Piero Bianucci, La Stampa 26/05/2009, 26 maggio 2009
SE METTI IN RETE IL TUO DNA
Mark Zuckerberg, diciannovenne studente dell’università di Harvard, creò Facebook per mettersi in contatto con i suoi compagni di studi. Era il 4 febbraio del 2004. Oggi Facebook è un social network globale che raccoglie i profili di 200 milioni di ragazzi (e non solo ragazzi). Cioè miliardi di dati anagrafici e psicologici, foto, confidenze più o meno intime. Per iscriversi basta aver compiuto 13 anni. Vetrina cosmopolita dell’umanità in rete, Facebook si piazza tra i dieci siti più visitati, incassa due milioni di dollari alla settimana e probabilmente costituisce la più grande sfida alla privacy che mai sia stata lanciata. Una spina nel cuore – possiamo immaginare – per Stefano Rodotà e l’attuale Garante della protezione dei dati personali Francesco Pizzetti. Se mai ce ne fosse bisogno, Facebook è la dimostrazione che oggi per milioni di giovani il problema non è tutelare la riservatezza propria e altrui ma annullarla in una esibizione senza limiti.
Eppure si può andare oltre Facebook. Il premio Nobel per la Medicina James D. Watson ha messo in rete il suo Dna. Cioè i tre miliardi di informazioni genetiche contenuti in ogni sua cellula. Watson fu studente universitario a Chicago dal 1943 al 1947, quando Internet non era neppure immaginabile. Insieme con l’inglese Francis Crick nel 1953 scoprì la forma a doppia elica della molecola che custodisce le istruzioni per costruire ogni essere vivente, dal più trascurabile microrganismo all’Homo sapiens.
Oggi alla Bio-Nanomatrix (Usa) il biologo Han Cao sta mettendo a punto un sistema per mappare il nostro genoma a cento dollari in otto ore. Per capire quanto la cosa sia rivoluzionaria dobbiamo ricordare che nel 2001 un consorzio pubblico internazionale e un’azienda privata del biologo-manager Craig Venter per la prima volta riuscirono ad analizzare un intero genoma umano. Il consorzio pubblico, sotto la guida del Dipartimento per l’Energia americano, aveva speso tre miliardi di dollari e una quindicina di anni, l’azienda di Craig Venter circa un terzo di quel tempo. Entrambi i lavori avevano ancora numerose lacune e in ogni caso sembrava impossibile leggere un genoma senza spendere miliardi di dollari e anni di lavoro. Ma le cose sono cambiate in fretta. Per conoscere il proprio genoma Watson ha sborsato «solo» un milione di dollari. Craig Venter ancora meno (giocava in casa), e anche lui lo ha subito messo in rete. Attualmente la mappa completa di un genoma costa centomila dollari e il traguardo del genoma a 100 dollari e in otto ore appare vicino. Rivoluzionerà la medicina perché permetterà cure preventive ben mirate sul paziente, cioè terapie personalizzate efficacissime e quasi prive di effetti collaterali.
Watson sarà un genio, nessuno lo nega, ma è anche un personaggio controverso. Qualche tempo fa sostenne tesi razziste cercando di darne motivazioni scientifiche. Poi, come fanno certi leader politici, disse che i giornalisti l’avevano frainteso. Ora ci spiega che ha messo su Internet il suo Dna «non per vanità ma per una questione molto personale»: spera che i colleghi scienziati studiando il suo genoma gli forniscano indicazioni utili per capire meglio i suoi figli e curare meglio se stesso. Così, per esempio, ha scoperto che nel suo caso non funziona abbassare la pressione arteriosa con i betabloccanti perché è portatore di un gene che ne rallenta troppo l’azione. Ai colleghi che analizzano il suo Dna, Watson chiede però che non gli rivelino se, come sua nonna, è destinato a sviluppare la Malattia di Alzheimer. Sarebbe frustrante attendere questa terribile forma di demenza senza poter fare nulla (al momento) per evitarla.
A questo punto è inevitabile domandarsi che cosa succederebbe se, con mappe geniche al prezzo stracciato di 100 dollari, l’esempio di Watson e di Venter diventasse contagioso. Arriveremo a una versione di Facebook che oltre alla foto e ai gusti musicali degli iscritti mette a disposizione anche i loro cromosomi? Vedremo amori propiziati da affinità non scoperte andando a spasso mano nella mano ma mettendo a confronto sequenze di Dna? Forse dobbiamo preparaci anche a questo. Però poi, nelle cause di separazione, non si venga a dire che il compagno o la compagna ti avevano nascosto qualcosa.