Mario Sensini, Corriere della sera 26/5/2009, 26 maggio 2009
SOCIAL CARD, BOCCIATE 220 MILA RICHIESTE
Su 788 mila presentate. Respinti pensionati da 5.000 euro al mese Spesi 148 milioni, soprattutto per acquistare alimentari
Va bene che in California, dopo la tempesta della crisi, ci sono manager che vivono nelle tendopoli. E passi pure il fatto che ormai dovunque, come spiegano gli economisti, anche il ceto medio fatica ad arrivare con lo stipendio alla fine del mese. Ma davvero si può pensare di essere poveri con un reddito di 5.500 euro mensili? A Caltanissetta può succedere, tanto che un distinto pensionato della città siciliana, con 66 mila euro di reddito annuo, non si è fatto scrupolo di presentare la domanda per ottenere i 40 euro al mese della carta acquisti del governo, pensata per aiutare i più deboli a superare meglio le pene della crisi economica.
Domanda, ovviamente, respinta. Insieme a quelle di altri 930 pensionati che avevano un reddito superiore a 50 mila euro l’anno, quando la soglia massima per la social card è di 6.198 euro per i pensionati di oltre 65 anni e di 8.264 euro per chi ne ha più di 70. Tra i 120 mila che avevano la pensione oltre la soglia massima, altri 50 mila che non avevano diritto al beneficio perché percepivano altri redditi, i 10 mila che non avevano i requisiti dell’età e tutti gli altri che ci hanno provato con gli stratagemmi più vari (compresi i 740 che hanno fatto domanda per conto di persone decedute), le carte acquisti richieste e negate sono state oltre 220 mila.
Su 780 mila domande presentate le carte che funzionano, ad oggi, sono circa 570 mila. Tante? Poche? Nel decreto che a settembre ha varato la carta acquisti il numero dei potenziali destinatari non c’è. Solo nella relazione tecnica che ha accompagnato il decreto in Parlamento c’è una stima, fatta dai tecnici dell’Economia e del Welfare, che indica una platea potenziale di 1 milione e 300 mila persone. E il vero problema sta proprio qui: perché in Italia, dove anche i ricchi lamentano miseria, i veri poveri non si sa quanti siano.
Quelle dell’Istat, che parla di 2 milioni e 400 mila poveri, sono solo stime statistiche, anche se sono state affinate parecchio negli ultimi tempi. Una banca dati sulla povertà, in Italia, non esiste. Quelle del fisco e del sistema previdenziale, che incrociate tra loro potrebbero dare indicazioni valide, non si parlano. E comunque non coincidono. Le persone decedute secondo l’Inps, ad esempio, non corrispondono a quelle dell’Agenzia delle Entrate. Un morto si dichiara sempre prima al fisco e solo qualche tempo dopo agli istituti di previdenza, magari per evitare le cartelle esattoriali e ricevere la pensione per qualche mese in più.
L’unica base di riferimento per valutare la povertà, che è poi quella che si usa nelle domande per la carta acquisti, è l’Isee, sigla che sta per «Indicatore della situazione economica equivalente ». Si ottiene dall’Inps e tiene conto dei redditi, delle proprietà, del numero dei componenti familiari. Ma è uno strumento amministrativo che può dare una scala di valori attendibile soprattutto in realtà circoscritte.
«Funziona male a livello nazionale e va aggiornato ed adattato» dice spesso il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che sulla revisione dell’indice vorrebbe aprire presto un confronto con i sindacati. Anche perché il governo nella carta acquisti, all’inizio definita «uno strumento sperimentale», ci crede molto.
Finora, con le 567.120 carte acquisti attivate fino allo scorso 20 maggio dall’Inps dopo le verifiche, sono stati spesi, secondo gli ultimi dati delle Poste Italiane, 148 milioni e 857 mila euro. Non certo pochi. Le operazioni di acquisto eseguite con il tesserino, che a tutti gli effetti è una carta prepagata dotata di microchip, sono state finora 5 milioni e 282 mila, ciascuna con un importo medio di 28,2 euro (la ricarica mensile è di 40 euro e sulle nuove carte arrivano anche gli arretrati da ottobre 2008).
Nonostante qualche difficoltà e diffidenza iniziale, il ritmo di utilizzo effettivo della carta si è ormai stabilizzato. I più lesti ad usarla sono stati i giovani, che ne hanno diritto se hanno figli di età inferiore ai 3 anni e ovviamente rientrano nei limiti di reddito Isee (6.198 euro, come per le pensioni). Oggi, secondo le stime, anche per i titolari più anziani, oltre i 75 anni, il tasso di utilizzo raggiunge il 95% entro due mesi dall’attivazione.
Il 99% della spesa con la carta acquisti è concentrato negli esercizi che vendono alimentari e bevande ed il 35-40% di questi acquisti, secondo i dati del ministero dell’Economia, avviene nei circa 10 mila negozi che garantiscono uno sconto ulteriore del 5% che fanno parte delle maggiori associazioni: Confcommercio, Legacoop, Federdistribuzione, Confesercenti, Confartigianato, Confcooperative. Il che significa, a conti fatti, che il mondo del commercio ha offerto finora un contributo pari a circa il 2% del Fondo da cui si attingono le risorse. Un pozzo con una dotazione di 900 milioni di euro alimentato con i fondi pubblici (170 milioni), i conti bancari dormienti e le tasse su petrolieri e banche (465 milioni), le donazioni spontanee di Enel e Eni (250 milioni). A tutt’oggi ci sono da spendere 755 milioni di euro nel Fondo, che ha costi netti di gestione a proprio carico di 1,3 milioni di euro (300 mila di commissioni di gestione e un milione per la produzione e il recapito di materiale informativo).
Il restante 1% delle spese avviene, invece, nelle farmacie aderenti a Federfarma e Assofarm, che offrono anch’esse uno sconto del 5% (e la misurazione gratuita del peso e della pressione), ma che sono entrate nel circuito solo il 3 aprile scorso. Molto poco usate, finora, sono invece le altre possibilità di spesa della carta, benché ad esempio offra il diritto automatico ad ottenere la tariffa sociale sulle bollette elettriche e del gas. In compenso si moltiplicano le iniziative spontanee a favore dei suoi possessori. Come quella dell’Associazione Nazionale dei Dentisti, che promette tariffe agevolate, o quelle di Telecom Italia che garantisce il blocco del canone (1,26 euro al mese più l’Iva) e di Vodafone che concede l’opzione Family gratuita (3 euro al mese). «Sei mesi è un periodo troppo breve per tracciare un bilancio definitivo della social card», ripetono all’Economia. Dove però pensano già all’edizione del 2010. Magari dopo aver provveduto già quest’anno, cosa che il governo non esclude, alla revisione dei criteri di assegnazione per allargare la platea dei beneficiari.