The Economist, 23 maggio 2009. Traduzione integrale., 23 maggio 2009
Piccola ma agile Le piccole aziende europee reagiscono bene alla recessione, anche se ottengono poco credito dalle banche Da quando è stata presa da Federico il Grande, nel 1763, la Die Königliche Porzellan-Manufaktur, fabbrica di porcellane per le famiglie reali, non è cambiata molto
Piccola ma agile Le piccole aziende europee reagiscono bene alla recessione, anche se ottengono poco credito dalle banche Da quando è stata presa da Federico il Grande, nel 1763, la Die Königliche Porzellan-Manufaktur, fabbrica di porcellane per le famiglie reali, non è cambiata molto. Privatizzata dal Land di Berlino nel 2006, l’azienda continua a procedere a bassi ritmi; costruisce a mano i suoi servizi da tavola e ognuno dei suoi decoratori riceve tre anni e mezzo di formazione prima di iniziare a lavorare. I suoi prodotti sono costosi (circa 80 euro per una tazza e un piattino), e chiaramente non essenziali. Nonostante questo la società e i suoi 180 dipendenti stanno attraversando bene la crisi economica. In parte perché i clienti continuano ad essere disposti a pagare per i suoi prodotti di alta qualità, in parte perché l’azienda ha investito e assunto con prudenza negli ultimi tempi. ”Il contesto di questo settore è stato difficile, così siamo pronti per qualsiasi crisi” dice il direttore del marketing Christiane von Trotha. In contrasto con le notizie cupe e disastrose che arrivano dai grandi gruppi europei, molte piccole e medie aziende sono cautamente ottimiste. La maggiore associazione delle Pmi tedesche (che sono 4 milioni) prevede che le vendite dei suoi associati si ridurranno solo del 2% quest’anno. Le rinomate Mittelstand tedesche così andranno meglio del resto dell’economia, che il governo vede in calo del 6%. Un sondaggio tra 804 piccole e medie imprese francesi il mese scorso ha rivelato che più della metà di loro si aspetta fatturati stabili o in crescita per il 2009. ”Sono rimasto sorpreso da quanto buoni fossero questi numeri – spiega Jean-François Roubaud, presidente di un’associazione di Pmi francesi – e i dati confermano quello che vedo nel nostro settore”. Sono buone notizie per i governi, perché le Pmi, definite come aziende con meno di 250 dipendenti, nel complesso danno da lavorare a 88 milioni di europei e rappresentano i due terzi degli occupati totali. Mentre i grandi gruppi delocalizzano per tagliare i costi, le aziende più piccole stanno diventando sempre più importanti come datori di lavori domestici. E nonostante la maggioranza delle Pmi siano a conduzione famigliare, con poca intenzione e capacità di crescere, tra loro ci sono anche aziende innovative a forte crescita che, se ben amministrate, potrebbero diventare i campioni del domani. Per essere sinceri bisogna dire che le Pmi vivono tempi difficili. Hanno meno asset e scarse scorte di denaro rispetto ai gruppi più grandi. Spesso dipendono da un piccolo numero di clienti e non sono in grado di diversificare il rischio d’impresa operando su prodotti e paesi diversi. E assieme a una contrazione della domanda si trovano a fare i conti con un’inedita scarsità di credito bancario. Cinque settimane fa, per esempio, Laurent Vronski, direttore di Ervor, produttore francese di compressori, ha deciso di mettere alla prova la correttezza delle sue banche, HSBC e Société Générale, chiedendo loro di allargarle le linee di credito. Nonostante Ervor abbia il più alto credit rating possibile per un’azienda delle sue dimensioni e preveda di mantenere lo stesso giro d’affari del 2008, Vronski aspetta ancora la risposta degli istituti di credito. ”Non mi piace – racconta – soprattutto perché due anni fa ci proponevano di indebitarci fino al collo”. Per adesso, comunque, sembra