Alberto Bisin, La Stampa, 2/6/2009, 2 giugno 2009
USA-CINA, VOGLIA D’EQUILIBRIO
Il ministro del Tesoro americano Tim Geithner è in Cina. La visita è importante perché rappresenta il tentativo dell’amministrazione Obama di delineare coordinatamente con la Cina gli equilibri che le due economie si troveranno ad affrontare una volta che la crisi economica sia risolta.
Naturalmente, il solo fatto che il governo americano proponga alla Cina soluzioni concordate ai disequilibri economici globali è un riconoscimento al ruolo sempre più fondamentale che l’economia cinese giocherà nel garantire la crescita economica nei prossimi decenni. Ma anche astraendo da considerazioni sui possibili futuri equilibri strategici, le questioni economiche sul tappeto sono estremamente complesse.
Si tratta di iniziare a definire un nuovo ordinamento del mercato dei cambi e una strategia che permetta un ribilanciamento della bilancia commerciale della Cina nei confronti degli Stati Uniti, ma anche dell’Europa. A partire dal 2000 l’economia cinese ha prodotto enormi e crescenti avanzi di bilancia commerciale, cioè ha esportato beni più di quanti ne abbia importati, per un valore che il Fondo Monetario Internazionale stima in circa 440 miliardi di dollari nel 2008. Normalmente, in economie di mercato, avanzi di questa entità tendono a riassorbirsi, più o meno rapidamente.
L’aumento delle esportazioni genera ricchezza che tende ad essere in parte consumata in beni e servizi prodotti nell’economia stessa così come in beni di importazione. Un ruolo importante in questo meccanismo di aggiustamento ha anche il tasso di cambio, che tende ad apprezzarsi a fronte di avanzi commerciali, rendendo le esportazioni più costose e le importazioni meno costose.
Tutto questo non avviene nel caso degli avanzi commerciali della Cina nei confronti del resto del mondo. I cinesi continuano ad accumulare risorse senza troppo aumentare i consumi e il cambio dello yuan si è apprezzato a partire dal 2006, ma solo del 15%. Perché? Innanzitutto perché la Cina non è un’economia di mercato; il governo controlla attivamente il tasso di cambio dello yuan, impedendone l’apprezzamento rispetto al dollaro e all’euro che il mercato richiederebbe. Il governo cinese controlla anche rigidamente lo sviluppo industriale del Paese, favorendo i settori che producano beni per l’esportazione rispetto a quelli orientati alla domanda interna. E così i consumatori cinesi, davanti a mercati e prezzi distorti a sfavore del consumo, risparmiano massicciamente: il 50% del prodotto interno lordo nel 2007. Per avere un’idea di cosa questo significhi, basta pensare che il tasso di risparmio in Italia negli Anni 60, notoriamente elevatissimo, non raggiungeva il 30%.
Questo spiega cosa il ministro Geithner è andato a chiedere alla Cina: un apprezzamento dello yuan rispetto al dollaro e una politica industriale più favorevole al consumo interno e alle importazioni, che possa agire da traino dell’economia globale nel prossimo decennio. O è la Cina (con l’India) a produrre crescita globale, o ci aspetta un decennio di relativa stagnazione.
I consumatori americani, le cui spese hanno in larga parte sostenuto la crescita globale nel decennio passato, saranno infatti costretti in futuro ad aumentare i risparmi per ripagare i debiti pubblici e privati che essi hanno accumulato.
Nonostante il tono ben più conciliante dell’amministrazione Obama, rispetto all’amministrazione Bush, le autorità cinesi non hanno tutte le carte a proprio favore. Nel lungo periodo la Cina favorirà lo sviluppo di una moneta internazionale di riserva alternativa al dollaro, e gli Stati Uniti hanno necessità di rallentare e coordinare questo inevitabile processo con le autorità cinesi. Ma nel breve periodo il governo cinese ha investito gli enormi avanzi di bilancia commerciale accumulati in questi anni in attività finanziarie americane (700 miliardi di dollari, soprattutto titoli di debito pubblico). Un forte indebolimento del dollaro avrebbe quindi effetti drammatici sull’economia cinese. Un’inflazione sostenuta negli Stati Uniti permetterebbe di scaricare sui cinesi una parte sostanziale del costo di ripagare il debito pubblico americano. Il ministro Geithner cercherà di rassicurare le autorità cinesi a questo proposito, ma la minaccia inflazionistica resta chiara e forte, e rappresenta la carta che gli americani giocheranno per convincere la Cina ad accettare le proprie richieste. In buona sostanza entrambi i paesi hanno interesse ad un riequilibrio degli scambi nell’economia globale del prossimo decennio, per poter meglio governare l’inevitabile spostamento del baricentro dell’economia a favore della Cina e delle altre economie asiatiche.
alberto.bisin@nyu.edu