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 2009  maggio 27 Mercoledì calendario

L’ITALIANO CHE VOLEVA SUPERARE DARWIN


Era fatale che la presenza del Vaticano in Italia rendesse per lo meno problematica l’adesione della scienza ufficiale alle teorie di Darwin e, in effetti, l’evoluzione restò per lungo tempo, e si potrebbe ben dire fino ad oggi, un argomento in odore di zolfo. Però, anche nel nostro Paese, alcuni scienziati più aperti alle avventure del pensiero non poterono, fin dal principio, restare in silenzio e il dibattito fu aperto, nel 1874, da Filippo De Filippi, professore nell’Ateneo torinese, con una celebre conferenza sul confronto tra la scimmia e l’uomo.
Puntualmente, una casa editrice, l’Utet, colse la palla al balzo e cominciò a far tradurre le opere di Darwin, affidando l’operazione a grandi personaggi, tra tutti il naturalista Michele Lessona. Queste traduzioni, benché presentino oggi dei frequenti arcaismi lessicali, sono ancora del tutto attendibili, se si pensa che talora i traduttori, Darwin vivente, lo consultavano per avere dei lumi. Il vero cavaliere, se così si può dire, di Darwin in Italia è stato lo zoologo Giovanni Canestrini, che portò il dibattito sull’evoluzione in ambito accademico, come certame tra gli scienziati, e non più tra i teologi.
Ma, se Canestrini fu il più noto darwinista italiano, non apportò granché alla teoria dell’evoluzione e, a parte alcuni umori personali, si votò pur sempre all’ortodossia. Al contrario, Daniele Rosa, uno scienziato ormai dimenticato, è stato il solo a proporre un’interpretazione tutta sua del processo evolutivo, formulata nel 1918 con un suo libro dal titolo «L’Ologenesi». Comincio a chiosare il libro, suggerendo come gli scienziati facciano spesso ricorso - come i poeti, che diamine! - a vere e proprie metafore. Per esempio, la selezione naturale di Darwin è una metafora di quella artificiale. Nella sua «Ologenesi», Rosa sembra considerare, anche se non lo palesa, l’evoluzione delle specie come una metafora dello sviluppo di un organismo, che nasce, matura, si riproduce e muore, secondo il proprio ciclo biologico.
I primi organismi elementari, che si sarebbero, per Rosa, formati contemporaneamente su tutto il pianeta, laddove le condizioni fossero state propizie, ospiterebbero in sé tutte le trasformazioni future, della quercia come del ramarro, del pesce come del filosofo. Lo sviluppo dell’embrione, le cui cellule al principio sono totipotenti e, man mano che l’embriogenesi procede, si specializzano a formare i diversi tessuti, sono un’ulteriore metafora chiamata in causa. Nel corso dell’evoluzione - continuiamo a chiosare - a un certo punto ogni specie si divide in due, l’una che avrà vita breve e si dividerà ben presto nuovamente, l’altra, più durevole, che dilazionerà nel tempo il suo destino dicotomico. Per questo, sarebbero compresenti sul pianeta delle forme di vita meno complesse, arcaiche, insieme ad altre di maggior complessità.
La teoria dell’Ologenesi spiegherebbe brillantemente il perché dei fossili viventi, come il celacanto, che dovrebbe essersi estinto più di 200 milioni di anni fa, e che, beato lui, gode di ottima salute. Altra metafora: come i bambù che fioriscono insieme su tutto il pianeta dopo lo stesso lungo lasso di tempo, le stesse specie si dividerebbero in sincronia sul globo. L’idea che nel primo organismo siano contenuti, in potenza, tutti quelli che verranno è il fantasma epistemologico della teoria preformista, che vedeva l’ovulo femminile come una bambola russa, arricchita da una serie di omuncoli, sempre più piccoli oppure sempre più grandi, secondo che si procedesse all’indietro o in avanti.
Riassumendo, per Rosa, l’evoluzione si svolgerebbe secondo un «élan vital» alla Bergson, senza che la selezione ricopra la funzione egemone che le ha attribuito Darwin. Proprio per questo suo chiamare in causa delle forze incognite, l’Ologenesi è più un’esercitazione concettuale che una proposta veramente scientifica. Tra l’altro, relitti di teorie superate come il preformismo e un possibile vitalismo la trasferiscono ai confini della metafisica. La fortuna dell’Ologenesi è stata piuttosto misera. Ha ricevuto il consenso del professor Colosi, noto per una sua splendida fauna d’Italia e del francese Montandon, che l’ha applicata alla genesi della specie umana.