Note: [1] Mario Sconcerti, Corriere della Sera 23/5; [2] Gabriele Romagnoli, la Repubblica 23/5; [3] Alessandro Bocci, Corriere della Sera 23/5; [4] Luca Valdiserri, Corriere della Sera 23/5; [5] Paolo Condò, La Gazzetta dello Sport 12/12/2008; [6] Corrad, 12 dicembre 2008
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 25 MAGGIO 2009
Non capita spesso che arrivino in finale di Champions League le migliori due squadre di calcio del pianeta. Mario Sconcerti: «Ci sono stati tanti Monaco, Partizan, Valencia o Leverkusen. Stavolta è successo. Manchester United e Barcellona hanno i migliori giocatori del mondo». Mercoledì prossimo all’Olimpico di Roma, i campioni d’Inghilterra, d’Europa e intercontinentali affronteranno i campioni di Spagna. I britannici cercheranno di vincere per il secondo anno consecutivo il trofeo per club più importante che ci sia, impresa mai riuscita a nessuna squadra da quando nel 1992 la vecchia coppa Campioni cambiò nome e formato: il Milan di Capello nel 1995, l’Ajax di Van Gaal nel 1996 e la Juve di Lippi nel 1997 furono sconfitte da campioni in carica nella finale. [1]
Dire che il Barcellona, ultimo ostacolo sulla strada dei ”Red Devils” verso il bis, è una squadra di calcio, è come dire che la Nasa è un’agenzia di trasporti. Gabriele Romagnoli: «Il Barcellona è un modello di organizzazione. Di che cosa? Della vita. Poi potete aggiungerci un aggettivo a scelta: sociale, aziendale, politica. Sportiva, certo. Anche. una repubblica fondata sul sostegno (che è diverso dal tifo) e sull’impegno (che è più libero del dovere). Realizza un’utopia dove si richiede la partecipazione e, in cambio, si condivide la gioia. Questo Barcellona dovrebbe essere studiato come esempio: ha messo in campo una leadership autorevole ma morbida e un collettivo dove ognuno dà secondo i propri talenti e riceve secondo le proprie necessità tattiche. E sugli spalti ha diffuso qualcosa che nessun governo, religione o azienda ha mai distribuito, al di là di qualche iniziale promessa tradita poi da richiami allo stato di necessità, senso di colpa, etica sadomasochista: la felicità». [2]
Il Barcellona è una specie di democrazia allargata: 165 mila soci che ogni quattro anni eleggono il presidente. Alessandro Bocci: «Joan Laporta un anno fa è stato ad un passo dal baratro e ora è vicino al paradiso. Avvocato e imprenditore, Laporta nel 2010, quando terminerà il suo mandato, potrebbe decidere di candidarsi a sindaco della città antimadridista. Amato dai moderati, odiato dagli ultras dei Boixoas Nois Casuals e Chicos locos per aver cacciato cento di loro, i più feroci, dal Camp Nou, Laporta riunisce le due caratteristiche principali del catalano: la razionalità e la vena di follia che soltanto in apparenza non vanno d’accordo tra loro. Ma il Barcellona va oltre Laporta, che sarà ricordato per aver cancellato un debito di 180 milioni di euro e aver riportato la squadra sul tetto d’Europa». [3]
Se lo slogan del Barcellona è ”Mas que un club”, Manchester, più ricca che bella, ha nell’Old Trafford, lo stadio dello United, il monumento più noto della città. Luca Valdiserri: «Il Manchester United ha mantenuto una forte radice britannica (Giggs, Ferdinand, Rooney), al contrario delle altre grandi squadre inglesi, come Chelsea e Arsenal, ma non ha chiuso gli occhi al mondo. Il talento più prezioso è il portoghese Cristiano Ronaldo. In squadra ci sono un olandese (Van der Sar), un francese (Evra), due brasiliani (Rafael e Anderson), un serbo (Vidic), un coreano (Park), un bulgaro (Berbatov), un argentino (Tevez) e pure due giovanissimi italiani (Macheda e Petrucci), ”rubati” a Lazio e Roma». [4]
