Francesco Battistini, Corriere della Sera, 30/5/2009, 30 maggio 2009
IL SOLDATO COHEN E LA GUERRA DEL KIPPUR: «SCRISSI BUONE CANZONI»
GERUSALEMME – I canti, l’amor, l’armi, la guerra. Leonard Cohen ricorda tutto: «Sì, cantavo per l’esercito israeliano. Avevo paura che le mie canzoni, così malinconiche, non avrebbero aiutato il morale dei militari. Invece no. Mi accorsi presto che quei ragazzi, sotto le armi come me, fra una battaglia e l’altra non avevano bisogno che qualcuno suonasse inni al coraggio. Quando sei in quelle situazioni, la mente e il cuore sono più aperti a brani come i miei. Ne ricevi più forza».
Soldato Leonard Cohen. Aveva 39 anni. Era scoppiata la guerra del Kippur e anche lui, passaporto canadese e radici ebraiche, rientrato in Israele da una settimana appena, alla fine scelse di mettersi in divisa: «Era la prima volta che Tsahal arruolava gli artisti per una guerra, non ci vidi nulla di sbagliato ». Una pagina conosciuta, ma poco raccontata, nella vita del grande cantautore che oggi s’è convertito al buddismo. Una scelta che adesso, un attesissimo concerto in settembre a Tel Aviv, Cohen accetta senza reticenze: «Fu un periodo durissimo – confida a un giornalista israeliano ”. Il mio privilegio era d’avere ogni tanto una stanza d’albergo. Ma facevo anche due concerti al giorno. Mi venivano a prendere e mi portavano nel Sinai, a Eilat, nei reparti di prima linea dove se la dovevano vedere con gli egiziani. Una volta andai a cantare anche per un’unità che stava a Suez e che era quasi impossibile raggiungere...
». Periodaccio, dice. Anni 70, piombo dal cielo e nell’anima. Perché Leonard era già una leggenda, ma le cose andavano male con Suzanne. E non bastava averle dato un decennio e una canzone meravigliosa, averne ricevuto Adam e Lorca: c’era il tarlo della musica. E della depressione. Il ritorno in Israele fu deciso dalle coincidenze: «Organizzammo un tour in 23 città europee – ricorda Shmuel Tzemach, suo produttore – in coda ci mettemmo Tel Aviv e Gerusalemme. In una di queste serate, Leonard mi disse: ’Non ho mai fatto un concerto così bello’. Andò a casa. Ruppe con Suzanne. E scelse di tornare in Israele». Era il primo ottobre 1973 e Cohen aveva in tasca solo l’indirizzo d’un kibbutz, «non voglio raccogliere storie sentimentali, solo pomodori »: la guerra lo sorprese sei giorni dopo. E l’arruolò.
«Poeta, ribellati!» è l’appello che la settimana scorsa un gruppo di pacifisti inglesi gli ha lanciato, quando s’è saputo che l’artista avrebbe suonato «nel Paese che ha bombardato Gaza ». Traditore, gli han detto. Lui non ha risposto. La replica è nel ricordo di quel che fu la sua, di guerra: «I giorni più difficili della mia vita. Ma i migliori, per le mie canzoni». Quando tornerà a Tel Aviv, farà anche «Lover, lover, lover». Una ballata tristissima. Scritta in divisa.