Mario Platero, ཿIl Sole-24 Ore 2/6/2009;, 2 giugno 2009
GM, LA BANCAROTTA DEI RECORD
Da ieri una pagina della storia industriale americana passerà agli archivi dello Smithsonian: gli avvocati della General Motors hanno depositato in prima mattinata i libri contabili della loro azienda alla corte fallimentare di New York. La vecchia General Motors, vanto del capitalismo americano negli anni del conflitto ideologico della Guerra Fredda è in rottamazione: 172,81 miliardi di dollari di debito e attività patrimoniali valutate in 82,29 miliardi di dollari.
L’obiettivo resta quello di far emergere in due-tre mesi un’azienda nuova, una Newco pronta a tornare in borsa nel 2010 e che assorbirà le attività più pregiate della vecchia azienda per rilanciare il marchio e tornare a macinare profitti. E in questo caso, come per la Chrysler, il passaggio per il tribunale fallimentare è obbligato: «Riemergeremo rafforzati, con nuovi modelli più adatti alle sfide congiunturali: una nuova Gm, più snella, più aggressiva, innovativa e concorrenziale», ha detto in una conferenza stampa Fritz Henderson, da 60 giorni il nuovo amministratore delegato del gruppo americano.
Mentre Henderson faceva le sue promesse è tuttavia giunta l’ennesima umiliazione, diretta anche a Washington: la Dow Jones and Co ha annunciato che da ieri il titolo Gm è stato cancellato dal listino dei trenta titoli che formano l’indice di borsa più seguito nel mondo. Anche perché da ieri la General Motors sarà di proprietà dello stato, il suo salvataggio sarà costato fino a 50 miliardi di dollari e il futuro per 56.000 dipendenti e per 3.600 concessionari resterà molto incerto: si dice che altri 20.000 dipendenti potrebbero perdere il posto in uscita dalla riorganizzazione e un migliaio di concessionari saranno chiusi. Per questo siamo alla fine di un’epoca e di quei parametri di grandezza industriale che sembravano talmente solidi da essere stati identificati per decenni con il benessere stesso del paese.
In cambio di un nuovo contributo di 30,1 miliardi di dollari (complessivamente ne saranno sborsati oltre 50), il Tesoro americano avrà circa il 60% del nuovo pacchetto azionario, quello canadese e dello stato dell’Ontario, che daranno circa 11,2 miliardi di dollari, si divideranno un altro 12%. Il 17% andrà al sindacato in nome delle importanti concessioni e il 10% agli obbligazionisti. Sul piano operativo Gm rinuncerà entro il 2001 a 17 impianti produttivi, 11 in tempi brevi, altri tre saranno ridimensionati e altri quattro chiusi da qui ai prossimi anni: sul piano tecnico si vuole raggiungere il punto di "break even" (di pareggio) con la produzione di 10 milioni di vetture all’anno, più piccole e più efficienti delle vecchie, contro i 16 milioni di vetture necessari nel vecchio contesto produttivo.
In tutto questo, anche il sindacato, la Uaw, ha fatto la sua parte, rinunciando a molte prerogative e al suo vecchio fondo pensione Veba. In cambio la nuova Gm costituirà un nuovo trust indipendente, sempre chiamato «Veba», con una dotazione di 2,5 miliardi di dollari e riceverà il 17% del nuovo capitale Gm Newco. Sul piano finanziario, il 54% delle emissioni obbligazionarie non garantite della Gm, distribuito su oltre 1000 individui, ha accettato di convertire la parte di sua competenza dei 27,1 miliardi di dollari di debito in una quota pro rata del 10% del capitale della nuova Gm, più warrants per poter acquistare in futuro un altro 15% della nuova azienda. La corte fallimentare estenderà questo trattamento anche a coloro che non hanno accettato volontariamente di firmare l’accordo. Infine- e questo in un accordo mediato tra stato e sindacati non poteva mancare- ci sarà una forma di protezionismo sotto forma di "Buy American": in cambio delle concessioni, il sindacato ha ottenuto di innalzare dal 66 al 70% il contenuto di "Buy American" per la produzione Gm. Una formula, quella del protezionismo, che in passato non diede molti risultati e che oggi dovrà confrontarsi con la produzione giapponese già in territorio americano.