Lorenzo Salvia, Corriere della Sera 27/5/2009, 27 maggio 2009
La nuova figura del disoccupato: 35-54 anni, del Centro-Nord - Uomo, età compresa fra i 35 e i 54 anni, residente al Centro-Nord, diplomato, ex lavoratore stabile nel settore dell’industria, capo famiglia e quindi con più di una bocca da sfamare
La nuova figura del disoccupato: 35-54 anni, del Centro-Nord - Uomo, età compresa fra i 35 e i 54 anni, residente al Centro-Nord, diplomato, ex lavoratore stabile nel settore dell’industria, capo famiglia e quindi con più di una bocca da sfamare. Il «nuovo disoccupato» ha ancora più paura di quello vecchio. Perché non appartiene alla categoria dei sempre deboli come i precari, le donne, o i giovani del Sud. No, pensava di avercela fatta il «nuovo disoccupato», di essersi ritagliato un angolino tranquillo nella giungla del capitalismo: vive nella parte più ricca del Paese, è nel pieno dell’età lavorativa, ha pure conquistato un contratto a tempo indeterminato. E invece eccolo qui, di nuovo a cercar un posto quando l’età non aiuta e il Pil ancora meno. Effetto della crisi, secondo il Rapporto 2008 dell’Istat che scatta la stessa fotografia da angolazioni diverse. Quasi sempre con lo stesso, preoccupante, risultato. Nel 2008 la crescita dei disoccupati (186 mila persone in più) ha superato quella degli occupati, più 183 mila. Non succedeva dal 1995. Il numero delle famiglie che non ha nemmeno un occupato ha sfondato la soglia del mezzo milione, passando da 464 mila a 531 mila. Di famiglie ce ne sono altre 617 mila che vivono con un solo reddito part time, più o meno 700 euro al mese. Ma per capire davvero cosa sta succedendo bisogna scendere più in profondità. Sale il numero dei disoccupati ma, soprattutto, cambia il motivo della disoccupazione. Rispetto all’anno precedente sono sì aumentati (più 13,8%) i lavoratori rimasti a spasso per il mancato rinnovo di un contratto a termine. Ma la crescita è molto più consistente (più 32%) per chi aveva un contratto a tempo indeterminato ed è stato licenziato. Come risultato il tasso d’occupazione nella categoria padri, spesso gli unici a portare a casa lo stipendio, è sceso dall’ 83,3 all’82,7 per cento. E anche chi un lavoro ce l’ha ancora sta peggio di prima: sempre fra i padri aumentano i contratti part time (+17 mila) e crollano quelli a tempo indeterminato, meno 107 mila. Va meglio per le madri, con un tasso d’occupazione infinitamente più basso ma in leggero recupero, dal 49,5 al 50,4%, e solo grazie all’aumento del part time. La disoccupazione sale anche tra gli stranieri che vivono regolarmente nel nostro Paese: i senza lavoro sono 162 mila, il 10% del totale contro il 6,1% del 2005. Nuvoloni che oscurano un cielo già tendente al brutto. I dati sulla situazione economica delle famiglie erano stati raccolti dall’Istat alla fine del 2007, cioè prima dell’arrivo della crisi. Già allora una famiglia italiana su cinque era in difficoltà: il 10,4 per cento non era in grado di affrontare una spesa imprevista di 700 euro, il 5,5% si era trovato almeno una volta senza soldi per comprare da mangiare o per pagare il medico. Mentre il 6,3 per cento aveva difficoltà a pagare le bollette, arrivando a rinunciare persino al riscaldamento di casa. Almeno prima della crisi, invece, il resto delle famiglie italiane se la passava non male: il 36,3% in condizioni di «relativo benessere », il 41,5% con «livelli inesistenti o minimi di disagio economico». Come ogni anno, i dati Istat diventano terreno di scontro per la politica. «La crescita della disoccupazione, del disagio sociale, della povertà: a fronte di questo grande fenomeno – dice Massimo D’Alema per il Pd – abbiamo un presidente del Consiglio che nega la realtà della crisi e non fa nulla». Gli risponde il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: «Bisogna sostenere soprattutto chi ha responsabilità familiari e aiutare chi, uscendo dal rapporto di lavoro, potrebbe non trovarne un altro vista l’età. E questa è una delle priorità che ci siamo dati».