Micaela Cappellini, ཿIl Sole-24 Ore 2/6/2009;, 2 giugno 2009
L’ELDORADO HA IL MARCHIO HALAL
Nella prima giornata del World Halal Forum 2009 di Kuala Lumpur, la più importante fiera del cibo che rispetta i dettami dell’Islam,erano in due sale diverse ma parlavano al pubblico contemporaneamente. Da una parte il Ceo della società di logistica olandese LBB international. Dall’altra il direttore esecutivo dell’associazione Halal Europa della Bosnia Erzegovina. Rivali su un unico obiettivo: diventare il fulcro logistico in Europa del crescente business dei prodotti halal. Un mercato che già oggi vale 67 miliardi di dollari l’anno, ma che con il tasso di crescita della popolazione araba nel Vecchio continente, e le sue note percentuali di natalità, è destinato a valere presto molto di più.
Essere musulmani devoti non significa semplicemente scegliere hamburger preparati secondo i precetti del Corano. molto di più. Un praticante non può mangiare un biscotto che, durante il viaggio dal produttore al negozio, sia stato stipato vicino a un alcolico o a del tabacco. Non può gustarsi una coscia di pollo fritta nello stesso olio in cui prima sono transitate costolette di maiale. Né sua moglie può usare un rossetto che contenga grassi animali o sia stato testato su cavie da laboratorio. Senza contare l’ormai ben noto capitolo della finanza islamica. Questo, a grandi linee, significa il bollino "halal".
Una dimensione del vivere che non riguarda soltanto il cibo, ma anche la cosmetica, la medicina (pillole che non contengono eccipienti animali), persino l’accoglienza alberghiera: guai per un musulmano praticante dover sopportare nelle lobby degli hotel il passaggio di clienti che tornano dal mare vestiti del solo costume. In un’Europa dove si stima ci siano 30 milioni di musulmani, Olanda e Bosnia Erzegovina giocano la loro partita. La prima punta tutto sul porto di Rotterdam, il terzo più grande del mondo, per diventare l’hub dei prodotti halal destinati al mercato europeo. Da tempo ha attrezzato le sue banchine con una supply chain che rispetta i precetti del Corano nelle modalità di stoccaggio delle merci: niente alcol e niente carne di maiale nelle vicinanze dei prodotti destinati al pubblico islamico. E questo suo atout l’Olanda è andata a promuoverlo direttamente sul campo alla fiera di Kuala Lumpur, perché la Malaysia è il principale riferimento mondiale quando si parla di halal e Sharia bond.
La Bosnia Erzegovina non ha scali della dimensione di quello olandese, in compenso è patria di oltre 2,3 milioni di musulmani e nel suo piccolo intende dire la sua. Così, sempre a Kuala Lumpur, ha sancito la creazione di un Halal Park in territorio bosniaco, a Gracanica, per cui è stato previsto uno stanziamento iniziale di 100 milioni di dollari. Il parco sorgerà su 20 acri e verrà offerto ad aziende europee che vogliono produrre, stoccare o importare merci halal. Con spazi per la formazione del personale e un’accademia per la certificazione.
Immigrati musulmani come risorsa, non come problema. Sono già in molte le aziende occidentali che se ne sono accorte. L’ultima, in ordine di tempo, è stata la catena di fast food Kentucky Fried Chicken (Kfc), che ha obbligato alcuni dei suoi punti vendita di Londra a vendere esclusivamente pasti halal: chi non vuole, che cambi indirizzo. E proprio la Gran Bretagna, con i suoi oltre 2 milioni di musulmani, è tra i paesi più attivi. A Birmingham la Dixy Chicken ha aperto un locale con annessa sala di preghiera; la catena Boots distribuisce alimenti halal per l’infanzia in 30 punti vendita; i supermercati Tesco espongono piatti pronti compatibili coi precetti del Corano. Poi ci sono i cosmetici della Saaf, creme idratanti e trucchi di lusso che sembrano esercitare un certo appeal anche sui consumatori non musulmani, perché si tratta di prodotti non testati sugli animali e che contengono ingredienti esclusivamente naturali. Mentre le vitamine vendute da Principle Healthcare risultano prive di addensanti animali.
Nestlé è una multinazionale avvezza al concetto di halal. Talmente avvezza che più del 22% del suo fatturato mondiale deriva da questi prodotti, si legge sull’«Halal Journal». McDonald’s, con le sue pepite Halal Chicken McNuggets è stata tra i primi ad aggredire il mercato musulmano. Che, tanto in Europa quanto negli Usa, è composto soprattutto da giovani allettati da uno stile di vita moderno e occidentale, pur nel rispetto della tradizione islamica, e non certo da chiusi conservatori, comericordano l’agenzia pubblicitaria JWT e Imarat Consultants, società malese di consulenza specializzata su temi halal.
Ecco perché anche la tecnologia ammicca alle specificità dell’Islam. I telefonini Lg supportano un applicativo che in ogni momento individua la direzione della Mecca. Dai cellulari Nokia si possono scaricare gratis i versetti del Corano seguendo una procedura semplificata. Mentre per gli amanti dell’iPhone è appena stato messo a punto Halalpal, il software che ricerca i ristoranti halal di tutti gli Usa.