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 2009  maggio 25 Lunedì calendario

Studiava l’angina, scoprì il Viagra Il padre aveva un negozio di intimo per signora nella Sud Carolina degli Anni 20 dove tutto era depresso, ma sarebbe troppo sospettare che il dottor Robert Furchgott, morto sabato, abbia contribuito a inventare il Viagra per colpa di quella merce vista e fantasticata da bambino

Studiava l’angina, scoprì il Viagra Il padre aveva un negozio di intimo per signora nella Sud Carolina degli Anni 20 dove tutto era depresso, ma sarebbe troppo sospettare che il dottor Robert Furchgott, morto sabato, abbia contribuito a inventare il Viagra per colpa di quella merce vista e fantasticata da bambino. Nella autobiografia di questo serissimo biochimico e medico sempre ripreso con gli occhialoni di tartaruga dell’accademico americano, insignito del Premio Nobel nel 1998 dopo una vita spesa a studiare fenomeni incomprensibili a noi umani come «la risposta della tessuti vascolari lisci agli antagonisti dei recettori di riserva anaerobiotici», o qualcosa del genere, nulla può fare pensare che dal suo lavoro sull’aorta dei conigli sarebbe arrivata quella piccola lozanga blu che ha reinventato la sessualità umana. E ha scatenato in milioni di femmine una pandemia di improvvisi mal di testa. Lui stesso, nella guerra mondiale per la paternità del principio attivo del minuscolo rombo di tuono azzurro, che in dieci anni ha regalato alla prima produttrice, la Pfizer, fino a un miliardo di dollari di vendite annue per 8 complessivi, ha sempre evitato di attribuirsi la scoperta. Forse per modestia di ricercatore, difetto non diffusissimo fra gli scienziati, o per la coscienza che essa fosse stata casuale come tante delle grandi invenzioni umane, ammise di non avere mai sospettato che il monossido di azoto, un potente agente inquinante dell’atmosfera, potesse avere sui vasi sanguigni quell’effetto dilatatore che ha permesso a giovani uomini insaziabili soprattutto fra i 18 e i 45, i massimi consumatori, a malati, a ruderi della libido di essere quello che senza la stampella chimica non sarebbe stati. Uomini veri, anche se soltanto dalla vita in giù. Furchgott, dal cognome che si potrebbe tradurre dal tedesco come «il Dio che traccia il solco», è morto a 92 anni nella serenità piovigginosa dei sobborghi di Seattle, Washington, dopo una vita privata riservatissima, segnata da una vedovanza dolorosa nel 1983 e da un secondo matrimonio celebrato alla ammirevole età di 75 anni, perché non c’è bisogno di vantarsi di una scoperta per utilizzarne i benefici. Aveva insegnato e lavorato in dozzine di università americane, dedicandosi giorno e notte allo studio dei meccanismi biologici che possono dilatare i nostri vasi sanguigni e favorire la circolazione. Una passione che era cresciuta in lui quando, medico militare al fronte, aveva visto morire giovani troppo dissanguati perché la loro pressione sanguigna reggesse e si era tormentato nella ricerca di un farmaco che potesse mantenerli in vita favorendo la circolazione del poco sangue rimasto, in attesa delle trasfusioni. Se dunque oggi decrepiti, ma violenti mascalzoni in Afghanistan o in Iraq possono compiacersi dei proprio harem grazie alle pillole di Viagra distribuite dagli agenti della Cia per conquistare le menti, il cuore e altri organi nella nobile guerra al terrore, se patetici Casanova arrivati oltre la data di scadenza o sofferenti di disfunzioni serie possono tornare a infastidire mogli, compagne, amiche e odalische, lo devono all’angoscia di un giovane medico militare che vedeva morirgli tra le braccia ragazzi dissanguati. La motivazione del suo Nobel in Fisiologia, concesso proprio mentre cominciava nel 1998 il lancio pubblicitario delle «pillole d’Ercole» con 100 milioni di dollari di spot popolati di questi Lazzaro della copula, resuscitati come l’ex senatori Bob Dole, Pelè o il generale Schwarzkopf, non si sofferma su quello che fu soltanto un effetto secondario del principio attivo, il sildenafil. Egli sapeva bene che i pazienti trattati con quella molecola con nessuna efficacia sulla loro angina pectoris, inaspettatamente esibivano sostanziose erezioni. Nella sua autobiografia, scritta quando seppe dell’alto riconoscimento, Furchgott neppure accenna al Viagra. Il minuscolo rombo di tuono azzurro e gli altri preparati che ne hanno ormai scalzato il monopolio minacciando addirittura, come fa uno di loro, un intero week end di priapismi, è una parte così integrante e normalizzata dello «spirito del tempo» da avere costretto anche autorità religiose più pragmatiche di altre, a pubblicare, sul «Jerusalem Post» le istruzioni per l’uso e il consumo del Viagra nelle ore del sabbath (va avvolto in una sostanza kosher prima di essere inghiottito) e sta facendo la sua parte al fronte della grande guerra al terrore, dove l’assenza di armi di distruzione di massa è stata opportunamente surrogata da più miti armi di erezione di massa. Furchgott non disse mai se lui si gloriasse o si vergognasse di questo effetto imprevisto della sua vita di biochimico, dalla quale non trasse alcun profitto monetario, né se temesse le maledizione di donne che si domandano perché le assicurazioni americane rimborsino il Viagra, ma non la pillola anticoncezionale. In questi giorni, proprio mentre lo scopritore involontario moriva, la Pfizer annunciava la distribuzione gratuita delle stampelline urologiche ai disoccupati, ai pignorati, ai depressi, ai bancarottieri, per sollevar loro il morale. Il cerchio, cominciato ottant’anni or sono nel negozio di biancheria femminile per confortare i depressi si chiude con un’altra depressione, alleviata non dalle guepiere del signor Furchgott, ma dalle pilloline di suo figlio.