Note: [1] M. D. C., Corriere della Sera 26/5; [2] Carlo Jean, Il Messaggero 26/5; [3] Il Sole-24 Ore 28/5; [4] Federico Rampini, la Repubblica 28/5; [5] Luca Miele, Avvenire 28/5; [6] Giampaolo Cadalanu, la Repubblica 30/5; [7] Stefano Carrer, Il Sole-24 , 30 maggio 2009
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 1 GIUGNO 2009
Alle 9.54 di lunedì mattina, a circa 10 chilometri di profondità, la Corea del Nord ha condotto un test nucleare nei pressi della città nordorientale di Kilju. il secondo della sua storia, dopo quello del 9 ottobre 2006. Ma è il più potente: tra i 10 e i 20 chilotoni (3 anni fa non si arrivava a uno), cioè l’equivalente degli ordigni americani che nel ”45 spianarono Hiroshima e Nagasaki. Nella stessa giornata il regime di Pyongyang ha effettuato il lancio di tre missili con una gittata di 130 chilometri cui ne sono seguiti altri nel corso della settimana. Secondo Yu Yingli, ricercatrice allo Shanghai Institute of International Affairs, si tratta della prosecuzione di una strategia ormai ben nota: «Mostrare forza, arrivare sull’orlo del precipizio, forzare la trattativa». [1]
Nonostante fosse stato considerato un mezzo fallimento, l’esperimento nucleare del 2006 aveva provocato una grande emozione. Carlo Jean: «Gli Usa, che l’avevano rifiutata, accettarono la richiesta di Pyongyang di negoziati bilaterali. Continuarono comunque a considerare essenziali quelli multilaterali ”a sei” con Cina, Russia, Giappone e le due Coree nei quali Pechino giocava un ruolo centrale. Accettarono anche di ridurre le sanzioni e di dare generosi aiuti. Cancellarono la Corea del Nord dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo. Promossero la distensione fra le due Coree, d’intesa con il presidente sudcoreano Roh, fautore di una riconciliazione. Seul stanziò miliardi di dollari per aiutare la disastrata economia della Corea del Nord e per sfamarne la popolazione. In cambio, Pyongyang promise di smantellare il reattore di Yongbyon, che produceva il plutonio per le sue bombe». [2]
Dopo poco più di un anno, le cose peggiorarono. Jean: «Nel dicembre 2008, la Corea del Nord rifiutò le verifiche previste dagli accordi presi. A Seul, Roh, fautore dell’apertura verso la Corea del Nord, venne sostituito dal nazionalista Lee». [2] In assenza di passi avanti sulla denuclearizzazione, Lee Myung-bak, in carica da febbraio 2008, ha varato un’intransigente stretta dei rapporti. [3] Dopo aver tenuto per anni un profilo basso nella speranza di un disgelo con la sua gemella-nemica, adesso il governo di Seul ha rotto gli indugi e ha aderito all’iniziativa di pattugliamento navale (è un’operazione a cui partecipano 95 nazioni in diversi mari, inaugurata dopo l’11 settembre 2001 sotto la guida degli Stati Uniti). [4] Per rappresaglia, la Corea del Nord ha fatto sapere che ritiene cessato l’armistizio del 1953 e ha proclamato di essere «di nuovo pronta alla guerra». [5]
La Corea del Nord si agita, minaccia, lancia missili: ma sarà un rischio vero per il mondo? Giampaolo Cadalanu: «Ormai quelli che Pyongyang chiama test e che buona parte del mondo vede come provocazioni, rischiano di rivelarsi più come tentativi grossolani di attirare l’attenzione che come concrete minacce per la pace». [6] Stefano Carrer: «Vari esperti militari temono la possibilità di un limitato scontro intorno al confine marittimo occidentale, area in cui il Nord ha dichiarato di ”non poter garantire la sicurezza” della navigazione e già teatro di incidenti nel 1999 e nel 2002». [7] Marco Del Corona: «Forse quello che disse una volta Walter Mondale è valido ancora adesso. Vice del presidente Jimmy Carter, e ambasciatore in Giappone con Bill Clinton tra il ”93 e il ”96, Mondale sostenne che chi pretende di essere un esperto di Corea del Nord è un bugiardo o un pazzo». [8]
