Varie, 2 giugno 2009
SCHRDER PER FOGLIO DEI FOGLI
L’uomo che ha sconfitto Sergio Marchionne nella battaglia per la conquista di Opel conosce a memoria tutte le poesie di Rainer Maria Rilke, ha per canzone preferita In the ghetto di Elvis Presley e in gioventù era conosciuto come Acker per la potenza con cui ”arava” i campi di calcio. L’uomo che ha sconfitto Marchionne non è l’austro-canadese Frank Stronach, fondatore di Magna, terzo nella classifica mondiale dei produttori di componenti per auto. L’’aratore” in questione è Gerhard Schröder, dal 1998 al 2005 cancelliere socialdemocratico della Germania, adesso presidente del comitato degli azionisti di Nord Stream, il consorzio controllato dalla russa Gazprom che costruirà il controverso gasdotto tra la Russia e la Germania.
Gerhard Fritz Kurt Schröder nacque a Mossenberg, in Bassa Sassonia, il 7 aprile 1944. Il padre Fritz, manovale coscritto come caporalmaggiore nella Wehrmacht, fu ucciso appena sei mesi dopo, il 4 ottobre 1944, in un piccolo villaggio della Romania durante la ritirata dal fronte orientale. La madre Erika, una donna delle pulizie a detta del figlio «socialdemocratica nata», si risposò. Ha raccontato Lothar Vosseler, fratellastro del futuro cancelliere, autore nel 2004 di Der Kanzler (leider mein Bruder), und Ich - Il cancelliere (purtroppo mio fratello), ed io: «Mio fratello era sempre il primo a servirsi a tavola e di solito prendeva per sé la parte migliore, lasciando me e le mie sorelle quello che avanzava». E poi: «A Gerhard piaceva frequentare ambienti diversi, e questa sua mania di scalare la società ha progressivamente rovinato i rapporti con la famiglia».
Nel 2006 Schröder ha pubblicato un’autobiografia intitolata Entscheidungen. Mein Leben in der Politik (Scelte. La mia vita nella politica): «Il primo ricordo nella Memoria della mia vita è il rumore sordo del pallone da calcio che sbatteva contro la parete delle case provvisorie dove abitavamo, ai margini d’un campo sportivo. Era il 1950. Il secondo: la tosse del mio patrigno. Prima soffocata, poi penetrante come il cigolio di una porta arrugginita - la tubercolosi gli divorò i polmoni - lavorava presso le autorità occupanti britanniche, i Tommys, come li chiamavamo. Non so esattamente cosa facesse per loro, ma ricordo il pane bianco e la carne in scatola, che portava a casa, forse rubandole. Avevamo sempre fame».
Adolescente, Gerhard lavorò come venditore in un negozio di ferramenta, poi in uno di porcellana e partendo dalle serali arrivò fino alla laurea in Giurisprudenza all’Università di Gottinga, dove si era iscritto per seguire le orme del suo idolo Perry Mason. Tra i più famosi aneddoti della sua giovinezza, c’è quello che racconta di quando, vittima di uno sfratto, portò in braccio la madre disperata e le promise che un giorno sarebbe andato a prenderla a bordo di una Mercedes. Poco dopo la vittoria elettorale del 1998 mantenne la promessa andando dalla madre a bordo di un’enorme limousine di Stato: «Vedi - le disse - adesso sono diventato cancelliere».
Per modello Helmut Schmidt, futuro cancelliere allora ministro del governo regionale di Amburgo, a 19 anni Schröder si iscrisse agli ”Jusos”, i giovani della Spd, il partito socialdemocratico tedesco. Simpatizzante della socializzazione dei mezzi di produzione secondo il modello jugoslavo (la cui parola d’ordine era ”democrazia delle ruote”), il giovane Gerhard si distinse nell’organizzazione dei soccorsi durante un alluvione che aveva colpito Gottinga e fin dall’inizio si dedicò alle questioni logistiche: le pubbliche relazioni e la cassa. Durante il Sessantotto frequentò poco le piazze: «Studiare era un privilegio così grande che non potevo immaginare di rinunciare anche a una sola lezione». Prima dei trent’anni si sposò due volte: con la bibliotecaria Eva Schubach (1968) e con la maestra e militante socialdemocratica Anne Taschenmacher (1974).
Animato da un’«impressionate volontà di potere», come avrebbe raccontato molti anni più tardi l’ex leader della Spd Hans Jochen Vogel, nel 1979 Schröder divenne presidente dei giovani socialisti. Nel 1982, già deputato, la polizia lo trovò alticcio, aggrappato all’inferriata della cancelleria di Bonn, mentre gridava: «Voglio entrare qui dentro!». Nel 1984 celebrò con l’intellettuale vegetariana Hiltrud Hampel il terzo matrimonio, nel 1986 divenne presidente della Spd nella Bassa Sassonia, nel 1990 guidò il partito alla conquista del Land da tempo nelle mani della Cdu. In questo periodo divenne famoso grazie a due talenti apparentemente inconciliabili: i rapporti priviligiati con gli imprenditori (la Bassa Sassonia è la patria degli stabilimenti Volkswagen) e l’apertura nei confronti della politica ambientale dei verdi, con i quali formò la prima coalizione di governo rosso-verde a livello di Land.
