Filippo La Porta, Il Riformista 31/05/2009, 31 maggio 2009
LA RIVOLUZIONE DELLA SETTIMANA ENIGMISTICA
Quando a vent’anni ero estremista credevo nella Rivoluzione in Italia. C’era però un elemento - minuscolo, apparentemente insignificante - che disturbava senza volerlo il mio ottimismo palingenetico e che sembrava confutare, da solo, qualsiasi dialettica della storia: le vignette della Settimana Enigmistica. In che senso? Provo a spiegarlo.
Anche quando la mia immaginazione utopica riusciva a concepire un mutamento istantaneo, quasi miracolistico, di ogni sfera dell’esistenza - politica, economia, eros, lavoro, famiglia (tale era la fede nella Rivoluzione) - a un certo punto incontrava una resistenza granitica, in quelle vignette. Le quali, atemporali e immutabili come idee platoniche, stavano lì a confermare la refrattarietà della natura umana (o se preferite della popolazione italiota) a ogni significativa trasformazione. Nel mondo accadeva di tutto: guerre e guerriglie di liberazione, uccisioni di presidenti, rivoluzioni culturali cruente, rivoluzioni sessuali incruenti, tentativi fricchettoni di comunità libere, gruppi velleitari nonché verbosissimi di autocoscienza, primavere di bellezza e di spinelli, ma poi in estate quando compravo la Settimana Enigmistica, ecco che la realtà intorno a me tornava ad essere, fatalmente, quella di sempre, fatta di suocere invadenti e brontolone, di mogli ciccione e dispotiche (e super-avide), di segretarie avvenenti e timidissimi travet (umiliati da burberi capufficio), di mariti oziosi, cialtroni, e tendenzialmente fedifraghi…Dietro quei disegni trascorreva l’intero immaginario ossessivamente familista del nostro paese, sempre uguale a se stesso. Lì scoprivamo che da noi davvero il privato è politico e perciò la politica non riesce a far presa su nulla!
Digressione (o Elogio Pubblico del «settimanale che vanta innumerevoli tentativi di imitazione», dall’anno della sua nascita, il 1932). Sì, perché ogni estate, dall’età di undici anni, acquisto la Settimana Enigmistica: evento lieto e puntuale rito stagionale. Certo sono un lettore atipico, balneare…, ma chi non lo è di questa rivista? Nei suoi confronti mi dichiaro, tra l’altro, debitore di svariate cose. Di avermi intrattenuto durante le uggiose, interminabili mattinate in cui venivo deportato da mia madre in uno stabilimento di Ostia, giusto dopo la fine della scuola. Rispetto a Topolino e Tex Willer stimolava le funzioni intellettuali ed era un medium interattivo (specie nelle parole crociate a schema libero e negli incroci obbligati, che via via mi azzardavo a tentare). Poi mi ha aiutato a liberarmi della paura di volare. In un tragitto Roma-New York ero così assorbito nei suoi quiz e rompicapo logici (ricordo almeno la Susy e il Corvo Parlante) da trascurare ogni turbolenza. In età matura invece il settimanale è stato un canale di comunicazione tra me e mio figlio, un linguaggio condiviso, un oggetto comune di passione, anche se lui ha una vocazione, ereditata dalla madre, per i rebus. A proposito: sapete dirmi quale tipo di "intelligenza" specifica è richiesta per risolvere un rebus, per comporre la frase formata da lettere e figure(sempre elegantissime, oniriche, surreali)? Abilità logico-percettiva? Gusto dell’osservazione? Attitudine al puzzle linguistico? Mera esperienza nel genere? Io non l’ho ancora capito e per ripicca tendo a minimizzarla… Si aggiunga che oltre alla ginnastica mentale, all’allenamento ai giochi verbali e alle sciarade, alla pratica costante di anagrammi, sinonimi, acrostici, etc. (la consiglio per chiunque si occuperà professionalmente di traduzione), la Settimana enigmistica non prevede spazi per la pubblicità. Non ne ha bisogno dato il numero di copie vendute (né gode di finanziamenti pubblici)! Non vi sembra una salutare boccata d’aria dopo aver sfogliato i corposi magazine dei quotidiani? Fine della digressione.
