Federico Rampini, la Repubblica 26/05/2009, 26 maggio 2009
La Corea del Nord alza la posta del ricatto nucleare, osa il secondo test nucleare in due anni e mezzo
La Corea del Nord alza la posta del ricatto nucleare, osa il secondo test nucleare in due anni e mezzo. Il dittatore Kim Jong Il sfida la condanna unanime delle nazioni, sicuro di poter reggere il bluff del terrore. l´America il suo vero obiettivo: vuole piegare Barack Obama, estorcere concessioni economiche, conquistarsi lo status permanente di mini-superpotenza regionale nel teatro strategico dell´Estremo Oriente. L´imbarazzo di Obama è evidente. Le parole del presidente americano sono pesanti, definisce il test nucleare e missilistico "una grave minaccia alla pace e alla sicurezza nel mondo, azioni irresponsabili". Chiama la comunità internazionale a "reagire". Ma come reagire? Gli unici ad avere reali strumenti di pressione sul regime comunista di Pyongyang sono i cinesi. Pechino in questa partita mantiene un ruolo ambiguo e cinico; nasconde le sue carte; si associa alle condanne ma si ferma sempre un passo prima di ogni azione risoluta. Non importa il colore dei suoi presidenti, l´America è presa in ostaggio in una zona vitale per i suoi interessi. Washington dipende dalla buona volontà della Cina e non può denunciarne la doppiezza. Prepotenza e provocazione sono le tattiche predilette dal leader nordcoreano. Hanno sempre funzionato. Anche se la maggioranza del suo popolo vive nel terrore e nella fame, il regime comunista di Pyongyang ha smentito finora chi si aspettava un suo crollo. Il test nucleare di ieri s´inserisce in una strategia razionale, massimizza il potere contrattuale verso l´America e i suoi alleati vicini: Corea del Sud, Giappone. Il test di ieri prosegue una escalation della tensione. Le puntate più recenti: il 5 aprile il lancio di un missile a lunga gittata inabissatosi nel Pacifico tra il Giappone e le Hawaii; l´arresto di due giornaliste americane tuttora in carcere a Pyongyang; il congelamento della pur limitata cooperazione economica con la Corea del Sud. Come giustifica questi gesti la dittatura nordocreana? Ieri un comunicato di Pyongyang si esprimeva così: "L´analisi della politica di Obama negli ultimi 100 giorni dimostra che non è cambiato nulla. E´ inutile sedersi a un tavolo con un interlocutore che ci è ostile". Obama non può neppure invocare gli errori del suo predecessore. Lo stesso George Bush aveva già rettificato il tiro. Dopo l´11 settembre 2001 aveva messo la Corea del Nord tra i paesi dell´"asse del male". Poi, frustrato dallo stallo, aveva tentato l´approccio soft. Nel febbraio 2007 Bush accettò di levare molte sanzioni in cambio di un arresto del programma nucleare nordcoreano. Tra quelle sanzioni una infastidisce particolarmente Kim Jong Il: il blocco dei suoi conti bancari personali su una banca offshore di Macao. Bush aveva offerto la fine di quell´embargo bancario. Ma il disgelo si interruppe bruscamente nel dicembre 2008, con il rifiuto della Corea del Nord di accettare ispezioni nei suoi impianti nucleari. Qual è l´effettiva capacità di nuocere di questi test? Gli esperti di armi nucleari hanno definito un flop il test del 2006. La potenza dell´esplosione di ieri è forse inferiore all´arcaica bomba-A lanciata su Hiroshima. Ma la vicinanza della Corea del Sud e del Giappone, nonché di decine di migliaia di soldati americani dislocati in quell´area, consente a Kim di infliggere danni anche con mezzi rudimentali. Gli basta alzare di un livello la propria pericolosità virtuale, per attirare l´attenzione. Pyongyang in passato ha strappato aiuti economici, finiti regolarmente a ingrassare la nomenklatura, proprio alternando le minacce e le (effimere) concessioni. La chiave sta a Pechino. In questa fase in cui il "monarca rosso" Kim prepara la propria successione, i legami che la Cina ha mantenuto con le alte gerarchie militari di Pyongyang sono una leva potente. E la Corea del Nord non sopravviverebbe più di poche settimane, se la Repubblica Popolare le facesse mancare le forniture di energia o gli approvvigionamenti alimentari. E´ proprio il tipo di pressione che Pechino non ha mai voluto evocare. Neppure l´arma spuntata delle sanzioni Onu riesce a passare oltre il veto cinese. Pechino preferisce lo status quo, in cui la sua diplomazia giostra con abilità. I governanti cinesi esercitano pressioni verbali sui nordcoreani, guadagnandosi così gli apprezzamenti di Washington. Ma il loro intervento evita qualsiasi atto che possa accelerare una decomposizione della dittatura di Pyongyang. Lo sbocco finale sarebbe la riunificazione con la Corea del Sud. La penisola coreana diventerebbe la prima democrazia filo-americana ad avere un confine terrestre con la Cina. Conviene invece prolungare questa sceneggiata tragica e grottesca: mette a nudo la fragilità del potere americano in Asia.