John August, l’Unità, 27/5/2009, 27 maggio 2009
«AMICI BLOGGER, VI PREGO, SIATE DEI PROFESSIONISTI»
di John August (sceneggiatore e regista conferenza all’università di San Antonio) Professionisti e dilettanti. Mondi un tempo ben definiti, oggi difficili da distinguere. Essere pagati per il proprio lavoro non è più una discriminante. Un appassionato di fotografia può scattare una foto e venire pubblicato su Newsweek, ma non per questo è un professionista. Un blogger può vendere Google Ad sul suo sito, ma non è questo che lo fa diventare professionale. Oggi un cittadino qualunque può portare al mondo informazioni vitali in tempo reale, prima e meglio dei media «ufficiali». Nonostante questo, essere professionisti non è mai stato più importante. Quando parliamo di «professionisti», credo che il vero argomento sia la «professionalità», ovvero l’insieme di regole a cui attenersi quando si svolge un lavoro. Elenchiamole. 1) Presentazione. Se state scrivendo una lettera di lavoro, ed è piena di errori di battitura e grammatica, non è professionale. E se siete il direttore di un’agenzia funebre, e vi sedete accanto alla famiglia del deceduto indossando una maglietta dei Ramones, pure questo non è professionale. C’è una certa aspettativa sul modo in cui un professionista si presenta, che sia di persona o tramite la scrittura. Essere professionista vuol dire presentarsi come un professionista. 2) Accuratezza. Se sei un ragioniere e metti fuori posto un decimale, non è professionale. Se sei un chirurgo e tagli il braccio sbagliato, quello è sbagliato e poco professionale. E agghiacciante. 3) Consistenza. State andando in un ristorante, e sapete che cucinano ottimo cibo messicano. Alla visita successiva vi servono solo cibo ungherese. Ci tornate una terza volta? La «consistenza» è produrre quello che la gente si aspetta, ogni volta. E bisogna essere puntuali. 4) Responsabilità. Alla domanda «chi ha fatto questo?» dovete poter alzare la mano e dire «l’ho fatto io». La responsabilità è l’opposto dell’anonimato. E’ il motivo per cui vedete le firme alla fine degli articoli di giornale. 5) Raggiungere gli standard della professione. Questo significa che all’interno della vostra categoria lavorativa si è d’accordo su cosa sia e non sia accettabile. A volte questo è scritto su carta, come nel caso delle grosse agenzie immobiliari. Spesso questo accordo è meno formale, ma non vuol dire che non esista. Che siano i camerieri che condividono le li locali: Variety e Hollywood Reporter. Quest’ultimo ha anche un blog, scritto dal suo vice direttore, Anne Thompson. Un giorno ho letto su questo blog una post che mi ha messo a disagio: era un link alla sceneggiatura del nuovo film di James Bond. Pubblicare le sceneggiature dei film in lavorazione è un gioco pericoloso, vizia le aspettative del pubblico, può essere potenzialmente dannoso per il film: è come dire che un bambino è brutto dalla sua ecografia. Pensavo non fosse corretto, e l’ho chiamata. Le ho chiesto se avrebbe pubblicato lo stesso pezzo nella versione cartacea del suo giornale. Ha detto che non l’avrebbe mai fatto: i blog sono un’altra cosa. Abbiamo avuto una bella discussione sulla sua decisione di pubblicare il link, e sulla difficile distinzione tra il giornalismo con la G maiuscola e quello che succede sulla rete, e alla fine ha deciso di rimuovere il link. Ma quello che non le ho detto è che l’atto stesso di pubblicare il link è incredibilmente poco professionale. E’ assurdo che abbia dovuto chiamarla perché accettasse di toglierlo. un direttore pagato in uno dei giornali più rispettati nell’industria cinematografica. Non può decidere di dire tutto ad un tratto che in questo contesto è solo una blogger, e che non può essere giudicata con gli stessi standard. Non spetta a voi decidere quando essere un professionista o no. facile chiedere di essere considerato un professionista quando tutti ti lodano. Ma a volte è conveniente essere considerato un dilettante. Come nei momenti in cui state lavorando male, o perché non avete idea di che state facendo, o perché non siete buoni a farlo. Di fronte alle critiche, dire: «che vi aspettate? Sono solo un dilettante» è come dire «non giudicatemi». Ma la gente vi giudicherà sempre. Non avete nessun potere in proposito. Non potete controllare i criteri con cui sarete giudicati. L’unica cosa che potete controllare è il vostro lavoro. Perché il vostro lavoro, tutto il vostro lavoro, deve essere professionale. Non vi è mai consentito d’essere dilettanti. Dovete sempre essere professionali. Perché tutto quello che state scrivendo, che sia un compito di inglese o il vostro profilo su Facebook, porta il vostro nome. Vi rappresenta. Nell’era di Google tutto quello che avete scritto è collemetto il mio nome. Credo sia importante pensare al proprio nome come al proprio marchio: così come la «Walt Disney Corporation» non vuole che Topolino venga rappresentato con un’accetta insanguinata nella sua mano bianca e pacioccosa, io non voglio che il mio nome venga associato a della scrittura cattiva e poco professionale. Stiamo vivendo uno dei momenti più elettrizzanti della storia dei media. Le barriere per entrare nel discorso pubblico non sono mai state così basse. Potete girare un cortometraggio con una videocamera da 500 dollari, pubblicarlo su Youtube, e avere un successo mondiale il giorno dopo. Tramite un blog avete la possibilità di rispondere ai media come mai è successo prima, e i vostri lettori possono rispondervi. Quello che vi chiedo, quello che vi supplico di fare, è di affrontare questi nuovi strumenti da professionisti, non da dilettanti. Il vostro blog sarà disponibile per sempre. Per sempre. Gli storici lo leggeranno e si chiederanno: «Ma non avevano il correttore automatico?» A prescindere dalla carriera che decidiate di intraprendere, sarete scrittori per il resto della vostra vita. Promettete a voi stessi, oggi, che sarete per sempre professionisti. Traduzione e adattamento a cura di Emilio Bellu