Marco Damilano, L’Espresso, 4 giugno 2009, 4 giugno 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 4 GIUGNO 2009
Dario contro Golia Un lungo tour elettorale. Comizi in paesi sperduti. Attacchi a Berlusconi. Per Franceschini alle Europee la posta è doppia: la tenuta del Pd e la sua leadership. Una sfida impossibile?
E ora non dite più che il Pd non parla all’Italia profonda... Scherza Dario Franceschini infilandosi nella tasca dei pantaloni un sacchetto rosso portafortuna che gli regala una signora. E già, cosa c’è di più profondo di Sorgono, un pugno di paese con meno di 2 mila abitanti in provincia di Nuoro, nel cuore del Mandrolisai, il centro geografico della Sardegna, lontano dal mare, dai centri abitati, lontano da tutto? Arriva qui il segretario del Pd, dove mai leader nazionale ha messo piede, dopo due ore di strada con curve micidiali, fino alla stazioncina Desulo-Tonara inaugurata nel 1897 e ibernata nel tempo, da lì sale sul trenino per raggiungere una piccola folla che lo attende alle due del pomeriggio sotto il sole. Un vecchietto si avvicina: "Non andare via dopo le elezioni!". Franceschini sorride e sceglie questo luogo dimenticato per ammettere quello che finora ha sempre negato forse anche a se stesso: "Mi arrivano numerosi messaggi di questo tipo: non potete cambiare leader ogni tre mesi". Dario il giovane ripete ovunque che non si ricandiderà alla segreteria al congresso del Pd di autunno, ma sotto i 40 gradi di maggio spunta un miraggio, una tentazione, una speranza: "Beh, se il Pd alle europee prendesse il 45 per cento ci ripenserei...". E poi, più seriamente: "In ogni caso, non mi ritirerò a vita privata. Non andrò in Africa". La sfida delle elezioni del 6 e 7 giugno vale una carriera politica. Strano destino per questo professionista della politica, cresciuto fin da piccolo a pane e partito, un pollo da batteria democristiano allevato nelle segreterie e nelle partecipazioni statali, chiamato a salvare il progetto del Partito democratico da una sconfitta catastrofica che ne segnerebbe la prematura estinzione. Con la mission di rimotivare il popolo del centrosinistra disperso, che non si riconosce nelle sue bandiere, nei suoi capi, nelle parole d’ordine.
Franceschini ci prova. Con una campagna elettorale low profile, quasi dimessa. Passeggiate in bicicletta sulla via Emilia. Apparizioni in metro sulla linea Termini-Rebibbia di Roma. Tratte ferroviarie in seconda classe, affrontate senza aria condizionata e telecamere al seguito. Pic-nic con ricottina salata e porcetto in mezzo alla Barbagia. Comizi volanti a uso e consumo di poche decine di persone, per incontrare gli elettori dove vivono e lavorano: durante la tappa in Sardegna del 25 maggio 725 chilometri in otto ore, dal sud al nord dell’isola. Alla fine le mani strette sono meno dei chilometri percorsi, ma non importa. La "piccola" campagna elettorale è un messaggio in sé. Parla di un politico che si riavvicina alla sua gente in punta di piedi, con umiltà. Un segretario di prossimità, il buon vicino di pianerottolo. Il leader della porta accanto.
Funzionerà? Il primo a chiederselo è proprio Franceschini. "Berlusconi per 15 anni ha rovesciato i valori di questo Paese. Ho l’angoscia che possa esserci riuscito, ma io punto su un’Italia diversa. un lavoro che richiede tempo, dopo le europee e le regionali dell’anno prossimo per tre anni non ci saranno più elezioni e avremo l’occasione di radicarci. Veltroni e il Pd nel 2008 hanno vinto nelle grandi città e nei comuni sopra i 100 mila abitanti, andiamo male nei piccoli centri dove l’unica forma di comunicazione è la televisione. Dal 1994 giochiamo con le regole truccate, solo lo snobismo di certa sinistra ci impedisce di dirlo". Valori è la parola chiave del Pd franceschiniano. In nome dei valori si accosta il pacchetto sicurezza del governo Berlusconi alle leggi razziali del fascismo, e pazienza se, al Nord, Sergio Chiamparino o Filippo Penati storcono il naso. In nome dei valori l’ex dc Franceschini ha commemorato il segretario del Pci Berlinguer a un quarto di secolo dalla scomparsa con toni che i ragazzi di Enrico, D’Alema, Veltroni, Fassino, non avevano mai usato, più preoccupati di prendere le distanze dalla pesante eredità del partitone rosso: "Forse sono l’unico segretario del Pd che può permettersi il lusso di parlare di Berlinguer e del Pci in quel modo. Ho voluto rispondere a un’altra mistificazione di Berlusconi: la storia del comunismo italiano non è identificabile con il comunismo sovietico", spiega Franceschini, che poco più che adolescente negli anni Settanta tifava per la solidarietà nazionale tra la Dc di Moro e Zaccagnini e il Pci berlingueriano.
