Franco Venturini, Corriere della sera 26/5/2009, 26 maggio 2009
RICATTI GLOBALI
Per bussare alla porta di Obama la Corea del Nord ha scelto l’unico metodo che conosce: il ricatto nucleare. Il test atomico di ieri è il primo dal 2006, quando alla Casa Bianca c’era ancora George Bush e Pyongyang voleva alzare la posta di un balbettante negoziato. L’anno dopo, in effetti, si arrivò a un accordo molto vantaggioso per i nord-coreani. Ma poi nel mondo sono sorti nuovi problemi e soprattutto è arrivato Barack Obama.
Secondaria rispetto alle molte urgenze che attendevano il nuovo presidente, la Corea del Nord si è sentita trascurata. Ecco, allora, il promemoria del 5 aprile: il lancio di un missile balistico a lunga gittata. In Occidente, proteste e nient’altro. Forse, deve aver pensato il carissimo leader Kim Jong-il, serve un messaggio più forte. il turno dell’esplosione sotterranea di un ordigno atomico.
La cronaca di queste ore ci riferisce di altre proteste, di altra indignazione, di altri impegni all’intransigenza. Ma in realtà l’America e la comunità internazionale nascondono un segreto: la loro impotenza, oggi come ieri, davanti alle reiterate provocazioni di Pyongyang.
La più parossistica e isolata dittatura comunista del pianeta ha l’atomica e un esercito di un milione di uomini, ma senza massicci aiuti non è in grado di nutrire decentemente i suoi cittadini. Gli Usa di Bush avevano pensato di percorrere questa strada. A Pyongyang arrivarono tanti generi di prima necessità. Ma tutto quel ben di Dio, invece di indurre i gerarchi nord-coreani al pragmatismo, ebbe l’effetto contrario: Pyongyang ruppe con Seul e cacciò gli ispettori dell’Agenzia atomica prima di rinnovare, per due volte, il suo solito ricatto. Evidentemente alla casta paranoica che governa la Corea del Nord serve anche quello status che soltanto l’attenzione dell’America può conferire e serve soprattutto che il Paese continui a essere un grande campo di concentramento privo di rischi per il potere. Un potere misterioso, che dopo la malattia di Kim Jong-il potrebbe essere oggi nelle mani di militari oltranzisti.
Il risultato è la sconfitta di tutti. Della Cina, che si vanta di esercitare su Pyongyang una certa influenza. Della Russia, che usa citare la sua mediazione con i nord-coreani come esempio di comportamento costruttivo. Ma anche dell’America di Obama, che vede aprirsi un nuovo fronte di crisi proprio mentre l’iraniano Ahmadinejad restituisce al mittente l’idea di negoziare sull’arricchimento dell’uranio.
Proprio nei confronti dei programmi atomici dell’Iran e delle bombe atomiche già esistenti nella Corea del Nord si è detto spesso che gli Usa di Bush abbiano applicato due pesi e due misure. vero, per ragioni ovvie: l’Iran minaccia Israele e può far scattare la proliferazione nucleare nel grande forziere mondiale del petrolio, la Corea del Nord è inattaccabile perché garantita dalla Cina e non crea un pericolo di proliferazione in aree cruciali. Eppure Obama, malgrado queste differenze, dovrà porsi il problema. Forse è il caso che sia lui, per una volta, a ritirare la mano che era stata tesa ai ricattatori di Pyongyang.