Martin Wolf, Il sole 24 ore 28/5/2009, 28 maggio 2009
DOMANDA DEBOLE, ECCO I PROBLEMA
Perché l’Unione Europea ha sofferto tanto in una crisi che è partita dagli Stati Uniti? La risposta sta in quattro punti deboli del Vecchio Continente: il primo è che la Germania, l’economia più importante dell’Unione, dipende fortemente dalla spesa per i consumi all’estero; il secondo è che molte economie dell’Europa occidentale subiscono gli effetti del crollo della domanda seguito allo scoppio della bolla; il terzo è che anche alcuni settori dell’Europa centrale e orientale sono costretti a tagliare le spese; e il quarto è che le banche europee si sono dimostrate vulnerabili sia nei confronti della crisi Usa sia nei confronti delle difficoltà di paesi più vicini a casa loro. Alla luce di questi fatti, la ripresa probabilmente sarà lenta e faticosa.
Secondo le ultime proiezioni, l’economia della Ue quest’anno dovrebbe calare del 3,6%, e del 3,7 quella dell’eurozona, contro un calo preventivato negli Stati Uniti solo del 2,9 per cento. La crisi dunque colpisce più le formiche che le cicale. Sembra terribilmente ingiusto, ma non lo è, perché le formiche dipendono dalle cicale.
Nelle previsioni diffuse in primavera dalla Commissione europea c’è un passo che centra il nocciolo del problema. «Considerando che le esportazioni normalmente sono la prima componente a rimettersi in moto nel ciclo economico dell’eurozona, risulta fondamentale il quadro dell’export». L’eurozona euro è la seconda economia mondiale. Perché dovrebbe dipendere dalla domanda esterna per la ripresa? La causa è la Germania. La Commissione prevede che i tre quinti della pesante flessione (5,4%) prevista quest’anno per il Pil tedesco saranno dovuti al calo delle esportazioni.
Un modo per illustrare quanto sta avvenendo è usare i saldi finanziari settoriali, la differenza fra introiti e spese (o fra risparmi e investimenti) nei tre principali settori: pubblico, privato e scambi con l’estero. Per definizione sono pari a zero. Normalmente, l’economia è trainata dal saldo finanziario del settore privato. Quando il settore privato riduce la spesa, il disavanzo delle partite correnti si riduce e la situazione dei conti pubblici si deteriora. La prevalenza dell’uno o dell’altro fattore dipende dal funzionamento specifico di ogni economia.
Possiamo ricavare i saldi finanziari impliciti per il settore privato dalle previsioni della Commissione. All’interno dell’eurozona, Olanda e Germania presentavano nel 2007 un surplus molto marcato, rispettivamente del 9,5 e del 7,8% del Pil. Questi surplus erano compensati dai surplus nella bilancia dei pagamenti, rispettivamente del 9,8 e del 7,6 per cento. Nel suo complesso, però, l’eurozona aveva eccedenze quasi nulle sia nel settore privato sia nella bilancia dei pagamenti. Dunque i surplus di Olanda e Germania erano compensati dai deficit di altri paesi. Il caso più significativo è quello spagnolo, dove il deficit del settore privato, alimentato dalla bolla, nel 2007 era pari al 12,3% del Pil, con un deficit della bilancia dei pagamenti del 10,1 per cento. Ma anche Grecia, Irlanda e Portogallo presentavano deficit marcati, sia nel settore privato che negli scambi con l’estero.
Tra il 2007 e il 2009, secondo le previsioni, i saldi finanziari del settore privato nei paesi interessati dalla bolla si sposteranno in modo molto accentuato dal deficit al surplus, nella misura del 15,8% del Pil in Irlanda e del 14% in Spagna (si veda il grafico). In entrambi i Paesi, la compensazione principale sarà un deterioramento molto grave dello stato dei conti pubblici, ma ci si aspetta anche un miglioramento della bilancia dei pagamenti, rispettivamente del 3,6 e del 3,2% del Pil. Anche nel Regno Unito il saldo finanziario del settore privato secondo le previsioni migliorerà, arrivando all’8,9% del Pil, compensato da un deterioramento molto marcato nella situazione dei conti pubblici. Negli Stati Uniti, il saldo finanziario del settore privato passerà, nei due anni considerati, da un deficit del 2,4% del Pil a un surplus dell’8,6%, un’oscillazione pari all’11% del Pil.
