GIANCARLO DOTTO, IL RIFORMISTA 29/5/2009, 29 maggio 2009
FENOMENOLOGIA DI JOS MOURINHO
Gli basta slacciare l’occhio da tenebra, il musetto imbronciato alla Montgomery Clift, quando il callo gli fa la bua e gli parte quel lampo schifato e un po’ paranoide che sappiamo, e tutti, ma proprio tutti, che cadono ai suoi piedi, tumulti cardiaci alla Stendhal, donne, uomini, bambini, tifosi e allenatori, soubrette, cantanti, prostitute e intellettuali (per lui la stessa cosa), gazzettieri d’ogni grado, d’ogni forma e d’ogni età. Il giorno in cui appenderà la panchina al chiodo e si deciderà a scrivere il suo "Diario di un seduttore", al momento di dettare al Leporello di turno il catalogo delle conquiste, Don José partirà da noi: "In Italia sei milioni e quaranta..." (va considerato rispetto all’originale l’effetto moltiplicatore della tivù).
lui, indiscutibilmente, José Mario Dos Santos Mourinho, la molto telegenica star del campionato appena campiomorto. Ha ribaltato moduli, reinventato, schemi, spiegato alle masse come si attacca e come ci si difende. Un’impresa dopo l’altra. Il suo capolavoro? La partecipazione al "Chiambretti Night". Notevole anche, cliccatissimo cult su youtube, la conferenza stampa dei "sette minuti sette" alla Pinetina, quella della profezia uccellaccia (e azzeccata) degli "zero titoli" a Milan, Juventus e Roma, in cui ha demolito il mondo intero. Grande attesa ogni volta e tutto esaurito per le sue performance del sabato. Spettacolo garantito.
Qualche pirla obietterà, ma Mourinho perbacco è un allenatore mica un saltimbanco. Fate un sondaggio tra la gente. Che cosa si ricorda di lui alla fine della sua prima stagione italiana? Forse lo scudetto o il gioco della squadra? La scelta di Quaresma o l’invenzione di Santon? Macché. Non scherziamo. Vi citeranno i suoi exploit orali, i "pirla" e i "merlo", le sue gag con Ranieri e Sconcerti, le sue zuffe con Pistocchi, Varriale e Balotelli. Giusto così. Mourinho non era stato preso per rivincere, uffa, l’ennesimo scudetto. Per quello bastano e avanzano i colpi di Ibrahimovic e chiunque in panchina. Bastano e avanzano le debolezze delle altre. Nove milioni di euro netti l’anno sono finiti nelle tasche del maliardo per riappropriarsi di un primato mediatico da anni nelle mani di Milan e di Juventus. Mourinho all’Inter è l’equivalente di Fiorello a Sky, Chiambretti a Mediaset e Celentano in Rai, il valore aggiunto di un’azienda che produce spettacolo per le masse.
Questi sono i fatti. E pazienza se lui, un tipo naif (ma sì diciamolo, un po’ pirla) che resta in fondo il ragazzo semplice di una volta, di quando aiutava il padre a incartare il pesce nei mercatini di Setubal, si ostina nell’autodelirio di considerarsi un allenatore, il migliore di sempre. Nulla come allenatore lo distingue dai suoi predecessori all’Inter. Se non che, in un anno, si è parlato più di lui che di tutti gli altri messi insieme. La differenza? L’allenatore Mancini perde con il Liverpool e va in depressione, annuncia la fine della sua storia all’Inter. Lo showman Mourinho perde con il Manchester, si prende la telecamera e annuncia il suo rilancio all’Inter. E quando Makelele, suo giocatore per tre anni al Chelsea, dà alle stampe l’autobiografia, dello Special One mica celebra i due scudetti ma che: "...dava l’impressione di sentirsi minacciato non appena un giocatore occupava la scena più di lui".
Intelligente quanto basta e maniaco di sé. Con quella bocca può dire ciò che vuole. Titoli, svenimenti, stupori. Ogni volta che fiata è una strage di cuori. Lui a Madrid? Ma per carità. La pacchia per il suo molto bisognoso ego è qui da noi, l’Italia, per via degli italiani, un popolo di idolatri.
Che la sua sia una non comune malattia del narcisismo lo si capisce non dal fatto che si ami, circostanza piuttosto diffusa tra gli umani, ma da quanto patologicamente si ami, di come faccia all’amore con se stesso in pubblico, l’occhio sbarrato, la voce da ventriloquo, la fissità allucinata dello sguardo. Mourinho è peraltro un uomo di buoni sentimenti. Si commuove fino alle lacrime solo al pensiero di quanto sia fortunato il mondo ad avere uno come lui. Ora possiamo dirlo con certezza, ha imparato a tempo di record la nostra lingua per sedurci (e insultarci) meglio. Il giorno in cui dovesse vincere anche la Champions spiccherà il volo come una mongolfiera, non prima di averci mostrato le stimmate. Gli manca il colpo di genio, questo sì, alla Andy Warhol. Che, quando lo acclamavano per i suoi quadri, protestava: "Ma no, io volevo diventare un grande ballerino di tip tap".
Nell’attesa, ai piedi del suo trono di principe sul pisello, tutti in fila. Una teoria interminabile di devoti che si affannano pur di strappare un regale sorriso da quel bambinesco broncio. Più di tutti si affanna e s’ingegna papi Moratti. L’amato accenna dolente un capriccio dello 0,1 per cento e lui subito gli mette in tasca dieci milioni di euro, l’equivalente di un nuovo anno di contratto. Il nostro incassa, tace e sorride, solo un istante, subito recuperando si capisce, a favore di telecamera, il musetto imbronciato. Che ci fa fessi. Al cento per cento.