Quando però lo scorso sabato, sulla spiaggia di Alghero appena pulita e invasa dai moscerini, ho preso la prima Settimana enigmistica della stagione (il numero 480193!) ho avuto come un sussulto. Per la prima volta accanto al repertorio consueto, a questo punto quasi rassicurante, di corna e vessazioni, di interni famigliari molto convenzionali e improbabili psicanalisti, irrompevano in quello spazio inviolato e acronico temi legati alle nuove tecnologie, alla sensibilità attuale, ai new media, al riscaldamento globale e alle auto ibride. Per la prima volta, almeno a me è accaduto con questo numero, la Settimana enigmistica si accorge che il mondo sta cambiando, e dunque rinuncia al suo particolarissimo status metafisico, riconosce il divenire - così inviso a Parmenide e Emanuele Severino. Cosa è successo? Una intera generazione di disegnatori e sceneggiatori è stata messa in pensione? scomparsa in un incidente sulla nave da crociera dove si festeggiava il settantesimo anniversario? Certo è che i temi della contemporaneità vi vengono rappresentati con umoristica sottigliezza di sguardo, quasi una variante visiva e pop della nobile "critica dell’ideologia". Farò solo qualche esempio limitato alle due pagine raccolte sotto il titolo - immagino inalterato dal 1932 - "Per rinfrancar lo spirito…".
Due coppie di amici si incontrano, presumibilmente in un dopo-cena, con i bicchieri di liquore in mano (uno dei due mariti ha un golf collo alto un tantino demodée). Il dialogo è il seguente: «- Vi va di vedere le foto delle nostre vacanze? - Ah sì, davvero belle… le abbiamo già viste sul vostro blog». Uno scambio degno di Woody Allen. In questo caso le chance offerte dalla tecnologia non incrementano la socialità ma la azzerano. A che pro rivederci per le foto quando già sono visibili in Rete sul blog? Un’altra vignetta costituisce un geniale riadattamento di clichè. Si intitola semplicemente "Il colmo della tecnologia". La cornice è arcinota. I due naufraghi, su due minuscole isole contigue provviste delle palme solitarie d’ordinanza. Una volta però i due avrebbero comunicato tra loro, magari con veloci battute. Ora invece uno vede con estrema (disperata?) concentrazione l’altro su un monitor collegato attraverso un cavo che passa sotto l’acqua ad una telecamera messa sull’altro isolotto, la quale ritrae l’altro che appare un po’ più festoso(sa di essere ripreso, si piega comunque alla legge dello spettacolo…). Nella terza vignetta il solito bandito entra in banca incappucciato, spaventa a morte con una pistola i due cassieri, ma non dice frasi come «Questa è una rapina!» oppure «Datemi tutti il denaro», bensì: «Sono qui per estinguere il conto corrente di tutti!». Dove si incrociano una percezione del carattere immateriale della ricchezza (all’origine della crisi finanziaria) e la ricerca di un lessico vagamente ricercato o più "tecnico" da parte dello stesso gangster(alfabetizzato).
In un’altra ancora vediamo una coppia seduta su un divano davanti a uno sterminato televisore al plasma, che occupa l’intera parete della stanza. I due però lo disdegnano e sono chini sui loro cellulari, chiedendosi ansiosamente: «Che altro possiamo guardare sul lettore portatile?». Infine, lì dove campeggia la scritta "Agriturismo" il gestore, di fronte al cliente con valigia appena entrato, si rivolge a un gallo: «Il signore vuole essere svegliato alle sette e un quarto, capito?». Sì, lo so, è più scipita delle altre, ma vivaddio parla di agriturismi!
No, effettivamente la natura umana è relativamente modificabile e i problemi della vita quotidiana acquistano in ogni epoca storica una veste diversa. Nell’ultimo mezzo secolo una rivoluzione c’è stata, benché in direzione assai diversa da quella che alcuni di noi auspicavano. Ora che anche la Settimana Enigmistica l’ha registrata - e la racconta con piglio critico-divertito - ne ho finalmente la certezza. Quando poi vediamo in una vignetta che il cameriere chiede al cliente di ripetere l’ordinazione perché lo chef ha accidentalmente schiacciato il tasto "cancella", ci viene qualche apprensione. Come se quel tasto incombesse oggi su ogni nostra attività ed esperienza…