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 2009  maggio 26 Martedì calendario

La presenza cinese in Africa può essere letta attraverso due scale parallele. Negli Anni Ottanta il commercio tra il Continente nero e la Cina era di 12 milioni di dollari, nel 2000 era già passato a 10 miliardi e l’anno scorso ha sfondato i 60 miliardi

La presenza cinese in Africa può essere letta attraverso due scale parallele. Negli Anni Ottanta il commercio tra il Continente nero e la Cina era di 12 milioni di dollari, nel 2000 era già passato a 10 miliardi e l’anno scorso ha sfondato i 60 miliardi. Una crescita da universo parallelo, del 500.000 per cento. Assieme all’interscambio, però, si moltiplicavano gli scontri e soprattutto cambiavano di natura. Negli Anni Settanta Pechino inviava consiglieri militari in Mozambico e medici in Algeria, addestrava alla guerriglia militanti eritrei o soldati della Tanzania. Oggi sono i cittadini cinesi, specialmente gli imprenditori, a essere a rischio. Gli episodi di rapimenti, minacce, estorsioni non si contano più. La ragione, oltre che nell’incredibile successo imprenditoriale degli espatriati in Africa, va cercata nell’approccio politico. Pechino ha un atteggiamento «neutro», apparentemente molto prudente. Non pretende il rispetto dei diritti umani, non ficca il naso nella gestione delle questioni interne. Ma questo suo atteggiamento non è privo di rischi. I movimenti antigovernativi, i ribelli attaccano i cinesi, considerati un sostegno attivo ai governi, spesso odiatissimi, al potere. Poi c’è una ragione, per così dire, infrastrutturale. I cinesi sono impegnati in colossali lavori per costruire ponti, strade, ferrovie, interi complessi industriali. Offrono un rapporto prezzo qualità allettante, ma nella maggior parte dei casi impiegano poca manovalanza locale. Si portano tutto da casa, dagli ingegneri agli operai. una scelta in parte voluta, in parte subita. Il problema, ammettono gli africanisti cinesi, è che le imprese di Pechino non sanno gestire gli operai africani. I manager si lamentano che la manodopera locale è inaffidabile, oggi viene a lavorare, domani non si sa, è svogliata, non si impegna, non si adegua ai ritmi cinesi. Ma, sotto sotto, ci sono anche motivazioni che sanno di razzismo. I cinesi dicono di essere più sensibili agli odori rispetto ad altre culture. Per loro già gli europei hanno un «odore forte». Gli africani ancor di più. Il nero, poi, nella tradizionale cultura estetica cinese è associato al brutto. E l’estroversione, anche sessuale, degli africani, si scontra con la tipica riservatezza dei cinesi. Contro questi pregiudizi i mass media di Pechino combattono, mostrando africani in trasmissioni tv per bambini o abbracciando in pubblico i figli di coppie miste. Nei fatti però molti africani si lamentano dei rapporti con i cinesi. Gli europei, pur con un passato coloniale lungo e spesso orribile, hanno una relazione consolidata. Quella tra Cina e Africa è invece tutta da costruire, anche se potrebbe cambiare il futuro dell’economia mondiale.