Roberto Petrini, la Repubblica 18/05/2009, 18 maggio 2009
Spiace dirlo, ma la figura peggiore in questa crisi che ha portato il mondo in recessione l´hanno fatta i gagliardi economisti del Fondo monetario internazionale
Spiace dirlo, ma la figura peggiore in questa crisi che ha portato il mondo in recessione l´hanno fatta i gagliardi economisti del Fondo monetario internazionale. Ciò che colpisce, per una istituzione che dovrebbe pulsare nel cuore delle banche centrali di mezzo mondo (i 170 membri del suo board sono nominati dai governi e dagli istituti di emissione), è la sottovalutazione delle perdite del sistema bancario e finanziario globale, che si unisce al flop delle previsioni sulla crescita del Pil. Anche in questo caso gli economisti di Washington, nonostante i loro Ph. D., hanno brancolato nel buio. Ancora nel settembre del 2007 il «buco» stimato dal Global financial stability report (Gfsr) per l´intero sistema finanziario internazionale era di soli 240 miliardi di dollari. Per capire l´atteggiamento dell´Fmi basta ripercorrere le pagine della prima rilevazione della crisi, cioè il Gfsr del settembre 2007. Ecco che cosa dice: «Gli intermediari finanziari attivi nel mercato dei mutui hanno effettivamente canali di esposizione complessi ma, secondo l´opinione dello staff dell´Fmi, le istituzioni più grandi - tra le banche sia commerciali sia d´investimento - sono sufficientemente capitalizzate, diversificate, per assorbire le perdite. Ci si attende che l´impatto negativo sia gestibile per il complesso del settore finanziario». Visto con gli occhi di oggi, si tratta di un ottimismo piuttosto imbarazzante. Il Titanic stava per affondare ma, sulla tolda della nave, le sentinelle dell´economia non scorgevano l´iceberg della crisi che si avvicinava minaccioso. Che cosa dovrebbero dire oggi i milioni di disoccupati e di risparmiatori lasciati sul lastrico? Un allarme tempestivo non avrebbe potuto mitigare gli effetti della crisi? Solo nell´aprile del 2008, sette mesi dopo, le perdite attese dall´Fmi per tutto il sistema si moltiplicano per quattro (totale: 945 miliardi di dollari) e finalmente, a ottobre, quasi raddoppiano, portandosi vicine alla realtà, a quota 1405 miliardi di dollari. Ma ormai è sotto gli occhi di tutti che il pianeta si trova di fronte a una crisi paragonabile a quella del 1929, cioè assai grave, che ha come epicentro il sistema creditizio mondiale, ovvero il cuore dell´economia. Tant´è che lo stesso Fondo, nel gennaio del 2009, ha aggiornato le perdite all´iperbolica cifra di 2200 miliardi di dollari. Non era difficile: si trattava soltanto di tirare le somme di addendi noti a tutti. Non si può fare a meno di ricordare un particolare curioso: a metà ottobre, quando il Fondo finalmente capisce la situazione, uno scandalo travolge il suo direttore generale, Dominique Strauss-Kahn, vecchio socialista francese, nominato da Sarkozy alla guida dell´istituzione internazionale e probabilmente piuttosto ingombrante: viene accusato di aver favorito la sua amante Piroska Nagy, moglie dell´economista argentino Mario Blejer. Nessuno saprà mai perché lo scandalo sessuale, successivamente tornato in sordina, sia scoppiato proprio in concomitanza con quello finanziario. Le interpretazioni più maliziose che girano a Washington tirano in ballo le responsabilità degli ambienti repubblicani: i conservatori infatti temevano l´eccesso di protagonismo da parte di Strauss-Kahn nella gestione della crisi e una sua svolta più incisiva a favore dei paesi in via di sviluppo. Se l´Fmi ha sbagliato, la Banca centrale europea non ha fatto di meglio. Qui le responsabilità sono diverse: l´istituzione di Francoforte, in questa fase presieduta dall´ex banchiere centrale francese Jean-Claude Trichet, vede per statuto l´inflazione come fumo negli occhi. Fatto sta che in piena crisi, il 9 luglio del 2008, la Bce invece di abbassare i tassi, li alza dal 4 al 4,25 per cento. Una mossa assai spericolata, giustificata con il seguente giudizio apparso sull´«eurobollettino» dell´estate 2008: «Sebbene gli ultimi dati confermino le attese di un rallentamento del Pil, le variabili economiche fondamentali dell´area dell´euro risultano solide». (...) Avverso al keynesismo e amico di Milton Friedman, come emerge dalle sue memorie, Alan Greenspan è un vero e proprio «mercatista», nemico delle regole. L´ex presidente della Fed nella sua biografia uscita nel 2007 racconta di essersi persuaso in tanti anni che non c´è niente da fare, anzi, la «regolamentazione per sua natura inibisce la libertà d´azione del mercato» e dunque «minando questa libertà si mette a repentaglio l´intero processo di bilanciamento del mercato». Anche degli hedge fund, fondi altamente speculativi, Greenspan ha una buona opinione. Regolarli? «Perché dovremmo inibire le api che vengono a impollinare Wall Street?» Anticipiamo un brano del libro di , Processo agli economisti. Ecco perché i guru del liberismo hanno fallito, in uscita per Chiarelettere (prefazione di Loretta Napoleoni). Sarà presentato il 30 maggio al Festival dell´Economia di Trento da Annamaria Testa e Giorgio Ruffolo