La Corea del Nord nacque dalla divisione in due Stati della penisola coreana (colonia giapponese dal 1910 al 1945) al termine della Seconda guerra mondiale. Nel 1945 le Nazioni Unite assegnarono all’Unione Sovietica il compito di amministrare il Nord, agli Stati Uniti la responsabilità sul Sud. La linea di demarcazione fu fissata lungo il 38° parallelo. Nel 1948, falliti i negoziati per un’armonizzazione delle due amministrazioni, la Corea del Nord, comunista, e la Corea del Sud, a economia liberale, dichiararono formalmente la propria indipendenza, rivendicando la sovranità sull’intera penisola. La guerra di Corea (1950-1953), scoppiata dopo l’invasione del Sud da parte del Nord, provocò l’intervento degli Stati Uniti e della Cina e si chiuse con un armistizio che riportò il confine dov’era: al 38˚ parallelo. [9]
L’armistizio del ”53 mise fine a una guerra con un bilancio, in proporzione alla sua durata, più pesante del Vietnam: due milioni di morti fra cinesi e coreani, 44.000 militari americani uccisi. [4] Da allora non è mai stato firmato un accordo di pace e si sono susseguiti scontri, tensioni e rivendicazioni, sempre sul filo del conflitto. [3] Gli osservatori militari sembrano poco impressionati dagli ultimi eventi. [6] Rampini: «Ma nessuno aveva previsto il crescendo bellicoso degli ultimi mesi, tantomeno la sua accelerazione delle ultime ore: a fine 2008 il rifiuto delle ispezioni concordate nei siti nucleari di Pyongyang, il 5 aprile il lancio di un missile a lunga gittata inabissatosi in mare tra il Giappone e le Hawaii, lunedì il nuovo esperimento nucleare, seguito da test balistici ormai a cadenza quotidiana». [4]
Già in grave crisi economica, il regime nordcoreano è adesso messo a richio da una crisi dinastica. Nell’agosto scorso Kim Jong-il è stato colpito da ischemia cerebrale. [10] Gian Micalessin: «Secondo alcune voci proprio i segnali dell’imminente fine potrebbero aver innescato l’aggressività di un ”caro leader” preoccupato dalle mosse dei generali impegnati a bloccare il passaggio dei poteri al figlio più giovane». [11] Dietro l’apparente monolitismo il regime ha tre centri di potere: la famiglia Kim, l’esercito, il partito comunista. Alleati finché il leader è solido, potrebbero presto entrare in conflitto. Federico Rampini: «L’ultima successione fu lineare. Il fondatore del regime, Kim Il-sung, aveva designato il figlio Kim Jong-il in un congresso del partito nel 1980, ben 14 anni prima di morire». [12]
Kim Jong-il invece ha mantenuto l’incertezza. Rampini: «Con ogni probabilità vuole prolungare il principio dinastico. Ma ha tre figli maschi avuti da due donne diverse, nessuna delle quali è la sua consorte ufficiale. Il maggiore è il 37enne Jong-nam. Sembrava il favorito fino a un incidente fatale. Nel 2001 venne fermato dalla polizia dell’aeroporto di Narita mentre cercava di entrare in Giappone con una falsa identità (un improbabile passaporto della Repubblica dominicana): voleva andare a Disneyland-Tokyo. In seguito è stato fotografato nei casinò di Macao». Il secondogenito, Jong-chul, 28 anni, non sarebbe considerato affidabile. Invece Kim Jong-un, 25 anni, giudicato da chi lo conosce «il ritratto del padre», riscuoterebbe tutta l’attenzione del genitore. [12]