Multinazionale per quanto riguarda i giocatori, a fine anni Novanta il Manchester United respinse il tentativo di scalata di Rupert Murdoch. Valdiserri: «Nacque, allora, il gruppo di tifosi Imusa (Independent Manchester United Supporters’ Association) che invitò tutti i supporter a comperare azioni della società. Non bastò per impedire la scalata del magnate statunitense Malcolm Glazer, nel 2005, che poi ha effettuato il delisting dalla Borsa valori. I tifosi dell’altra squadra di Manchester, il City, sono convinti di essere i veri tenutari della storia e dell’identità cittadina. Non a caso, da quando è iniziata l’era-Glazer, accolgono gli avversari nei derby con il coro: Usa, Usa». [4]
Il Barcellona è invece una repubblica popolare. Romagnoli: «Si fonda sul suo popolo e al suo popolo attinge. Converrà spiegare a chi non ha mai sentito parlare di questa realtà. Il Barcellona ha un presidente, a cui non basta avere i soldi per diventarlo. Non può semplicemente comprarsi il potere staccando l’assegno più alto. Deve vincere un’elezione. Lo scelgono i soci del Barcellona, che se fosse un Paese sarebbe a libero ingresso, senza frontiere, respingimenti, discriminazioni. Vuoi entrarci? Paghi una quota e ci sei. Io l’ho fatto, mandando un bonifico da un Paese comunitario, e una settimana dopo ho ottenuto i diritti ”civili”: voto, biglietti scontati, prenotazioni con la priorità, posto preassegnato. Dove? Al Camp Nou. Che definire stadio è un’altra operazione riduttiva». [2]
Il Barcellona non prende dal popolo solo tributi. Romagnoli: «Sceglie i migliori giovani tra la sua gente e ne fa i propri campioni. In Italia si chiama vivaio ed è stato lasciato appassire. In Catalogna è la ”cantera” ed è un serbatoio di gioielli. Della formazione titolare sei undicesimi (la maggioranza assoluta) vengono da lì: il portiere Valdez, i difensori Puyol e Piqué, i centrocampisti Xavi e Iniesta e l’immigrato con tutti i diritti (anche quello di fare in campo quel che più gli piace) Messi». [2] Xavi Hernandez: «Il Barcellona ha trovato nel tempo una serie di allenatori capaci di dare fiducia ai giovani: quando si accorgevano che in squadra mancava qualcosa, Van Gaal, Rijkaard e adesso Guardiola hanno cercato innanzitutto nella ”cantera”. un trucco semplicissimo, stento a capire perché gli altri non ci arrivino». [5]
Tra i pochi che ci sono arrivati, c’è proprio il Manchester United. Fabio Capello, allenatore dell’Inghilterra già sulla panchina di Milan, Real Madrid, Roma e Juve: «Giovani di prima qualità vengono chiamati per un anno, un anno e mezzo, ad ambientarsi con la prima squadra e al momento giusto vengono mandati in campo. Dove sono decisivi». [6] A Manchester se vuoi vivere la bella vita puoi fare il calciatore o il musicista. Valdiserri: «Anche il grande Manchester United dei giorni nostri ha sempre mantenuto una forte identità cittadina. Gary e Phil Neville, Ryan Giggs, David Beckham: tutti prodotti del settore giovanile. Così come Morrissey e Johnny Marr, cantante e chitarrista degli Smiths; i plumbei Joy Division di Ian Curtis; Ian Brown e John Squire degli Stone Roses». [4]