In nome dei valori Berlusconi non è più il "principale esponente dello schieramento a noi avverso", come lo chiamava Veltroni, ma torna a essere "l’avversario", non è molto fine e fa poco riformista, ma va bene così, se si vuole evitare di consegnare all’astensionismo o ad Antonio Di Pietro altre fette di elettorato Pd. Quando si discute del Cavaliere e del caso Noemi, Franceschini, che ha la faccia da bimbo buono ma mite non è, estrae un sogno feroce, come quelli che il personaggio del suo romanzo, Ignazio Rando, appunta su cartoncini ingialliti: "Vedere la fine di Berlusconi. Craxi è finito da un momento all’altro, anche per Berlusconi potrebbe andare così: un crollo improvviso. E se dovesse cadere Berlusconi, verrebbe meno anche il suo modello. Fini e Tremonti l’hanno capito: sono uomini che vogliono un centrodestra europeo e normale, come quello di Cameron o della Merkel. In Italia invece la destra subisce il peso di Berlusconi ". Anche se poi Franceschini reagisce con chi nota che il presidente della Camera fa più opposizione a Berlusconi del Pd sulla laicità dello Stato o sugli immigrati: "Fini dice cose di semplice buon senso, quasi sempre il giorno dopo. Non l’ho mai sentito dire le cose giuste il giorno prima".
Il segretario gira l’Italia profonda, a Roma i problemi del Pd sono tutti ancora aperti. Le liste alle europee senza identità, con candidati deboli e poco riconoscibili in alcuni casi, fin troppo connotati in altri. L’assenza dalla campagna elettorale di alcuni leader importanti: Veltroni aveva accettato di partecipare a una passeggiata nel popolare quartiere romano di Testaccio con il suo successore alla segreteria del Pd e il capolista alle europee David Sassoli, ma poi ha fatto sapere che preferiva rinunciare. Le strategie pre-congressuali in pieno svolgimento: oltre alla super-annunciata candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria, si muovono i quarantenni legati alla stagione veltroniana che hanno organizzato un appuntamento per fine giugno al Lingotto di Torino, due anni dopo il discorso con cui Veltroni cominciò la sua corsa alla guida del Pd. Da lì potrebbe emergere un nome nuovo per la segreteria: Debora Serracchiani, lanciata due mesi fa da un intervento davanti a Franceschini e ora a caccia di voti per Strasburgo nella circoscrizione Nord- Est, ma già portata in giro anche in altre regioni dai veltroniani. "Ci sono persone che la pensano come me, in vista del congresso ci stiamo organizzando", si limita a dire Debora. Franceschini non scarta l’ipotesi, anzi: "Sarà interessante vedere quante preferenze prende la Serracchiani, sono curioso anch’io ". Anche se, in presenza di un risultato non catastrofico, tra il 26 e il 28 per cento, il segretario si aspetta di essere riconfermato. Con un patto tra i vecchi capicorrente, Massimo D’Alema e Franco Marini in testa, che potrebbero chiedergli di continuare per portare a termine l’operazione di salvataggio del Pd. E con un padre nobile sempre più corteggiato da Franceschini negli ultimi giorni: Romano Prodi. I due si sono incontrati nella casa bolognese del Professore, i rapporti personali non si sono mai interrotti: "Ci siamo mandati a quel paese tante di quelle volte che non c’è nessuna incomprensione tra noi", racconta il leader del Pd. Ora Dario si aspetta l’endorsement elettorale di Prodi a favore del "suo" Pd. E poi, subito dopo le elezioni, una ricucitura con altre forze politiche finora tenute ai margini. Bastone e carota: "Non c’è dubbio che uno come Vendola dovrebbe stare nel Pd. E che Di Pietro sta facendo qualche regalo a Berlusconi".
L’ultimo pensiero va ancora a lui, al premier- Papi: "Berlusconi vuole polarizzare, trasformare le elezioni europee in un giudizio sul suo operato, per portare a votare gli astenuti del suo campo, i delusi, i disinteressati ". Ed è l’ultimo incubo: gli elettori del Pd che si astengono, quelli del Pdl che accorrono alle urne per difendere Silvio. "Sono giorni decisivi per la democrazia di questo paese", ripete Franceschini. Che si batte con spavalda incoscienza contro il Golia di Arcore. E non teme di finire male. Perché, come dice un personaggio del suo romanzo, "nei miei sogni sono già morto tante volte". E, a voler essere ottimisti, "in piedi si è già in mezzo al cielo".