Zygmunt Bauman (Traduzione di Maria Sepa), Corriere della sera 24/5/2009, 24 maggio 2009
NASCONO SUI CONFINI LE NUOVE IDENTITA’
Barriere spontanee, recinti, divieti legislativi: i laboratori in cui si modella l’evoluzione umana
Il grande antropologo Claude Lévi-Strauss, nelle Strutture elementari della parentela (1949), il primo dei suoi libri, sostiene che la proibizione dell’incesto (o, più precisamente, la creazione dell’idea di «incesto», cioè di un rapporto possibile ma da non praticare, proibito tra umani) segna l’atto di nascita della cultura. La cultura, e quindi il (particolare) modo umano di essere, inizia tracciando un confine che prima non esisteva. Le donne (tutte, dal punto di vista biologico, potenziali partner in un rapporto sessuale) vengono divise tra quelle con cui è proibito unirsi sessualmente, e le altre, con cui invece è permesso. Alle somiglianze e differenze naturali viene aggiunta una distinzione artificiale, creata e imposta dagli uomini; più precisamente, a certi tratti naturali (in questo caso biografici) viene attribuito un significato ulteriore, associandoli a specifiche regole di percezione, valutazione e alla scelta di un modello di comportamento. La cultura, dagli inizi e per tutta la sua lunga storia, ha continuato a seguire lo stesso modello: usa dei segni che trova o costruisce per dividere, distinguere, differenziare, classificare e separare gli oggetti della percezione e della valutazione, e i modi preferiti/raccomandati/ imposti di rispondere a quegli oggetti. La cultura consiste da sempre nella gestione delle scelte umane.
1. I confini sono tracciati per creare differenze, per distinguere un luogo dal resto dello spazio, un periodo dal resto del tempo, una categoria di creature umane dal resto dell’umanità... Creare delle differenze significa modificare le probabilità: rendere certi eventi più probabili e altri meno, se non addirittura impossibili. Quando questo si verifica in determinati luoghi, periodi, o categorie di persone, il mondo si semplifica, diventa più comprensibile, si trasforma in un ambiente in cui è più facile agire in modo ragionevole (efficace, intenzionale). Il confine protegge (o almeno così si spera o si crede) dall’inatteso e dall’imprevedibile: dalle situazioni che ci spaventerebbero, ci paralizzerebbero e ci renderebbero incapaci di agire. Più i confini sono visibili e i segni di demarcazione sono chiari, più sono «ordinati » lo spazio e il tempo all’interno dei quali ci muoviamo. I confini danno sicurezza. Ci permettono di sapere come, dove e quando muoverci. Ci consentono di agire con fiducia.
2. Per avere questo ruolo, per imporre ordine al caos, rendere il mondo comprensibile e vivibile, i confini devono essere concretamente tracciati. Intorno alle case troviamo steccati o siepi. Sulle porte e sui cancelli ci sono nomi che mostrano la distinzione tra chi sta dentro e chi fuori, tra i residenti e gli ospiti. Ignorare questi segni, disobbedire alle regole che ci indicano, è una trasgressione che comporta conseguenze che vorremmo evitare: eventi temibili, imprevedibili e incontrollabili. D’altro canto, conformarsi alle istruzioni, esplicite o implicite, e modificare il proprio modello di comportamento quando si attraversa il confine crea (ricrea, rafforza, manifesta) l’ordine che il confine deve instaurare, servire e mantenere. Ordine vuol dire la cosa giusta al posto giusto e al momento giusto. Sono i confini a determinare quali sono le cose, i luoghi e i momenti giusti. Gli oggetti del bagno devono essere tenuti separati da quelli della cucina, quelli della camera da letto da quelli del soggiorno, quelli destinati all’esterno da quelli per l’interno. Le cose fuori posto sono sporcizia e devono essere spazzate via, rimosse, distrutte o trasferite altrove, al luogo a cui «appartengono » – se esiste (non sempre esiste, come potrebbero testimoniare i rifugiati apolidi o i vagabondi senzatetto).
Chiamiamo «pulizia» la rimozione di ciò che è indesiderabile, il ristabilimento dell’ordine. «Pulizia» significa ordine.
