Marina Forti, il manifesto, 27/5/2009, 27 maggio 2009
AVVOLTOI AL RISTORANTE
Si chiama «vulture restaurant», ristorante degli avvoltoi. Ha aperto la settimana scorsa a Nagarparkar, villaggio della provincia del Sind, Pakistan meridionale: è iniziativa della Dhartee Development Society, associazione ambientalista pakistana, in collaborazione con il programma Onu per l’ambiente (Undp). Al «vernissage» si sono presentati quasi tutti i 42 avvoltoi Gyps censiti nella zona, ai bordi con il deserto del Thar. Non fosse per il loro caratteristico piumaggio bianco e nero e la testa «calva», a piumette rade, quando saltellano sul terreno assomiglierebbero un po’ a grossi tacchini (ma forse il paragone sembra irrispettoso...).
In cosa consista un ritorante per avvoltoi non è difficile immaginare: la specialità della casa sono carcasse di animali, lasciate sul terreno in modo che gli uccelli possano servirsi. Infatti gli avvoltoi si cibano di animali morti - di solito già morti, ma a volte uccidono quelli malati e allo stremo, e per questo hanno un’immagine negativa nell’immaginario occidentale (nella mitologia hindù, al contrario, ci sono ben due semi-dei avvoltoio a cui il Ramayana attribuisce nobili gesta). A torto però sono disprezzati: gli avvoltoi hanno un’importante funzione «ecologica», ripuliscono carcasse che altrimenti resterebbero a decomporsi all’aperto diventando fonte di malattie.
In Asia meridionale dominano tre specie di avvoltoi Gyps (il «bengalensis», l’«indicus» e il «tenuirostris»), e fino a non molti anni fa erano una vista normale nelle zone rurali. Non più: gli avvoltoi sono in declino un po’ ovunque al mondo, e tra India e Pakistan si stima che la popolazione naturale sia diminuita del 95%: quasi estinti. La Iucn, Unione mondiale per la conservazione della natura, li ha messi nella sua lista di specie «gravemente minacciate». L’allarme è multiplo: con gli avvoltoi viene meno uno spazzino naturale, e non solo. minacciata anche una delle tradizioni umane di questo subcontinente: per la comunità parsi (di religione zoroastriana), numerosa soprattutto a Bombay, è usanza lasciare i corpi dei defunti al sole, in cima a una speciale torre (la «torre del silenzio»), dove saranno consumati dai raggi e dagli avvoltoi. Ma questo processo ormai può richiedere mesi, in mancanza di avvoltoi: e negli ultimi anni la Bombay Parsi Punchayet (la comunità parsi di Mumbai) ha avviato programmi naturalistici per importare e far riprodurre gli uccelli.
Che la si veda in termini di tradizione, di equilibrio ecologico o di salute pubblica, la scomparsa degli avvoltoi fa suonare un allarme. Anche perché il motivo è subdolo: la ragione principale dell’estinzione qui è l’avvelenamento da diclofenac, un diffuso farmaco anti-infiammatorio (è noto con vari nomi commerciali tra cui voltaren). Il diclofenac è usato anche in veterinaria: permette agli animali di sopportare il dolore e continuare a lavorare più a lungo. Ma il farmaco si accumula nei tessuti dell’animale; così, quando l’avvoltoio ne divorerà la carcassa se ne farà una «overdose» che gli attacca i reni e lo uccide. Il diclofenac è ormai da qualche anno vietato sia in India che in Pakistan, ma resta ampiamente usato. Ecco perché qualcuno ha avuto l’idea dei «ristoranti per avvoltoi», dove sono «servite» carcasse prima analizzate per assicurarsi che non contengano residui di diclofenac. Quello di Thaparnagar è il primo in Pakistan (mentre ce ne sono un paio in India e uno in Nepal), e oltre a procurare agli avvoltoi cibo controllato, farà un’opera di educazione popolare perché gli agricoltori della zona smettano di usare il diclofenac.