Proprio un ex Stone Roses, Gary ”Mani” Mounfield, diventato deejay, sarà una delle attrazioni del grande happening organizzato da un imprenditore inglese in un campeggio a Tor di Quinto per radunare davanti a due maxischermi i tifosi dello United arrivati a Roma senza biglietto per la partita. L’avvenimento è stato chiamato ”Fergie Fields”, i campi di Fergie. [6] Fergie è il diminutivo di Alex Ferguson, l’allenatore scozzese dello United, diventato sir per meriti sportivi. Valdiserri: «Siede sulla panchina dei ”rossi” da 23 anni. arrivato a Manchester con il governo di Margaret Thatcher e ha visto passare John Major, Tony Blair e ora Gordon Brown. Ferguson ha passato la crisi economica e gli anni degli yuppies, l’ingresso (all’inglese) nell’Unione Europea e la globalizzazione». [4]
«C’è qualcuno seriamente disposto a confutare il fatto che Sir Alex Ferguson sia il migliore tecnico di tutti i tempi?», si è chiesto Alastair Campbell, ex portavoce di Tony Blair a Downing Street. [7] Il turco Fatih Terim, ex allenatore (tra l’altro) di Fiorentina e Milan: «Per 12 volte non ha vinto il campionato. Il primo poi è arrivato dopo 7 stagioni. In Italia o in Turchia l’avrebbero cacciato». [8] Enrico Ruggeri, cantautore e tifoso dell’Inter: «In Italia capita di mandar via un allenatore dopo la conquista di tre scudetti». [9] Alla fine l’ultima sfida della Champions League 2008/2009 più che nei piedi di Cristiano Ronaldo e Leo Messi sembra stare nella testa dei due allenatori, il vecchio Ferguson contro il giovane Guardiola. Davide Ballardini, allenatore del Palermo: «Gli allenatori non hanno età. Ferguson calcisticamente è giovane come Guardiola». [10]
Pep Guardiola, ex grande calciatore dello stesso Barcellona, è alla sua prima importante esperienza in panchina. Luca Toni, che giocò con lui nel Brescia: «Comoda iniziare ad allenare con la più forte squadra del mondo: è proprio partito dalla più scarsa, eh. Una gavetta durissima». [11] Diego Abatantuono, attore milanista: «Guardiola è un’eccezione. Spero che non lanci la moda degli allenatori per caso, quelli che non hanno fatto niente e si ritrovano alla guida di una grande squadra». [12]
Mettere le chiavi della squadra in mano a uno così che non aveva allenato mai se non, l’anno precedente, il Barcellona B? Romagnoli: «Dove sono l’esperienza, l’affidabilità, la capacità di trattare con lo spogliatoio? Dove tutte le ”doti” che in Italia pretenderebbero da un allenatore? E da un dirigente di qualsiasi organizzazione? Guardiola non ha mediato, non ha fatto il ”democristiano”, non è andato dai ”poteri forti” a chiedere investitura e protezione. Non ha detto a Ronaldinho: ”Parliamoci ogni settimana per capire la situazione”. Lo ha salutato. Forse con qualche mancanza di rispetto per quanto aveva dato, ma la regola era: si è qui per giocare, la gente paga la tessera per veder giocare, vuole ”alegria” negli occhi, non sulla maglietta». [2]
Guardiola, si dice, ha sorpreso solo chi non lo conosceva. Il camerunense Samuel Eto’o, partner di Messi e del francese Thierry Henry nel tridente che incanta gli appassionati di tutto il mondo (memorabile il 6-2 di qualche settimana fa in trasferta contro il Real Madrid): «Sento parlare di miracolo, e mi viene da ridere. Nei miracoli c’è una componente di fortuna, mentre in ciò che abbiamo fatto non c’è nulla di casuale: questo signore che si chiama Pep Guardiola lo ha cercato dal primo giorno». [13] Laporta: «Se oggi Guardiola è la chiave del nostro rilancio, devo dire grazie anche all’Italia, perché quando lui ha giocato nel Brescia ha imparato molto a livello tattico nel vostro campionato». [14] Carlo Mazzone, che si vanta di avergli insegnato il mestiere quando l’allenò a Brescia: «Guardiola sta facendo cose straordinarie. Al primo colpo ha vinto coppa del Re e Liga. E se conquista la Champions fa un vero record». Chiunque vinca mercoledì, ci sarà da celebrare un’impresa che resterà nella storia del calcio. [15]