Pierangelo Sapegno, la Stampa 26/04/2009, 26 aprile 2009
ANCHE JFK AMAVA LE STAGISTE
Ci hanno messo più di quarant’anni, perché anche in America ci vuole il suo tempo, ma alla fine pure i segreti di Mimi Beardsley Alford e l’ultimo peccato di John Fitzgerald Kennedy sono diventati una storia da raccontare, un libro di memorie e un altro amore da svelare.
Avevo solo 19 anni, ero una ragazza molto giovane, ingenua e innocente», scrive lei, che adesso di anni ne ha 66, dopo aver accumulato due divorzi alle spalle, un nuovo cognome e un’anima persa nei tumulti del cuore, come capita a tutti quelli che ci hanno creduto. Barbara Gamarekian, vicesegretaria nell’ufficio stampa del presidente Kennedy, la ricorda che era «una studentessa alta, snella e bella», e a giudicare dall’immagine in bianco e nero un po’ seppiata del New York Times il suo profilo ha davvero qualcosa di dolce e conturbante, i capelli gonfi e ondulati come si portavano all’epoca, i tratti delicati e lo sguardo intenso per cercare il mondo. Era il 1962, mese di giugno, quando Mimi aveva appena vinto una borsa di studio ed era diventata una stagista del presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. Solo che diventò anche la sua amante. Niente di nuovo sotto il cielo. Però, quella fu una storia vera, che durò fino alla sua morte, un anno e mezzo dopo, Dallas, novembre 1963.
Adesso lei lo racconta in un libro, «Once upon a secret», che la casa editrice Random House manderà alle stampe quest’autunno (per un milione di dollari), e non è sbagliato dirlo che «c’era una volta un segreto», perché quell’amore nascosto restò senza luce fino al 2003, quando lo scoprì lo scrittore Robert Dallek nella sua biografia «An unfinished life: John Fitzgerald Kennedy, 1917-1963», rivelandone già allora la relazione e descrivendo lei come «una ragazzina impertinente, pronta a telefonare al presidente fino in Irlanda, dove lui era in visita, per lamentarsi che i suoi superiori non le concedevano un giorno di riposo». Secondo gola profonda Barbara Gamarekian, Kennedy minacciò di licenziare chiunque avesse dato problemi alla ragazza. E Mimi ottenne quello che voleva. Nel suo libro di memorie, Mimi Beardsley Alford è ovviamente molto meno severa con se stessa, ma non per questo meno vera. La redattrice che ha curato il suo lavoro ha spiegato al New York Times che è la grande storia della «perdita di una innocenza». Mimi, ha aggiunto il suo agente, Mark Reiter, l’ha divisa in tre parti: «All’inizio narra la sua vita spensierata prima di Washington, poi la sua esperienza alla Casa Bianca e infine gli anni che sono venuti dopo, la sua scelta di tenere il segreto, di non rivelarlo a nessuno, neanche alla famiglia, persino ai suoi genitori e ai suoi figli, e di come questo abbia influenzato e deciso la sua vita». Mimi cambiò persino nome e cognome per nascondersi, prendendo a prestito quello del primo marito, il manager Anthony Fahnestock, e diventando Marion Fahnestock. Riuscì a rintracciarla il Daily News, una elegante signora con i capelli corti che lavorava in una chiesa presbiteriana.
Il mondo era già andato da un’altra parte. Per lei aveva svoltato quel giorno di Dallas. Era ritornata al college, da dove era venuta, con il suo segreto. E gli anni allegri della Casa Bianca erano morti di colpo. Perché Barbara Gamarekian aveva svelato dal di dentro un tempo di «grande festa» e divertimenti. Innanzitutto, Mimi non era l’unica amante. Era quella più importante, perché una volta accompagnò il presidente persino a Nassau, Bahamas, in visita ufficiale, con grande discrezione, però, senza svelarsi a nessuno. Ma Barbara dice che «l’ufficio stampa era popolato da giovani considerati veri e propri oggetti sessuali dagli aiutanti del presidente». Nessun giornale ne parlava, spiega, e nessuno scandalo venne fuori «perché Kennedy aveva la stampa amica». Ma quello che stupisce di più è che fra le due o tre ragazze che facevano parte del giro «non c’era nessuna competitività. A volte si riunivano fra di loro per parlottare e ridere sotto i baffi». Erano molto complici, fra di loro. Tutti sapevano tutto, «era una specie di barzelletta». Però, non c’era ancora Dallas, e forse non c’era ancora nemmeno la vita. Era come una favola. «Era una grande festa, che durava tutti i giorni», dice Barbara. «Una grande festa felice».