Alessandra Mangiarotti, Corriere della sera 2/6/2009, 2 giugno 2009
NEANCHE IL TEMPO PER IL MAYDAY «MAYDAY»
Nel mistero fitto e tra le tante ipotesi che circondano l’incidente, qualsiasi cosa sia accaduta a bordo dell’Airbus è successa così velocemente da non lasciare il tempo ai piloti di trasmettere il segnale di «mayday». Silenzio anche dai tre radiosegnalatori di bordo che dialogano in automatico con i satelliti.
MILANO – Un fulmine. Una forte turbolenza, di quelle che nel tratto di oceano che separa il Brasile dall’Africa possono «far perdere agli aerei anche diecimila piedi di quota in una manciata di minuti». Ma anche un guasto tecnico, un’avaria al sistema elettrico. Un’esplosione a bordo o addirittura un attentato. Quello del volo «447» di Air France è un mistero che solo le scatole nere potranno sciogliere.
Gli esperti concordano: la crociera è tra le fasi più sicure del volo. Su cento incidenti aerei solo nove avvengono durante questa fase. Ma il numero delle vittime è sempre elevatissimo. Per ora i punti fermi di questa tragedia sono tre. Il primo: l’aereo, come ha comunicato via radio il comandante, era entrato in un’area di forte turbolenza all’altezza del fronte intertropicale. Secondo: pochi minuti dopo la comunicazione, alcuni segnalatori automatici di bordo (Acars) hanno trasmesso alla base di Parigi diverse anomalie ai sistemi elettrici. Terzo: qualsiasi cosa sia successa, è accaduta così velocemente da non lasciare tempo ai piloti di trasmettere il «mayday». Ma nemmeno ai tre radiosegnalatori di bordo che dialogano automaticamente con i satelliti di comunicare eventuali avarie. «Questo significa che l’aereo è stato distrutto prima di poter emettere un segnale: la catastrofe è stata molto rapida», sottolinea Philippe Hazane, vicedirettore dell’agenzia spaziale (Cnes) di Tolosa, che avrebbe dovuto ricevere da una rete di 5 satelliti l’eventuale avviso di anomalia dall’Airbus.
François Brousse, direttore comunicazione di Air France, ha affermato che l’ipotesi «più verosimile» è che l’apparecchio «sia stato colpito da un fulmine »: «Era entrato in una zona di forti perturbazioni che hanno causato dei guasti». Quindi, in un secondo momento, ha aggiunto: «Deve essersi verificata una serie di concause». L’ipotesi del fulmine è stata infatti ridimensionata da piloti e ingegneri del volo. «Il fulmine è la routine del trasporto aereo, un velivolo di linea è protetto», spiega Pierre Sparaco, esperto francese di aeronautica civile. Una presa di posizione condivisa dai responsabili della sicurezza dell’Ente dell’aviazione civile (Enac). Quindi dall’Associazione dei piloti dell’aviazione commerciale (Anpac): «Un fulmine può causare raramente danni strutturali, ma non può far precipitare un aereo – afferma il presidente Fabio Berti ”. Ci sono gli scaricatori statici, entra ed esce dall’aereo». L’evento è relativamente frequente: secondo i dati dell’americana Faa ( Federal aviation administration) i voli a lungo raggio vengono colpiti da un fulmine in media una volta ogni tre anni, quelli che coprono distanze più brevi (e volano a quote più basse) una volta l’anno. Rarissimi gli incidenti che hanno avuto come causa scatenante un fulmine: l’8 dicembre ”63 una saetta incendiò il serbatoio di un Boeing 707 della Pan Am (precipitato con 81 persone a bordo): da allora la Faa ha reso obbligatori gli scaricatori statici.
Nel lungo tratto di oceano tra Brasile e Africa tempeste e turbolenze sono all’ordine del giorno. «Si possono incontrare tra le più delicate condizioni di volo ad alta quota del pianeta» continua Berti. «Fronti temporaleschi che possono arrivare fino a 55 mila piedi di quota, tempeste che costringono a uscire dalla rotta anche di 100 chilometri, turbolenze in aria chiara (non visibili) che si manifestano solo con repentini cambi di temperatura e vento». Cambi così improvvisi che in un amen si possono far perdere «anche 10 mila piedi» di quota. «Ma anche la forte turbolenza, da sola, non basta a spiegare la tragedia ».
Il guasto tecnico, dunque. L’avaria agli impianti elettrici è stata registrata: 500 i parametri di bordo monitorati. «Anche questa, da sola, non può far precipitare un aereo. Ogni velivolo è dotato di sistemi di backup», afferma Francesco Barbato, direttore tecnico Anpac. Di impianti elettrici, sugli Airbus, ne esistono tre. «Resta da vedere quanto questa avaria sia stata estesa e controllata». Dagli impianti elettrici dipendono a catena gran parte dei sistemi di bordo, quello di pressurizzazione, gli strumenti di navigazione. In tutti questi casi, però, i piloti avrebbero avuto il tempo di trasmettere il segnale di «mayday». Una circostanza che spinge molti a parlare di causa improvvisa e dirompente. «Un’esplosione a bordo, non necessariamente un attentato», spiega Enrico Deodati, responsabile dell’ufficio operatori stranieri dell’Enac. «Un’esplosione o comunque qualcosa di estremamente grave e rapido», concorda il comandante francese Jean Serrat.
Sotto accusa sono finite anche le tecnologie utilizzate per gli aerei che sorvolano l’oceano: un tempo tutti quadrimotori (dai Boeing 747 ai Dc-8), oggi anche bimotori (dai Boeing 767 agli Airbus 330). «Tecnologia e manutenzione garantiscono la stessa affidabilità», dice Deodati. E il presidente Anpac: «Hanno una speciale certificazione, i livelli di sicurezza sono gli stessi».