Da subito anche gli avversari ne riconobbero le doti: la capacità di spiegare concetti noiosi o difficili in modo chiaro e interessante, il senso dell’umorismo, la padronanza di sé, la facilità nei rapporti con i media (l’avrebbero chiamato der Medienkanzler, il cancelliere mediatico). Fin dall’inizio ebbe però molti critici tra i membri del suo stesso partito, che l’hanno sempre considerato troppo vicino al mondo industriale. A chi gli rinfacciava la fama di «compagno dei padroni», Schröder ha sempre ribattuto con fierezza: «So da dove vengo e a chi appartengo». Formata negli anni Novanta insieme a Oskar Lafontaine e a Rudoplh Scharping la cosiddetta ”troika” dell’Spd, la sua popolarità oscurò in breve tempo il ruolo politico degli altri due.
Nel 1997 Schröder si sposò per la quarta (e finora ultima) volta con la giornalista Doris Köpf, insieme alla quale hanno adottato a San Pietroburgo con l’aiuto dell’amico Vladimir Putin due bambini russi, Viktoria e Gregor. Nel 1998 prese il potere sconfiggendo Helmut Kohl, cancelliere dal 1982 e padre della riunificazione tedesca. Ottenuto nel 2002 un nuovo successo, stavolta di misura, il primo luglio 2005, dopo che nel precedente mese di maggio la coalizione rosso-verde era stata sconfitta alle elezioni in Nord Reno Vestfalia, Schröder ”chiese” al Bundestag un voto di sfiducia in modo da poter andare al voto anticipato: uscito dalle urne un risultato di sostanziale pareggio, per colpa di uno scarso 1% fu costretto a lasciare ad Angela Merkel la guida della ”grosse koalition” (grande coalizione) che da allora guida la Germania.
«Abile nel mandare in scena i suoi rari successi come i suoi numerosi insuccessi»: così qualche anno fa un redattore politico dell’amburghese ”Die Zeit” descrisse Schröder, che persa la cancelleria si è trasformato in un brillante uomo d’affari. La carriera è iniziata a dicembre 2005, quando è diventato presidente del consiglio degli azionisti del gasdotto Nord Stream, un progetto guidato dal gigante del metano russo Gazprom che collegherà direttamente la Germania e la Russia, aggirando i Paesi Baltici e la Polonia, un progetto da lui stesso sostenuto quando ancora era cancelliere. Oggetto di forti critiche in patria, si difese: «L’ho appoggiato perché lo considero giusto. Ho 61 anni e voglio lavorare, senza rimanere a casa facendo innervosire mia moglie».
A prescindere dalla normale polemica politica, la questione è sembrata una clamorosa caduta di stile anche a molti osservatori neutrali. Scrisse ad esempio Enzo Bettiza sulla ”Stampa” del 16 dicembre 2005 (titolo: «Da premier a petroliere»): «L’alibi del ”privato cittadino” che può fare quello che vuole, una volta lasciata la carica pubblica, regge malamente nel caso specifico. Schröder, difatti, si è servito non di una semplice carica amministrativa, ma della massima carica politica dello Stato federale per imbastire a suo tempo dall’alto i fili di una potente joint-venture russo-tedesca (controllata al 51 per cento dai russi) della quale in un baleno, appena uscito dal governo, è diventato supermanager e socio. Non era mai successo che un Cancelliere assumesse così fulmineamente un incarico in un’impresa egemonizzata addirittura da una potenza straniera in concorrenza con l’Europa».
Schröder, oggi ideatore e mediatore d’affari a cavallo tra Mosca e l’Occidente, non ha mai nascosto la sua ammirazione per Putin. Ha scritto nella sua autobiografia: «Mi colpì dall’inizio la sua forma fisica. Per governare un paese così gigantesco, ne ha bisogno. La sua visione è la ricostruzione della Russia come potenza mondiale che parla a pari dignità con l’America. Per questo ha bisogno di relazioni sempre più strette con l’ Europa, prima di tutto dell’appoggio della Germania». Nello scorso settembre, in corso la crisi georgiana, fece scalpore la sua accorata difesa della Russia durante la cena a pagamento di un’organizzazione non governativa («L’Occidente ha sbagliato tutto, Mosca ha fatto quasi tutto giusto», sintetizzò la ”Süddeutsche Zeitung”, quotidiano della sinistra riformista che lo ha spesso appoggiato quando era cancelliere). A gennaio è entrato come ago della bilancia nel consiglio di amministrazione della joint-venture russo-britannica Tnk-Bp (unico membbro gradito ad entrambe le parti).
Alla vigilia delle elezioni del 2005 lo scrittore tedesco Peter Schneider scrisse che tre erano le persone veramente importanti nella vita di Schröder: la moglie Doris, il capo della segreteria signora Sigrid Krampitz e Franz-Walter Steinmeier, capo del suo gabinetto adesso ministro degli Esteri nella grosse koalition della Merkel (e candidato cancelliere della Spd alle prossime elezioni). E qui arriviamo al caso Opel: «La Magna è un’opzione più seria della Fiat», aveva detto Steinmeier già alla fine d’aprile. La stampa tedesca ha subito indicato in Schröder l’eminenza grigia dietro alla cordata formata da Magna con la banca moscovita Sberbank (controllata dal Cremlino) e l’industria automobilistica russa Gaz dell’oligarca Oleg Deripaska (vicino a Putin). Il 7 aprile Siegfried Wolf, amministratore delegato di Magna, era stato visto alla festa di compleanno dell’ex cancelliere. Secondo le ricostruzioni più ardite, sarebbe addirittura stato Schröder, spinto dai russi, a coinvolgere Magna nella conquista di Opel. E sarebbe stato lui a procurare a Sberbank, in grave crisi, il prestito da quattro miliardi di euro concesso da Commerzbank, recentemente salvata dallo Stato tedesco con l’acquisto di una quota del 25%. Per questo, si dice, nella battaglia per la Opel gli sconfitti sono due: la Fiat e i contribuenti tedeschi.