che la maggioranza delle Pmi sta trovando il modo di resistere- In Gran Bretagna le liquidazioni di imprese sono balzate a 4.941 unità nel primo trimestre dell’anno, il 56% in più rispetto al 2008. Molte vittime sono Pmi. Ma una recente indagine dell’associazione della piccola industria ha rivelato che il 60% delle piccole aziende stanno andando meglio di un anno fa. In Germania la mortalità delle aziende tra gennaio e febbraio non era molto diversa rispetto all’anno scorso. Questo perché là i consumi interni stanno tenendo e le Pmi che lavorano sul mercato nazionale resistono relativamente bene. Chi esporta, invece, soffre. L’industria meccanica si aspetta un calo delle vendite del 60%, per esempio. Ma anche in questo settore la perdita di posti di lavoro dovrebbe restare sotto la media nazionale, perché i dipendenti sono molto preparati e quindi preziosi. In Francia il tasso di fallimenti è cresciuto del 21% rispetto all’anno passato, ma il 70% delle bancarotte ha riguardato le aziende minuscole, quelle senza dipendenti, e quindi hanno avuto un impatto limitato. Anche se le Pmi sono sempre più vulnerabili delle grandi, spiega Ludo Van de Heyden, professore all’Insead, scuola di economia aziendale francese, queste ditte sono anche più attrezzate per superare le crisi. A partire dalla loro capacità di essere più flessibili ed efficienti. Le Pmi ”tendono a non dare alle difficoltà le stupide risposte dei grandi gruppi, come tagliare indiscriminatamente i costi, e quindi si riprendono più velocemente”. Le Pmi sono più vicine ai loro clienti e spesso c’è più fiducia tra i manager e i lavoratori, e questo significa più flessibilità di lavoro. Un esempio è Sonogar 5, gruppo commerciale basato a Parigi che vende lussuosi equipaggiamenti multimediali e di navigazione per le auto. Il proprietario, Hugo Delpierre, si è tagliato il compenso e programma di dimezzare il suo centro di vendita nel centro di Parigi per condividerlo con un’altra azienda, ”per sopravvivere”. I grandi gruppi sono naturalmente i maggiori destinatari di aiuti di stato, ma anche i piccoli stanno ottenendo aiuti. I governi stanno ordinando alle banche di prestare anche alle Pmi, mettendo la loro garanzia sul credito, sospendendo il pagamento di alcune tasse e spingendo la pubblica amministrazione a pagare loro i suoi debiti. Belgio, Francia e Italia hanno adottato la linea più dura con le banche; i primi due hanno introdotto reti nazionali di mediazione creditizia, che hanno il potere di prendere le parti delle Pmi nelle negoziazioni, l’Italia monitora le sue banche. I mediatori sono molto efficaci, dicono gli imprenditori, anche se molte Pmi hanno troppa paura di coinvolgerli per non irritare le loro banche. Eyetronics, azienda belga con 10 anni di vita che fa scanning tridimensionali per i film di Hollywood e per i videogiochi, ha avuto bisogno di sette mesi per ottenere i finanziamenti necessari alla sua prossima fase di crescita, nonostante una crescita da record del giro d’affari. Sono le Pmi più giovani e innovative a subire le maggiori minacce da parte della stretta creditizia e della recessione, e sono loro ad avere più bisogno di aiuto pubblico, dice Reinhilde Veugelers di Bruegel, un think-tank di Brussels. Perché i loro prodotti sono nuovi e non ancora del tutto compresi dal mercato. Per molto tempo le banche hanno avuto paura di concedere credito a queste aziende, impendendo a molti gruppi innovativi di crescere. Solo tre aziende europee fondate dopo il 1975 sono entrate nella classifica delle 550 maggiori compagnie del mondo, spiegano da Bruegel, mentre ci sono riuscite 25 imprese americane e 21 gruppi delle economie emergenti. I governi europei hanno quindi molti motivi per aiutare le loro Pmi a superare la crisi.