Marco Zatterin, La stampa 27/5/2009, 27 maggio 2009
L’EUROTRUFFA RIEMPIE IL CARRELLO
Il mostro è una scatola quadrata di cartone plastificato con l’immagine di un glorioso tramonto. Lo chiamano «wine kit», consente di farsi il vino in casa con cinque bustine che contengono varie diavolerie come concentrato di uva liofilizzata, bentonite, disolfito e sorbato di potassio, agenti fissanti non meglio identificati. Ci vogliono 28 giorni e il processo è complesso, richiede tempi, umidità e temperature precise. Chi ci riesce, mette in cantina 30 bottiglie di nettare di Bacco per 40 euro più spese postali.
La confezione contiene anche le «eleganti etichette» pronte a certificare che dentro l’involucro di vetro c’è del «Barolo». Barolo in polvere, però. Così lontano dall’originale da poter essere gustato anche bianco.
Il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia lo mette a buon titolo in quella che chiama la «galleria delle schifezze», «trappole» con le quali la normativa europea sfida la pazienza del consumatore italico. La Coldiretti le ha esposte improvvisando un micromuseo in un grande albergo di Bruxelles: il formaggio senza latte, il biologico contaminato dal geneticamente modificato, il pollo senza patria, l’aranciata senza arance. «Cose che finiscono inconsapevolmente nella borsa della spesa - argomenta il presidente dell’organizzazione agricola, Sergio Marini -. La grande distribuzione fa business giocando sull’ambiguità dell’informazione».
Ci giocano in tanti, nel grande condominio europeo, dove la tendenza a far prevalere gli interessi nazionali su quelli europei è senza confini. Vino senza vino? In Germania e in altri paesi nordici lo spremono da anni con mele, lamponi e ribes. Sul mercato interno lo chiamano «vino» e così si sono battuti per continuare a farlo anche all’estero. L’Italia s’è opposta, rassegnandosi poi all’ineluttabilità del voto a maggioranza che, su molte questioni agricole, ha creato una micidiale maggioranza a 14 (stati nordici e dell’Europa dell’Est) contro 13 (Mediterraneo e dintorni). Resta la speranza che i consumatori leggano le etichette e non si facciano ingannare. Coldiretti e ministro non sembrano esserne convinti.
In Consiglio a Bruxelles vincono le lobby più forti: Germania, Scandinavia, Francia. Quasi mai l’Italia, che ha un’agricoltura di maggiore qualità, tradizione e prezzo. Berlino difende coi denti i suoi grandi allevamenti e le supercoltivazioni. Da noi il sistema è parcellizzato, e la cultura della difesa dei diritti in Europa è una scienza giovane, non ancora libera dalla maledizione che negli anni Ottanta convinse il governo a barattare un brutto affare sulle quote latte con i sostegni alla siderurgia. S’è visto com’è andata.
Marini vuole che si lavori Bruxelles ai fianchi per proteggerci dai tranelli. Ad esempio quelli legati all’abolizione degli standard minimi per la frutta e verdura con il rischio della vendita di prodotti di scarto a prezzi non controllabili. Oppure la norma che da gennaio consente di incorporare la caseina nella produzione di formaggio sino al 10%. Benissimo. Però questo non deve far dimenticare ciò che l’Europa ha fatto per la nostra economia verde, a partire dalla protezione dei marchi tutelati. Dal prossimo primo luglio arriva anche l’etichetta doc per l’olio d’oliva di qualità a partire dalle indicazioni geografiche protette. Per chi lo produce è un trionfo. L’Ue, come tutti i condomini, sa rivelarsi una medaglia a due facce.