In sostanza, nei Paesi investiti dalla bolla si prevede che il settore privato quest’anno spenderà molto meno, in rapporto al reddito, di due anni fa. L’impatto sui paesi in surplus dipendenti dalle esportazioni di beni lavorati è stato devastante. In Germania, il saldo finanziario del settore privato dovrebbe restare quasi invariato, ma, essendo un’economia dipendente dalle esportazioni, il declino della spesa in altri Paesi produce effetti pesantissimi.
Anche nell’Europa Centrale e Orientale la crisi ha colpito duramente. Secondo l’ultimo World Economic Outlook, i flussi di capitale verso i Paesi emergenti del Vecchio Continente scenderanno dal 9,5% del Pil registrato nel 2007 al -0,7% quest’anno (si veda il grafico). Una simile oscillazione farà calare drasticamente il deficit con l’estero e innescherà recessioni pesantissime. Colpiscono in particolare le cifre dei mini-Stati del Baltico: secondo le previsioni della Commissione, il deficit con l’estero scenderà, tra il 2007 e il 2009, del 21% del Pil in Lettonia, del 17% in Estonia e del 13% in Lituania. In Lettonia, il saldo finanziario del settore privato subirà, secondo le previsioni, un’oscillazione del 32% del Pil in due anni. Non c’è da stupirsi che la Commissione preveda per il 2009 una contrazione del Pil del 13% in Lettonia, dell’11% in Lituania e del 10% in Estonia.
Anche il settore bancario del Vecchio Continente naviga in cattive acque. Secondo l’ultimo Global Financial Stability Report dell’Fmi, le svalutazioni contabili previste sulle attività bancarie nel 2009 e nel 2010 ammonteranno a 750 miliardi di dollari (536 miliardi di euro) per l’eurozona e 200 miliardi di dollari (143 miliardi di euro) per il Regno Unito, contro appena 550 miliardi di dollari (394 miliardi di euro) per gli Stati Uniti. E il capitale necessario per ridurre la leva finanziaria delle banche dell’eurozona a 25 a 1 sarebbe di 375 miliardi di dollari (268 miliardi di euro), e di 125 miliardi di dollari (89 miliardi di euro) per il Regno Unito, contro 275 miliardi di dollari (197 miliardi di euro) per le banche statunitensi.
Inoltre, le banche dell’Europa Occidentale sono pesantemente esposte nell’Europa Centro Orientale: come sottolinea la Commissione, «le banche dei "vecchi" Stati membri registrano crediti esteri per circa 950 miliardi di euro nei "nuovi" Stati membri. In termini assoluti, l’esposizione maggiore è quella delle banche di Austria, Germania, Italia e Francia».
I dettagli possono sembrare complessi, ma il punto fondamentale no: l’economia europea si è illusa di essere in buona salute grazie a livelli di spesa insostenibili nei paesi collocati ai suoi margini occidentali, meridionali e orientali. Le bolle dei prezzi delle attività, la crescita del credito e i boom degli investimenti che hanno caratterizzato questa spesa si sono tutti sfaldati contestualmente allo scoppio di una bolla ancora più importante negli Usa. La tempistica, ovviamente, non è una coincidenza.
Il tracollo ha prodotto risultati devastanti sull’attività economica dei Paesi dipendenti dalle esportazioni, in primis la Germania. E inoltre molte banche europee sono state pesantemente colpite dalla crisi a causa di una cattiva gestione del rischio.
La domanda è se l’economia europea può sperare di tornare in salute attraverso una normale ripresa trainata dal settore privato. Ma nei Paesi interessati dalla bolla ciò è improbabile: equivarrebbe a sperare di riversare altro debito sulle spalle di chi è già fortemente indebitato.
Tutto questo lascia due risposte possibili, una probabile ma indesiderabile e l’altra improbabile ma desiderabile. La risposta probabile è che la domanda sarà trainata da espansioni della spesa pubblica insostenibili nelle economie dei paesi interessati dalla bolla. Quella improbabile è che la domanda privata si rimetta in moto nei paesi affidabili, in particolare in Germania. In assenza di una di queste due risposte, l’Europa dovrà aspettare che gli Stati Uniti, a suon d’iniezioni di liquidità, recuperino (temporaneamente) vigore. Per quanto ci sia chi vede spuntare "germogli", si tratta di un quadro scoraggiante.