Matteo Fagotto, La stampa 28/5/2009, 28 maggio 2009
NOI, MULI DELLA COCAINA"
stato un vero inferno. Se non fosse stato per l’aiuto di mia sorella e di Dio, non ne sarei mai uscita». Ha la voce flebile, quasi rotta dalle lacrime Jennifer, mentre racconta al telefono l’evento che, nel 2005, le ha distrutto la vita: allora 55enne e residente a Città del Capo, accettò di andare in Brasile a svolgere una misteriosa commissione per saldare i debiti del figlio 19enne con un’organizzazione criminale. «Appena arrivata a destinazione, mi sequestrarono passaporto e biglietto aereo», ricorda. «Dopo due giorni sola in albergo, due uomini si fecero vivi e mi ordinarono di trasportare tre chili di cocaina in Sud Africa. Era l’unico modo che avevo per tornare indietro». Ma il volo di ritorno, Jennifer non lo prese mai. Fermata all’aeroporto con le calze imbottite di droga, fu condannata a sei anni, poi ridotti della metà per buona condotta.
Grazie alla recente esplosione del mercato degli stupefacenti nei Paesi dell’Africa meridionale, il Sud Africa è diventato un corridoio privilegiato per il traffico di droga: secondo la polizia locale, il crimini connessi al suo consumo sono raddoppiati dal 2003 al 2008. Jennifer è solo una delle centinaia di «muli» sudafricani catturati negli ultimi anni, persone comuni che si improvvisano corrieri a causa di minacce, debiti o inganni e che finiscono nelle carceri di mezzo mondo. Secondo il Dipartimento degli Affari Esteri, più di 230 sudafricani sarebbero attualmente incarcerati in Sud America, almeno 80 in Australia ed Estremo Oriente, 51 in Irlanda e Regno Unito. Ma i numeri reali potrebbero essere due volte superiori, visto che la maggior parte dei prigionieri non contatta i consolati.
Per reclutare «i muli» le organizzazioni criminali, molte delle quali provenienti dalla Nigeria, ricorrono ai mezzi più disparati. «Nel 2005, un’amica disse a mio figlio Johann che avrebbe potuto trascorrere una vacanza gratuita nelle Mauritius», racconta sua madre, Patricia Gerber. «L’unica cosa che doveva fare era portare del denaro a una persona che viveva là». Arrivato a Città del Capo poco prima della partenza, Johann, allora ventenne, dovette scegliere tra l’ingoiare quasi un chilo di capsule di eroina e portarle nelle Mauritius o rifiutarsi, mettendo a repentaglio la vita della propria famiglia. Il ragazzo fu arrestato e condannato a nove anni di carcere. Tutti gli sforzi della madre per riportarlo a casa sono stati vani: il Sud Africa non ha accordi per il rimpatrio dei propri prigionieri all’estero, e in un Paese dove l’indice di criminalità è tra i più alti al mondo, la sorte dei corrieri della droga non è certo tra le priorità.
Giovani sprovveduti, uomini di mezza età senza soldi, donne incinte. Secondo la missionaria Shona Ali, che assiste da vent’anni i prigionieri sudafricani all’estero, è impossibile tracciare il profilo tipo di un mulo. «Alcuni si fanno prendere la mano dopo le prime volte», spiega. «Ma la maggior parte sono persone comuni in difficoltà economiche, non tossicodipendenti, che sperano di risolvere i loro problemi con un solo viaggio». Tra i casi più incredibili che Shona ricorda c’è quello di una donna di 54 anni con un cancro al cervello, arrestata in Venezuela. Tentava di raccogliere soldi per un’operazione. Un altro ragazzo è stato condannato a 100 anni di carcere in Thailandia. Era diventato un mulo per far uscire la sua ragazza dal giro.
Se hanno fortuna, i corrieri possono guadagnare fino a duemila euro per ogni carico consegnato. Molti, però, finiscono nella rete la prima volta, denunciati dalle stesse organizzazioni criminali per dare un contentino alle polizie locali e far passare le grosse partite. Patricia pensa che questo sia stato il caso di suo figlio. Jennifer, nonostante lo sospetti, non ne ha la certezza. Oggi, a quasi un anno di distanza dalla sua uscita dal carcere, è tornata a Città del Capo, lavora ed è riuscita a ricostruirsi una vita. Se potesse tornare indietro, non prenderebbe quel maledetto volo. Anche perché il suo sacrificio non servì a salvare la vita del figlio. Fu ucciso comunque, per rappresaglia contro il suo fallito viaggio.