Alvar González-Palacios, Il sole 24 ore 24/5/2009, 24 maggio 2009
DAVID, UN DIVO DA FIERA
I capolavori in viaggio corrono spesso meno rischi che nei musei, ma certamente perdono la loro sacralità. Un esempio? Immaginate il Partenone trasferito alle Hawaii - I casi di due Donatello: uno in pericolo nel Museo di Pisa e l’altro spedito come una star alla Campionaria di Rho
Rieccole, le processioni. Le credevo cose del passato, da film neorealista, forse ancora in atto in terre dove i mori erano stati a lungo, come la Sicilia e l’Andalusia, a dimostrare una sorta di bizzarra simbiosi religiosa. Spostare i simulacri degli dei ha del resto origini antichissime e sappiamo che nell’Egitto faraonico le effigi divine venivano palesate ai fedeli e soprattutto al sole per essere rigenerate dalla luce. Non è dunque cosa recente esporre alla pietà del popolo opere che, come tutto quel che è legato alla religione, finiscono per confondersi con l’arte. Ma lungo i secoli l’atteggiamento verso ambedue queste manifestazioni del fervore umano sono mutate. Togliere a una celebrazione religiosa un qualche suo mistero provoca reazioni inspiegabili: per abbandonare il latino e certi riti legati a una tradizione secolare c’è voluto un concilio e le nuove soluzioni non sono piaciute a tutti. C’è addirittura chi afferma che la crisi della fede sia dovuta a queste modifiche. Non parlerò più di religione ma devo ammettere che l’allontanare una certa ombra magica dai grandi capolavori dell’arte nuoce loro perché una qualche irraggiungibilità è inscindibile dalla devozione, sia essa artistica o religiosa. Faccio un esempio: il giorno in cui i regnanti si comportano come cittadini qualunque diventano poco a poco uguali a tutti i cittadini: vengono a perdere quella che gli americani chiamano la loro mystique, il loro carisma, per usare un’altra parola difficile. Che lo si voglia o meno, per parafrasare un titolo una volta celebre, il lutto si addice ad Elettra.
Ma veniamo al nostro affare, giacché vogliamo dire del continuo spostamento di opere d’arte da una parte all’altra del pianeta che sembra imprescindibile per l’apprezzamento della creatività umana. Sono certo che se lo si potesse fare qualcuno proporrebbe di inscenare un trasloco provvisorio dell’intero Partenone alle Hawaii e a Buenos Aires, e la Cattedrale di Chartres andrebbe per un mese a New York e per un altro a Los Angeles. Che c’è di scandaloso? Non furono gli angeli stessi a trasportare la casa di Maria da Efeso a Loreto dove tuttora si trova?
Non sempre, però, i trasporti sono letali alla conservazione fisica dei beni artistici ed è pur vero che le opere d’arte possono essere distrutte là dove si trovano stabilmente. Qualche anno fa un attendente sbadato fece cadere una scala sul busto in terracotta di Alessandro Algardi del Cardinal Zacchia, nel Victoria and Albert Museum; un altro danneggiò la Tazza Farnese del Museo di Napoli e un altro ancora per ben fotografare una brocca appartenuta a Lorenzo il Magnifico la fece cadere.
Qualche giorno fa, il 19 maggio, mi sono recato nel Museo di San Matteo a Pisa: erano le tre del pomeriggio e faceva caldo e così ero il solo visitatore in quelle aule regno dei grandi Primitivi italiani. Una delle stanze però era transennata. Chiesi il permesso di avvicinarmi al San Rossore di Donatello. Un custode arrivò urlando perché potevo farmi male dal momento che gli operai stavano trafficando con attrezzi vari. Risposi che aveva ragione ma che neppure il Donatello era protetto. Il custode replicò che il busto si poteva restaurare ma la mia testa no. Ma il mondo può continuare a vivere senza la mia testa mentre la storia dell’arte perderebbe qualcosa se quel capolavoro fosse danneggiato. Il vecchio Longhi ci insegnava – mezzo secolo fa, è vero – come i capolavori dell’arte siano dei malati gravi in costante pericolo di morte. Vanno dunque aiutati a sopravvivere per la nostra salute comune. Non tutto può diventare un museo o un cimitero, mi si risponderà. Ma nemmeno un mercato o un mattatoio: parlo di una continua mercificazione di oggetti insostituibili e non credo di errare definendo questa pratica comune piuttosto volgare. Ma non vorrei iniziare qui una predica ne tanto meno, come ammoniva Voltaire, rendere la virtù odiosa. Però alcune cose vanno difese a rischio di diventare retorici. Il trasloco delle opere d’arte è cosa inevitabile ed esse sono da sempre un bene prezioso e spesso mercificabile essendo ambasciatrici magnifiche di cultura.
Parlavamo di Donatello. Che sia una vittima predestinata? Era proprio necessario spedire a Milano-Rho, appena compiuto uno straordinario restauro, il David del Bargello? Alla Fiera Campionaria? David fu il liberatore di un popolo e anche se indossa un cappello da Mercurio non è il dio del commercio e non fa nemmeno miracoli. Per sopravvivere anche noi dobbiamo difendere e servire le cose in cui crediamo, non servircene.