Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  maggio 23 Sabato calendario

IL PIANO SORU PER ABBANDONARE L’UNITA’

Che Renato Soru voglia "disimpegnarsi" dall’Unità è cosa nota ormai da mesi. La sua volontà di liberarsi della testata rilevata esattamente un anno fa, ventilata già alla fine del 2008, è diventata ufficiale dopo la sconfitta di mister Tiscali alle regionali sarde.
La novità maturata nelle ultime quarantott’ore riguarda lo sfogo che Soru ha affidato a più d’un amico. «Per me la misura è colma. O arrivano nuovi capitali - è stato il ragionamento dell’ex governatore - oppure porterò i libri tribunale». Soru ha fissato una data, il 3 giugno prossimo. Tre giorni prima delle elezioni.
L’ «avvertimento» ha trasformato l’ennesimo sos di mister Tiscali in un vero e proprio ultimatum. Indirizzato al Pd. Stavolta non si tratta di voci di corridoio né di messaggi in bottiglia. La dead line del 3 giugno, posta come data ultima prima di dare il via libera alla procedura di fallimento, Renato Soru l’ha fatta mettere nero su bianco nel corso dell’ultimo consiglio d’amministrazione del giornale. Nell’ultimatum affidato a suocera (i membri del board del quotidiano fondato da Gramsci) affinché nuora (Franceschini) intendesse, Mister Tiscali e i suoi uomini hanno chiarito il senso della loro richiesta. Della serie, «servono almeno quattro milioni di euro per mettere in sicurezza il giornale e noi non possiamo più mettere mano al portafoglio». Per cui è necessario «individuare entro pochi giorni la cordata disposta a impegnarsi per la ricapitalizzazione». Altrimenti, è il sottotesto, il Pd rischia di rimanere impelagato nella matassa Unità a soli tre giorni dall’apertura delle urne. Un rischio tutt’altro che calcolato, finora, ai piani alti del fortino democrat. Una grana decisamente più problematica della sfida fratricida in corso per il controllo di Rai Tre, che ieri Franceschini ha negato (ai microfoni di Repubblica tv) derubricandola a «cretinata».
Messa così, la vicenda Unità assomiglia a una bomba con il timer già azionato. Con un’aggravante: il progetto di ristrutturazione del quotidiano - approvato recentemente anche dall’assemblea dei redattori - è «tarato» su un’asticella di vendite fissata a cinquantamila copie. Di conseguenza il «piano Soru» - che si basa su molti tagli alle spese e la cassa integrazione a rotazione tra i giornalisti - andrebbe rivisto nel caso in cui le vendite scendessero dalla soglia fissata. Da qui la domanda: cosa potrebbe succedere quando l’Unità sarà costretta a rinunciare alle firme che sono pronte ad trasferire armi e bagagli nella redazione del Fatto, diretto da Antonio Padellaro, che esordirà a settembre? Detto altrimenti: quanti lettori perderebbe l’Unità se il quotidiano fondato da Gramsci dovesse fare a meno - tanto per fare un esempio - della firma di Marco Travaglio? Domande a cui è difficile dare una risposta, almeno per ora. Come è difficile stabilire se - come sostengono più fonti autorevoli - il direttore Concita de Gregorio ha già in mano il biglietto di ritorno verso la sua scrivania di Repubblica.
A differenza dei mesi scorsi, stavolta il «caso Unità» ha fatto scattare l’allarme rosso anche nella stretta cerchia di Franceschini. Piero Fassino l’uomo a cui il leader del Pd ha affidato il compito (che conosce, tra l’altro molto bene) di sbrogliare l’intricata matassa. Una pista sui possibili nuovi soci porta a Marialina Marcucci, l’ex azionista di maggioranza, che sarebbe disposta a reinvestire sul quodiano di Gramsci i crediti ancora vanta da Renato Soru. Poi c’è una seconda pista, che lascia intravedere nell’ombra anche la manina di Walter Veltroni: quella che parte dal senatore democrat Raffaele Ranucci. Per anni punto d’incontro tra rutellismo d’antan e veltronismo, l’imprenditore romano starebbe lavorando ventre a terra per cercare imprenditori disposti a investire per salvare l’Unità.
Dietro l’attivismo di Ranucci, più d’uno intravede la scommessa che - per dirla con un autorevole fonte del Pd - «il tridente Franceschini-Veltroni-Fassino è disposto a giocare sul quotidiano in vista della battaglia congressuale d’autunno». Scommessa editoriale o base di un progetto politico? Chissà. Una cosa è certa: come garanzia di fronte alle banche, l’Unità ha bisogno del contributo pubblico del Pd. Lo stesso contributo cui Soru disse che avrebbe rinunciato, esattamente un anno fa, prensentandosi come il Salvatore.