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 2009  maggio 25 Lunedì calendario

WALL STREET TEME LA TEMPESTA IN ARRIVO


L’onda sismica del «downgrade» attraversa l’Atlantico e colpisce gli Stati Uniti scatenando a Wall Street vendite a pioggia di azioni e obbligazioni. L’America si riscopre vulnerabile, il suo debito, considerato solido come il granito, rischia di intaccarsi sotto le picconate di una spesa elevata e di una prolungata recessione.
Scattano così le prese di profitti e i Treasury vengono scaricati sul mercato secondario, il dollaro scivola mentre rimbalza l’oro, il miglior tranquillante in regime di incertezza. Il tutto a svantaggio di una ripresa che già fatica ad arrivare. I timori sono giustificati secondo Bill Gross, super-stratega di Pacific Investment Management, il primo operatore mondiale nel reddito fisso. Gli Usa «potrebbero perdere» la tripla A: «non avverrebbe certo in una notte, ma i mercati hanno iniziato a valutare anche questa ipotesi». Il motivo? «Gli Usa come la Gran Bretagna hanno un deficit previsto del 10% ed entro i prossimi anni l’indebitamento potrebbe raggiungere il 100% del Pil, un livello per cui spesso scattano i downgrade», Per Gross i mercati sono consapevoli inoltre che «Usa e Uk hanno trend e livelli di debito simili».
Il segretario al Tesoro, Timothy Geithner cerca di rassicurare ribadendo l’impegno a un calo del deficit al 3% del Pil, anche se la Casa Bianca prevede per l’anno fiscale in corso un deficit di 1.840 miliardi di dollari, il 12,9% della ricchezza nazionale. In suo aiuto arrivano gli esperti di Moody’s spiegando che il rating degli Usa rimane stabile e fermo ad AAA, mentre il premio Nobel, Paul Krugman, da Hong Kong definisce «fantasiosa» una revisione come quella di S&P sul debito di sua maestà, anche perché «il governo ha comunque margini per alzare la tassazione». Ma i mercati non la pensano così e i rendimenti decennali, considerati un benchmark del settore, rimbalzano al 3,45%, il massimo degli ultimi sei mesi mentre il Tesoro si appresta a collocare nuovo debito per 101 miliardi di dollari. L’allarme rimbalza sui media come il Financial Times, tra quelli che più dedica spazio, mentre il New York Post, del magnate australiano Murdoch, da bastione conservatore punta il dito verso «le scelte sciagurate» di Obama. Gli americani si riscoprono così intenditori di finanza e, come accaduto per i «subprime» iniziano a masticare termini come, deficit o rapporto debito/pil, sino a ieri popolari soprattutto in Europa dove grazie a Bruxelles sono entrati a spinta nel linguaggio comune. E’ proprio questo parametro che preoccupa gli esperti americani: i livelli attuali parlano di un’esposizione di 11 mila miliardi di dollari a fronte dei circa 14 mila miliardi di Pil. Mentre per altri, il rapporto è ancora più pesante al netto delle differenze contabili che distinguono le stime di calcolo dell’amministrazione Usa da quelle europee. Obama stesso avverte che il Paese è «a corto di liquidi», per colpa della crisi e delle eredità del passato.
«Abbiamo problemi di breve termine da risolvere», rimettere a posto il sistema finanziario, l’industria dell’auto, economia e lavoro, e «questioni a più lunga scadenza», come la riforma del sistema sanitario, «senza la quale non è possibile riportare il deficit sotto controllo». C’è inoltre il rischio che Pechino, tra i maggiori investitori in bond Usa - ma anche uno dei Paesi che auspicano l’introduzione di una nuova moneta di riferimento a livello internazionale - si disfi del debito contribuendo a peggiorare la situazione. «C’è un ma - spiega Dave Kansas, blogger del Wall Street Journal - Se la Cina decide di vendere, il dollaro cala svalutando tutte le sue riserve in moneta americana. Inoltre se gli Usa non potranno finanziarie il proprio debito l’economia ne soffrirà e l’export cinese avrà sbocchi ridotti negli States. Prima di agire, Pechino si chieda che fine faranno le merci cinesi».