3. I confini sono tracciati per creare e mantenere un ordine spaziale: per raccogliere in certi luoghi alcune persone e cose lasciandone fuori altre. Negli edifici pubblici gli avvisi di «divieto di accesso» sono sempre posti su un solo lato della porta, per separare chi viene da quella parte (clienti, pazienti esterni) da chi sta dall’altro lato (impiegati, sorveglianti, manager – interni). Le guardie all’entrata dei centri commerciali, ristoranti, edifici amministrativi, quartieri esclusivi, teatri o territori statali permettono a qualcuno di entrare e ad altri no, controllando biglietti, lasciapassare, passaporti e simili documenti, o cercando di capire le intenzioni di chi vuole entrare o predire la sua capacità di attenersi alle regole stabilite. Ogni modello di ordine spaziale divide gli esseri umani in «desiderabili» e «indesiderabili ». Ogni confine ha lo scopo di evitare che le due categorie si mescolino nello stesso spazio.
4. I confini dividono lo spazio; ma non sono pure e semplici barriere. Sono anche interfacce tra i luoghi che separano. In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni. Sono pochi (se pure ci sono) i muri privi di cancelli o porte. I muri sono, per principio, valicabili – anche se le guardie da entrambi i lati hanno scopi opposti e cercano di rendere l’osmosi (la permeabilità e penetrabilità dei confini) asimmetrica. L’asimmetria è completa, o quasi, nel caso delle prigioni, dei campi di detenzione e dei ghetti, o delle «aree ghettizzate» (Gaza e la Cisgiordania sono oggi gli esempi più vistosi di questo tipo), dove le guardie sono solo da un lato; ma le zone delle città che notoriamente è bene evitare tendono ad assomigliare a questo modello estremo, affiancando al rifiuto di entrare di chi è fuori la condizione di non poter uscire di chi è dentro.
5. Tracciare e proteggere i confini sono attività prioritarie, volte a ottenere e mantenere la sicurezza; il prezzo da pagare è la perdita della libertà di movimento. Questa libertà diventa ben presto il fattore discriminante tra i diversi gradi sociali e il criterio secondo cui un individuo o una categoria vengono misurati all’interno della gerarchia sociale; il diritto di passaggio (o meglio il diritto di ignorare il confine) diventa quindi una delle questioni più contestate, di carattere strettamente classista; mentre la capacità di sfidare il divieto di valicare un confine diviene una delle principali armi di dissenso e di resistenza contro la gerarchia di potere esistente. Queste pressioni sfociano in un evidente paradosso: nel nostro pianeta che si sta rapidamente globalizzando, la diminuzione dell’efficacia dei confini (la loro crescente porosità, associata al fatto che la distanza spaziale ha sempre minor valore difensivo) si accompagna alla rapida crescita di significato che si tende ad attribuire loro.
6. Lontani dall’attenzione e dalle pesanti interferenze dei governi, in una sorta di penombra mediatica, si moltiplicano confini di tipo differente, spontanei, senza demarcazioni. Sono la conseguenza della crescente urbanizzazione (due anni fa gli abitanti delle aree urbane hanno superato il 50 per cento della popolazione mondiale). I «confini spontanei», costituiti dal rifiuto di una commistione, anziché da cemento e filo spinato, svolgono una doppia funzione: oltre ad avere lo scopo di separare, hanno anche il ruolo/destino di essere delle interfacce, di promuovere quindi incontri, interazioni e scambi, e in definitiva una fusione di orizzonti cognitivi e pratiche quotidiane. a questo livello «micro sociale» che tradizioni, credi, culture e stili di vita differenti (che i confini amministrati dai governi a livello «macro sociale» cercano con alterne fortune di tenere separati) si incontrano e inevitabilmente ingaggiano un dialogo – pacifico o antagonistico, ma che porta sempre a stimolare la conoscenza e la familiarità reciproca, e potenzialmente la comprensione, il rispetto e la solidarietà.
7. Il difficile compito di creare le condizioni per una coabitazione, pacifica e vantaggiosa per tutti, di forme differenti di vita, viene scaricato su realtà locali (soprattutto urbane), che si trasformano, volenti o nolenti, in laboratori in cui si sperimentano, e alla fine si apprendono, i modi e i mezzi della coabitazione umana in un pianeta globalizzato. Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità.
Nella storia nulla è predeterminato; la storia è una traccia lasciata nel tempo da scelte umane molteplici e di diversa origine, quasi mai coordinate. troppo presto per prevedere quale delle due funzioni – tra loro interconnesse – dei confini prevarrà. Di una cosa però possiamo essere certi: noi (e i nostri figli) dormiremo nel letto che ci saremo collettivamente preparati: tracciando confini e trattando sulle norme che regolano il funzionamento delle frontiere. Che avvenga di proposito o casualmente... che ne siamo coscienti o no.