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 2009  maggio 30 Sabato calendario

«SPENGO I GENI DEI TOPI PER SCOPRIRE I SEGRETI DELL’UOMO»


Prima di parlare vuole sapere di Il­debrando Pizzetti, quello dell’«Assas­sinio nella Cattedrale», l’opera della sera prima alla Scala. Vuole essere si­curo di saper pronunciare bene il no­me. Glielo scrivo su un foglietto. E Oliver Smithies comincia la sua lezio­ne a Milano, al congresso mondiale di nefrologia, col parlare dell’Opera. «Anch’io come l’Arcivescovo di Can­terbury ho passato la vita a difendere le mie idee. Me l’ha insegnato mia madre». Aveva undici anni quando decise che da grande avrebbe fatto l’inventore, e Oliver Smithies inven­tore lo fu davvero, fino al Nobel per la medicina nel 2007. Prima di lui dei rapporti fra geni e malattie si sapeva pochino. Perché in due gemelle iden­tiche la stessa mutazione, cioè un ge­ne un po’ diverso dal normale, porta a due manifestazioni di malattie mol­to diverse, un danno al rene e la ceci­tà ad un occhio? E perché con una mutazione un altro bambino ha una malattia meno grave?

Capire le funzioni

Senza gli studi di Oliver Smithies, Mario Capecchi e Martin Evans a queste domande non avremmo mai saputo rispondere. I tre scienziati hanno trovato il modo, nel topo di laboratorio, di togliere di mezzo questo o quel gene, che serviva per capirne la funzione. «Se togliendo un certo gene gli animali hanno debolezza ai muscoli quello potrebbe essere il gene della distrofia muscolare. Se ne si spegne un altro e gli animali perdono la memoria, quello è uno dei geni che aiutano a ricordare» continua Oliver Smithies.

Ma come si fa a spegnere un gene? Immaginiamo un libro con migliaia di pagine e che abbia migliaia di parole per ciascuna pagina. Il libro sta in una libreria con 3000 di questi li­bri. Libri, parole e lettere insieme fan­no l’informazione genetica degli uo­mini. Con un sistema che gli scienzia­ti chiamano «gene targeting» si può per esempio togliere la cinquantase­iesima parola di pagina 700 del volu­me 1250 e vedere cosa succede. Op­pure se la sessantasettesima parola di pagina 30 del volume 600 è sba­gliata la si può sostituire con quella giusta. «Per arrivarci bisognava pri­ma riuscire a spegnere proprio il ge­ne che volevamo spegnere e solo quello. E non era facile, il topo di ge­ni ne ha 25.000. Abbiamo sfruttato la capacità dei geni di fare ricombina­zione omologa». Cosa vuol dire? Smi­thies e Capecchi hanno introdotto nel nucleo di una cellula il pezzetti­no di Dna di interesse fiancheggiato da tratti di sequenze uguali a quelle del gene che volevano spegnere o so­stituire. Queste sequenze erano in grado di trovarne altre, identiche, e ricombinarsi.

«Il secondo problema era arrivare ad un topo che avesse le stesse carat­teristiche della cellula che eravamo riusciti a modificare. C’era un modo solo per farlo, ripetere gli stessi espe­rimenti con le cellule embrionali, ma bisognava imparare a coltivarle». Ci è arrivato Martin Evans. A quel pun­to lì Smithies, Capecchi e Evans pre­sero a cercare fondi ma queste ricer­che non le voleva finanziare nessu­no, né di qua né di là dall’oceano. «Pensare di togliere da una cellula embrionale proprio il gene che si vor­rebbe togliere, o metterci un pezzetti­no di Dna normale con l’idea che pos­sa sostituire quello malato, è velleita­rio. Fu questo più o meno il commen­to di chi ha giudicato le nostre propo­ste ».

Diecimila animali

Smithies e gli altri però non si la­sciarono scoraggiare e i primi risulta­ti arrivarono molto presto. «Il primo gene che abbiamo provato a spegne­re fu quello che codifica per un cana­le del cloro così abbiamo ottenuto to­pi con le stesse alterazioni degli am­malati di fibrosi cistica. Quei topi lì sono serviti a capire la malattia dell’ uomo, senza sarebbe stato impossibi­le pensare a una cura. Poi abbiamo spento il gene dell’apolipoproteina E, ne sono venuti topolini con l’atero­sclerosi ». Oggi ce ne sono almeno 10.000 di animali in cui è stato spento o modi­ficato un determinato gene e che giorno dopo giorno ci aiutano a capi­re di più dei rapporti fra geni e malat­tie. Oliver Smithies si è occupato an­che di ipertensione, e aveva una ra­gione speciale per farlo. «Mio padre morì giovane - dice ancora il geneti­sta inglese - , forse di infarto. Aveva la pressione alta. Ho sempre pensato che se ci fossero stati buoni farmaci non sarebbe morto. Poi un giorno, non ricordo di preciso quando, mi sono accorto che anch’io avevo la pressione alta. Ho provato con la re­serpina ma mi veniva la depressio­ne. Così ho smesso coi farmaci e ho ripreso a lavorare con i topi. Volevo capire perché aumenta la pressione con l’idea che solo così si sarebbero potuti trovare i farmaci giusti. Spe­gnevo i geni che potevano essere im­plicati uno dopo l’altro finché non ho trovato quelli giusti. Oggi per chi ha la pressione alta ci sono buone cu­re, grazie anche ai nostri topi».

Le buone cure

Se non abbiamo ancora buone cu­re per la maggior parte dei tumori è perché gli scienziati non sono anco­ra riusciti a fare con i geni dei tumori quello che Oliver Smithies ha fatto con i geni della pressione. Per i tumo­ri il discorso è più complicato per­ché sono centinaia, forse migliaia di malattie diverse. Ma prima o poi ci si arriverà.