Ammesso che quest’alzata di scudi nucleari da parte del tiranno malato rientri in una torbida lotta di successione per aprire la strada del potere al prediletto dei suoi tre figli, «le incognite che circondano le mosse dello scandaloso Davide sono infinite quanto lo è l’impotenza dei Golia e della comunità internazionale a decrittarle e prevenirle. La soluzione del quesito coreano è ora affidata soprattutto alla coesione dell’America, della Cina e della Russia nell’affrontare i ricatti e la sindrome da accerchiamento di un regime nevrotico che ha elevato l’atomo al toccasana di tutti i suoi mali» (Enzo Bettiza). [13] Luca Viniciguerra: «C’è un unico paese al mondo in grado di disinnescare il rischio di un’escalation militare: la Cina. ”La Cina e la Corea del Nord sono vicine come i denti alle labbra”, disse una volta Mao Tse-tung. Niente di più vero». [14]
Da quando nel 2002 Pyongyang abbandonò gli accordi di non proliferazione nucleare e iniziò a ricattare la comunità internazionale con la minaccia atomica, scatenando così le sanzioni dei paesi occidentali, il sostegno economico cinese (esportazioni dirette e a aiuti di vario genere) si è quasi decuplicato. Kim Jong-il però non ha mostrato grande gratitudine e le sue scellerate mosse degli ultimi mesi hanno fatto perdere la faccia a Pechino, che continua comunque a sostenerlo. Vinciguerra: «Un’eventuale implosione della Corea del Nord riverserebbe un’ondata di profughi in Cina: almeno 500mila persone tenterebbero subito la fuga. Per Pechino sarebbero guai, perché la calata di un esercito di disperati creerebbe un’emergenza umanitaria immensa in un’area povera e sottosviluppata come l’estremo settentrione cinese». [14]
La dissoluzione del regime comunista potrebbe condurre alla riunificazione delle due Coree sotto l’egida del ”cugino” più ricco e più forte, cioè di Seul, scenario molto sgradito a Pechino, che però deve fare cessare il ricatto nucleare di Pyongyang, altrimenti il Giappone e la Corea del Sud avrebbero buon gioco a esigere un rafforzamento dei propri armamenti (magari con il sostegno degli Stati Uniti), altra pessima prospettiva per i cinesi. Vinciguerra: «Secondo alcune indiscrezioni, nella nomenklatura pechinese ci sarebbe (e non da ora) una corrente favorevole a sostenere una fronda interna al regime nordcoreano per destituire Kim Jong-il e sostituirlo con un altro uomo forte, in grado di impedire il collasso del paese e di riaprire i negoziati sul nucleare. Tuttavia, visto il clima di terrore che regna nei palazzi della politica di Pyongyang, il ribaltone non sembra una soluzione facile». [14]
Alla Cina non resta che un modo per riportare la Corea del Nord a più miti consigli: ridurre gli aiuti economici. [14] Francesco Sisci: «Come le armate che invadevano la Russia dovevano vincere prima del gelido inverno, Kim Jong-il deve vincere la sua campagna di provocazioni prima del freddo. Infatti oltre il 50 per cento delle sue forniture energetiche, per riscaldamenti ma anche solo per produrre l’elettricità per l’illuminazione domestica, arriva dalla Cina. Già negli inverni scorsi la Cina ha più volte avuto dei ”problemi” e interrotto le forniture per alcuni giorni, lasciando Pyongyang al freddo e al buio, un segnale minaccioso. Con l’avanzare della stagione più rigida poi il già scarso raccolto di cereali si riduce ulteriormente, e il cibo viene razionato. Ne fanno le spese i ceti più poveri, lontano dai grandi centri urbani, ma anche i gerarchi privilegiati. Quindi l’estate è per il dittatore la stagione delle manovre politiche, fino al ritorno della dipendenza dai suoi vicini.». [15]