Adriana Cerretelli, ཿIl Sole-24 Ore 2/6/2009;, 2 giugno 2009
DANZICA TRADITA DALL’EUROPA
«Pur pagando molto, riceviamo troppo poco dall’Europa. Che vantaggi ne abbiamo a parte viaggiare senza passaporto?». Faccione cordiale, occhi azzurri con guizzo, Karol Guzikiewicz contraddice subito il suo aspetto bonario. Sui cantieri navali soffia il vento della desolazione. Dopo quattro anni di tira e molla con Bruxelles, la fine sembra imminente. Non c’è spazio, dunque, per il buonismo. Anche se forse il vicepresidente di Solidarnosc, più che con l’Europa, il dente avvelenato ce l’ha con il governo.
Danzica, città millenaria e crocevia di storia europea. Nelle vie del centro storico troneggiano, intatti, i palazzi borghesi del tempo che fu, quando i grassi commerci sul Baltico la resero riccae famosa. Qui sono nati il fisico Daniel Fahrenheit, il filosofo Arthur Schopenhauer, il Nobel Gunther Grass.Qui,nel ’39,è stata scritta la prima pagina di "macelleria" della Seconda guerra mondiale.
E qui, a nemmeno dieci minuti a piedi dalla città vecchia, piazza Solidarnosc. Immensa. Al centro tre croci alte 45 metri per ricordare l’insurrezione operaia del 1970 e un monito: «Ne puoi uccidere uno ma un altro ne nascerà», il verso premonitore del poeta Czeslaw Milosz. In fondo, sulla destra, il cancello numero 2, sul quale si arrampicava Lech Walesa, asserragliato nei cantieri con i suoi operai, in attesa dei concittadini che ogni giorno portavano cibo, medicine e coperte in quel gelido inverno del 1980. Da qui è partita un’altra storia: le prime elezioni libere della Polonia il 4 giugno dell’89, la caduta del Muro di Berlino, la riunificazione tedesca prima, europea poi.
Passato remoto. La memoria sbiadisce. Come i vecchi cantieri Lenin, oggi "Stocznia Gdanska", cantieri di Danzica. Oltre il cancello numero 2, fango e qualche chiazza di prato. Sono scomparsi i 7 capannoni industriali che sfornavano navi per l’ex-Unione Sovietica. Ne sono rimasti tre. Gli altri sono stati spianati 10 anni fa, con la prima privatizzazione. I pochi edifici sopravvissuti oggi ospitano atelier di giovani artisti.
Ma lui, Guzikiewicz, 44 anni, era là, un ragazzo, quando Solidarnosc nasceva e cambiava la storia della Polonia e dell’Europa. Era sempre là, «quando i vecchi leader come Walesa cominciavano a non credere più nel cambiamento e fummo noi giovani, senza prospettive né famiglia, a ricominciare gli scioperi fino alle elezioni dell’89». Anche per questo non può né vuole dimenticare. Men che mai abbandonare i cantieri al loro destino.
«Avevano una superficie di circa 150 ettari. La metà è stata venduta nel ’97. L’idea, costruire la nuova Danzica. Da allora tutto è fermo. Se Bruxelles dirà che la produzione dei cantieri va limitata, basterà cambiare il piano regolatore e i terreni da industriali diventeranno edificabili, un affare da 4 miliardi di dollari». Se l’erano accaparrato subito gli americani. «Appena l’abbiamo saputo, abbiamo informato del progetto ai danni dei cantieri la comunità polacca negli Stati Uniti. Poco dopo il fondo Usa ha venduto a uno danese». Che aspetta pazientemente lo sviluppo degli eventi. Solidarnosc è sul piede di guerra. Tanto che il governo di Donald Tusk, altro vecchio militante del sindacato di Danzica, è stato costretto a spostare i festeggiamenti per il ventennale del 4 giugno a Cracovia. «Inutile, ci faremo sentire in piazza anche là» promette, indomito, il nostro. Che non perdona nemmeno alla Commissione Barroso un passo falso clamoroso. Nel suo filmato su Youtube per commemorare la caduta del Muro di Berlino si ricordano tutti gli eventi che la prepararono, a Est e a Ovest, senza mai un cenno a Danzica, ai cantieri, a Solidarnosc. «Uno scandalo ». Innegabile. Tanto che Barroso ha incassato la protesta formale di Varsavia. Alla vigilia delle europee, con i polacchi che potrebbero registrare uno dei più miseri tassi di affluenza alle urne (sotto il 20%), la gaffe di sicuro non corrobora la popolarità dell’Europa.
Davvero si possono salvare i gloriosi Stoznia Gdanska nel mondo globale dove impazza la concorrenza asiatica a prezzi stracciati, con navi d’avanguardia e pure su misura? Da 4 anni Varsavia negozia con il commissario Ue alla Concorrenza Neelie Kroes. In ballo ci sono una drastica ristrutturazione e la restituzione di aiuti di stato illeciti. C’è, soprattutto, che dal 2004 a Danzica si produce in perdita. Ormai il prezzo per fabbricare una nave è superiore a quello di vendita. Anche se nel frattempo gli organici sono precipitati da 17mila a 2.300 unità.
Guzikiewicz contesta. Dice che, certo, «se Bruxelles ci costringerà a chiudere altri due capannoni, con uno solo non riusciremo a stare a galla nonostante gli ordini in portafoglio, anche italiani». Spiega che le cifre sugli aiuti di stato fornite dal governo alla Kroes non sono giuste: invece di 720 milioni di zloty, i sussidi incriminabili sarebbero 86 milioni, di cui la metà già restituita. E aggiunge che il nuovo proprietario, la società siderurgica ucraina Isd, ha anche progetti alternativi per i cantieri: la costruzione di ponti, il business delle energie alternative, eolico in testa.
Poi arriva il "j’accuse" all’Europa, puntuale e aguzzo: «La Polonia ha molti ritardi, ci vorranno di 20 anni per recuperarli. Però gli agricoltori dell’Est incassano meno aiuti di quelli dell’Ovest, i nostri lavoratori non hanno pieno accesso al mercato tedesco e austriaco né ricevono, come in Inghilterra, lo stesso salario degli altri. In Germania l’industria è sovvenzionata, in Polonia no. In compenso Bruxelles difende la sopravvivenza delle banche ma non quella delle imprese che producono. Nell’Unione vige il doppiopesismo, ci sono paesi che dettano legge e la Commissione Ue non si comporta con tutti allo stesso modo. La nuova Europa è trattata peggio della vecchia. Per entrare nella Ue abbiamo accettato condizioni pesanti, insostenibili: uno sbaglio che va corretto».
Allora ha ragione il presidente ceco Vaclav Klaus che paragona la Ue alla vecchia Urss? «Qualche ragione ce l’ha. Tutti i paesi comunque devono mantenere l’identità nazionale». Lech Walesa, che oggi milita nel movimento transnazionale Libertas dell’euroscettico irlandese Declan Ganley, ha detto qualche tempo fa: «I cantieri sono la nostra madre. E voi volete liquidare nostra madre?». Certo i cantieri di Danzica oggi non stanno bene ma l’Europa,con quella faccia da strega cattiva, a Danzica sta peggio.