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 2009  maggio 30 Sabato calendario

Pubblichiamo un estratto dell’autobiografia di Mama Africa (Makeba - La storia di Miriam Makeba, Edizioni Gorée, pagg

Pubblichiamo un estratto dell’autobiografia di Mama Africa (Makeba - La storia di Miriam Makeba, Edizioni Gorée, pagg. 293). - Quando ritornai in America sapevo che il richiamo dell’Africa stava diventando più forte. Tutti i neri in America, Sud America e Africa parlavano di liberazione e indipendenza. Ma non erano solo i neri che facevano qualcosa per la nostra liberazione in Africa. Molte persone erano interessate a ciò che stava succedendo nel mio continente. Tra loro c’era Marlon Brando. Una sera ero ingaggiata per cantare in un coffee shop a Melrose, Los Angeles. Stavo allo Chateau Marmont, cioè dove stavo sempre quando cantavo a Los Angeles. Ero con Bongi. Il coffee shop era un posto chiamato Troubadour dove un sacco di studenti venivano a vederci esibire. Nell’intervallo dello spettacolo di quella sera, ero seduta nel mio piccolo camerino (circa 60 centimetri per 120) quando una cameriera entrò e mi disse che il signor Brando desiderava vedermi. Le dissi: «Per favore! Marlon Brando, qui? Se ne vada!». Alla fine della seconda parte dello spettacolo, Marlon Brando in persona venne da me. Disse: «Sono Marlon Brando. Le chiedo di unirsi al nostro tavolo». Ero senza parole. Andai a raggiungerlo al suo tavolo. Sedetti lì stordita. Ero ancora molto timida, così mi sedetti semplicemente in un angolo. Allora non bevevo, ma oggi lo faccio. Stavo seduta e ascoltavo. Imparavo molto solo ad ascoltare gli altri. Tra le esibizioni in questo club, c’erano sempre dei ballerini, comici o altri intrattenitori. Quella sera c’erano ballerini di flamenco. Ritornai sul palco per la mia terza e conclusiva serie di canzoni. Dopodiché Marlon Brando mi chiese di unirmi a lui per un caffè. Dopo avere chiamato Bongi e la donna che se ne prendeva cura per informarle che avrei fatto tardi, uscii con Marlon Brando. Pensai che saremmo andati in un ristorante o in qualche altro posto, ma mi portò a casa sua. Non avevo mai visto nulla di così bello in vita mia. Svettava in cima a una collina. Da ogni angolo della casa c’era questa vista panoramica su differenti parti della città. Durante il caffè mi pose molte domande sul Sud Africa. Avevamo divergenze sulla mia nazione. Dopo so solo che stavamo discutendo. Lui mi diceva: «Oh, ma l’enciclopedia dice...», e io sbuffavo dicendo: «Per quanto mi riguarda io so nulla di nessuna enciclopedia. Ma so parecchio del posto da cui vengo!». Alla fine il signor Brando disse: «Lei ha una personalità dissociata, signorina Makeba. Un minuto è mite e calma come un agnello. Ma appena qualcuno parla del suo Paese diventa una leonessa». Mi sentii così imbarazzata. Ma restammo a conversare fino a tarda notte. Il signor Brando mi disse che il mattino dopo doveva andare sul set per fare un provino, così mi suggerì di restare nella stanza degli ospiti. La mattina il signor Brando mi accompagnò in macchina giù per la collina dove si trovava la sua villa fino allo Chateau Marmont. Quando mi fece scendere camminò con me fino alla mia porta. Bongi era in piedi e mi aspettava a occhi spalancati. Lui esclamò: «Chi è questa con degli occhi così belli? Potrei prenderli e mangiarli». Quando se ne andò Bongi mi chiese: «Chi è quello che mi vuole prendere gli occhi e mangiarli?». Glielo dissi. Per poco non muore dall’eccitazione. In seguito Marlon Bando mi invitò a Washington per la prima del suo film Missione in Oriente. Era un film politico e controverso. Aveva invitato funzionari del governo. Mi chiese di aiutarlo a invitare tutti gli ambasciatori africani e lo feci. La maggioranza di loro venne. Anche due dei fratelli Kennedy vennero. Andai alla conferenza stampa che si tenne prima della proiezione. Parlai del Sud Africa. Anche il signor Brando parlò, in modo così eloquente. Da lui e da Harry Belafonte imparai molto sul gestire le interviste con sicurezza. Marlon Brando e Belafonte sapevano di cosa stavano parlando quando venivano loro poste delle domande. Io me ne stavo là seduta, li guardavo e imparavo. Restavano calmi anche se gli venivano fatte le domande più ridicole. Sorridevano. Lasciar correre. Mai dare di testa. Mai perdere la calma. Qui c’erano questi due che erano persone così occupate, ma trovavano sempre il tempo per essere gentili, per essere educati. Lo imparai. Non mi rendevo conto che i miei incontri con loro mi stavano preparando per una fase successiva della mia vita.