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 2009  maggio 27 Mercoledì calendario

IL CERTIFICATO DI ILLIBATEZZA


Tra le molte questioni, politiche e non, che si incrociano nel cosiddetto «Noemigate», ce n’è una che solo a prima vista può apparire secondaria. il punto della verginità di Noemi, rivendicata gran voce dal padre della ragazza, Elio Letizia, nell’intervista data al Mattino per difendere Berlusconi e smentire le rivelazioni fatte a Repubblica da uno dei fidanzati della figlia, Gino Flaminio. «Mia figlia è illibata. Ricordatevi questa parola: illibata», ha detto e ripetuto Letizia, benché Gino non fosse entrato in questi particolari e si fosse limitato a riferire della partecipazione di Noemi, insieme ad altre decine di ragazze, a un grande party di Capodanno organizzato dal premier nella sua villa in Sardegna a fine dicembre 2008.
Ora, a parte l’uso di una parola così antica, la cui radice, «liba», mette insieme libagioni, banchetti, piaceri della tavola, con l’intimità innocente di una ragazza, colpisce che un valore come questo - appunto, l’illibatezza - entri a sorpresa in una storia che comincia, per quel che ne sa, con il book di foto di un’adolescente in cerca, come tante della sua età, di un passaggio televisivo, e prosegue, raccontata in parte da lei stessa, con l’approdo a Palazzo Grazioli, nella casa ufficio del premier, a un ricevimento del governo per le star della moda a Villa Madama e a una festa del Milan insieme con altre settecento persone.
Che la verginità sia ancora custodita gelosamente da moltissime ragazze dei nostri tempi - e altrettanto insidiata, purtroppo, come dimostra l’escalation di stupri a cui non si riesce a porre argine - non dovrebbe destare meraviglia. Ma è altrettanto normale che nel tempo, parliamo degli ultimi trent’anni, abbia seguito o subito la normale trasformazione della scala dei valori di una società moderna come la nostra.
Siamo lontani, insomma, non qualche decina d’anni, ma secoli, per fortuna, dalla grottesca esibizione pubblica dei lenzuoli della prima notte di nozze, in cui purtroppo una macchia di sangue rappreso doveva dimostrare, insieme, l’avvenuta perdita della verginità della sposa e la comprovata mascolinità del neo-marito. Questo, anche questo, accadeva in molte zone del Sud fino a non troppo tempo fa.
Per esempio, nella Sicilia della mia infanzia, nei paesi vicino a Palermo dove si passavano le vacanze al mare, nella seconda metà degli Anni Settanta. E un’estate di meno di trent’anni fa (è un ricordo personale, ma serve a farsi un’idea), toccò a mio padre in uno di questi frangenti arbitrare una complessa questione di illibatezza. Come avvocato e come villeggiante, a mio padre capitava spesso di essere consultato su questioni anche non strettamente giuridiche. Diciamo che gli abitanti del luogo lo usavano come giudice di pace, oltre che legale.
In breve, la storia era questa. Una ragazza di vent’anni si era fidanzata con un giovane appuntato della Finanza. Già questo, in una zona di pescatori, che avevano nei finanzieri i loro avversari, non era visto di buon occhio. Qualche mese dopo che la storia era diventata pubblica, e oggetto di molti pettegolezzi, la ragazza aveva scoperto che il fidanzato aveva una storia con un’altra, una certa Cettina, in un paese distante solo pochi chilometri. Due domeniche al mese, quando diceva di essere di turno in caserma, in realtà andava a pranzo dai futuri suoceri. Dal che, oltre a scoprire di essere tradita, la ragazza aveva dedotto che la fidanzata ufficiale era l’altra, e non lei.
Aveva pianto, Si era sfogata con le amiche. Poi con la madre, furiosa per l’affronto del finanziere. E tutte insieme avevano deciso come vendetta una spedizione punitiva contro il fedifrago, la fidanzata e i suoi familiari. Fu così che la domenica successiva, sfondando a calci la porta d’ingresso, penetrarono nella casa dov’’ra stato appena allestito il pranzo, e all’urlo «Complimenti per la bella Cettina!», presero a botte tutti i presenti e distrussero quel che restava.
La situazione si presentava molto compromessa quando mio padre fu chiamato dai carabinieri che avevano arrestato il commando di donne vendicatrici. Lo scandalo era forte, ma poiché non vi erano feriti gravi, e c’era di mezzo il destino di un servitore dello Stato, che se portato in giudizio avrebbe perso il posto, la soluzione migliore per tutti era un accordo che consentisse di evitare il processo. Mio padre la trovò, con un ovvio, quanto congruo, risarcimento dei danni, e con un piccolo colpo di genio. Siccome il tradimento perpetuato dal finanziere poteva considerarsi un danno inflitto alla prima fidanzata (la cui spedizione punitiva si configurava come reazione), e anche un rischio per la sua futura vita sentimentale (avrebbe mai trovato un altro uomo, una ch’era stata con un finanziere e s’era pure fatta tradire?), fu concordato che oltre a partecipare ai pagamenti, il fidanzato bigamo avrebbe consegnato alla sua ex-prima fidanzata un documento molto particolare: un certificato di illibatezza autografo. In questo testo, vergato da mio padre, firmato dall’interessato ed allegato dal giudice agli atti con cui il processo veniva archiviato, l’uomo confessava di aver provato e riprovato più volte a ottenere la prova d’amore prima del matrimonio dalla sua donna, ma di averla trovata decisamente contraria e gelosa, per l’appunto, della propria intimità.
Quanto distante possa risultare una storia come questa da quella che lunedì riportavano alcuni giornali, della ragazza romena che ha messo all’asta la propria verginità su Internet, e l’ha venduta per diecimila euro, è del tutto evidente. Eppure, Elio Letizia, per difendere sua figlia e scagionare il premier, viene a dire, e a ripetere indignato, che Noemi «è illibata». Senza capire che l’illibatezza, ai tempi in cui questa parola era ancora in voga, era sì un vanto per le ragazze, ma assai meno per i maschi che avrebbero dovuto insidiarla. E che adesso, con l’opinione pubblica divisa, tra i moralisti che trovano nello scandalo un motivo in più per prendersela con Berlusconi, e i suoi fan che quasi quasi lo invidiano, sarebbe meglio essere più cauti a parlare di verginità. Si rischia, almeno, di creare disorientamento.