica; questo no, non è innocuo), Deleese Williams: lei era stata esclusa all’ultimo momento perché (parole della produzione) «i decorsi post-operatori erano troppo lunghi per i tempi della produzione»; la sorella Kelli McGee, che era stata convinta dai produttori a dire cose orrende sull’aspetto di Deleese, ha preso una dose fatale di pillole e alcol. Fuori dal mondo anglosassone: si è buttato sotto un treno Sinisa Savija, concorrente di Expedition;
ha ingoiato del veleno Tania Saha, 21 anni, dopo l’esclusione da Fatafati. Questi sono i casi estremi. Tanti altri non stanno comunque bene, si diceva. Il «crollo emotivo» di Susan Boyle, la quarantottenne cantante-fenomeno scozzese arrivata seconda a Britain’s Got Talent ma diventata instant celebrity mondiale è un caso a sé; Boyle ha subito danni cerebrali minori a causa di una mancanza di ossigeno alla nascita,, forse era emotivamente meno attrezzata di altri a reggere la pressione. Ma anche a chi non è Boyle, specie a quelli che non cantano, viene da chiedere: ragazzi, avete davvero tanta voglia di andare a fare gli scemi nei reality?