Carlos Fuentes, la Repubblica 22/5/2009, 22 maggio 2009
LA GIORNATA DELLO SCRITTORE
"Nelle mie 7 ore di sonno approdo a quelli che se ne sono andati, i più cari, nonne, zii, genitori, figli. Non gli amici"
"La sera preparo tema, personaggi, linguaggi: ma la mattina compaiono in pagina fantasmi imprevisti"
C´è chi scrive per essere amato, come Dickens, Márquez; o odiato, come Céline o Houellebecq
L´autore vuol essere al tempo stesso un disturbo per il mondo e il creatore di un mondo possibile
Sono uno scrittore disciplinato. Ogni sera, prima di andare a dormire, preparo, come un alunno diligente, un foglio con i compiti per il giorno dopo. Tema, personaggi, linguaggio. Il tutto con rigore teutonico.
Mi addormento.
Mi sveglio presto. Mi lavo. Mi preparo la colazione. Silvia prepara il pranzo e la cena. Adesso dorme profondamente.
Infine, verso le 7.30, mi siedo a scrivere con il mio schema bene in vista. A mezzogiorno interrompo il lavoro conoscendo quello che ignoravo e ignorando quello che conoscevo. Le cose che ho scritto in quattro ore e mezzo hanno poco o niente a che vedere con la mia razionale lista della spesa della sera prima.
comparso qualcosa di diverso. Una novità improbabile, una sorpresa oscura, un piacere del già scritto paragonabile solo alla delusione del non-scritto.
Che cosa è accaduto in quelle ore di sonno?
Al di là di ogni razionalizzazione freudiana - il sogno distorce, rimuove, simbolizza - posso accettare che in sogno compaiano i morti che abbiamo amato a dirci in segreto quello che non hanno potuto dirci a viva voce. Se è così, vuol dire che nell´atto di sognare non compaiono solo i fantasmi della creazione, ma anche i suoi destinatari, il suo pubblico primo e primario: gli esseri amati.
Sognare è creare perché durante il sonno, che è metà dell´esistenza, si danno appuntamento la gestazione della vita e l´annuncio della morte. Portale privilegiato in cui si stringono la mano i due estremi dell´origine e della fine, come può l´onirico non alterare la discrezione del razionale, introducendovi la propria indiscrezione?
Arrivare a un compromesso che non comprometta il sogno ma che non sacrifichi neppure la ragione apre la porta - una doppia porta, difficile da custodire - fra ciò che rubo al sonno e ciò che do alla veglia, perché anche se credo, illudendomi, di controllare la porta del mattino, non sono sicuro di sapere se sto aprendo o chiudendo la porta della notte.
Una cosa è certa: non si tratta di un processo ostile, né verso di me né verso gli altri. Ed è pericoloso, questo sì, ma solo per me. Se ieri sera sapevo quello che avrei scritto oggi, come scriverò adesso quello che prima ignoravo?
Credo che la risposta vada ricercata nell´annosa questione del destinatario della scrittura. Sospetto degli scrittori che, fin dal primo momento, proclamano di scrivere per la gente. E detesto gli scrittori che conoscono la ricetta preconfezionata del successo di vendite. Invece mi sento attratto - come da un abisso, è vero - dall´avventura di un mistero iniziale (per chi scrivo?) o dall´onanismo di una giustificazione solitaria (scrivo solo per me), per approdare, nelle mie sette ore di sonno che sono l´altra metà della vita, alla rivelazione dei destinatari concreti: i più vicini, i più cari, quelli che se ne sono andati seguendo la legge del fiume profondo, ad aspettarci in un tempo senza lancette.
Una nonna del nord del Messico, discendente dagli indios Yaquis, coraggiosa e arguta, piccola e scura, figlia del direttore della Zecca di Sonora, originario di Santander, che le permetteva, da bambina, di scivolare dalla cima di una montagna di monete d´oro. Madre di quattro donne, una di loro era mia madre, vedova prematura di un nonno alto, bello e pallido la cui vita terminò, solitaria e pietosa, in un lazzaretto, costringendo mia nonna a cercare lavoro nella campagna di alfabetizzazione del ministro José Vasconcelos e una volta in pensione, controvoglia, a regalare a noi nipoti i suoi aneddoti fantastici e ai generi il manuale delle buone maniere. (...)
Devo dire grazie a mio padre, e al suo amore per un fratello scomparso, se mi sono avvicinato alla letteratura. Lo zio defunto si chiamava Carlos come me e fu più che una promessa, un brillante e giovane poeta veracruzano, discepolo preferito del poeta Salvador Díaz Mirón. Un ragazzo alto, biondo, serio, che nel 1919, a ventun´anni, fu mandato a studiare a Città del Messico e lì morì di tifo in un paese rivoluzionario e rivoluzionato dove le epidemie della povertà e dell´incuria uccidevano più dei proiettili.
La sua morte intristì per sempre la mia nonna paterna, come la morte del marito fece con la mia nonna materna: le ho sempre viste tutte vestite di nero e così, a lutto, compaiono nei miei sogni, ripetendo storie tanto vecchie che ormai sono diventate nuove.
Anche i miei figli entrano nei miei sogni, seppure in modo diverso. Cecilia, la maggiore, è viva e mi aiuta nel lavoro. Natasha, la minore, è morta a 29 anni di una vita impaziente, assetata di conoscenza, frettolosa e mandata giù d´un sorso, inquieta e ribelle verso le mancanze delle persone e l´ingiustizia del mondo.
Mio figlio Carlos sperimentò invece l´armonia della vita e la sua vocazione di poeta, cineasta e pittore, accelerando la sua creatività naturale - creò fin dall´infanzia - quando seppe, fin dall´infanzia, di essere mortale, emofiliaco dalla nascita ed esposto, indifeso, a tutti i mali del tempo.
La mia vita è un libro che si regge in piedi grazie a quei due book-end che la sostengono e le danno un senso di origine e fine: Boettiger, mio zio poeta e Carlos Fuentes Lemus, mio figlio poeta, forse i protagonisti più assidui dei miei sogni, al punto che quando mi sveglio e mi metto a scrivere, non so più se quello che scrivo appartenga a me o me lo dettino loro, i miei omonimi dalle vite troncate (...)
Antenati, morti giovani e vecchi. raro che gli amici appaiano nei sogni. La loro attualità è troppo forte, troppo discreta, per interferire nelle mie notti. Ogni amico è come un Virgilio che mi accompagna alla luce del giorno, a quel perpetuo mattino che è l´amicizia e che si manifesta - ciao, come va, buongiorno, che piacere, che enorme piacere, che miracolo - nella parola non solo esclamata ma semplicemente detta, visto che nell´amicizia scopro che la parola benedetta non è la benedetta parola e nemmeno la disdetta della parola, ma la parola detta.
Byron descrisse l´amicizia come un amore senza ali. Io cerco di restituire le ali all´amicizia che, secondo Dickens, è un uccello che non deve perdere una sola penna, neppure quella con cui scrivo. Sono uno scrittore pre-moderno che non utilizza macchine, ma penna, inchiostro e carta da tenere con sé per averle sempre a portata di mano in aereo, in spiaggia e in hotel. Ha bisogno di altro la parola?
Quel che è certo è che adesso è mattina, fra le sette e mezzo e mezzogiorno, le ore della parola scritta. Quel che è certo è che nella scrittura e nella vita viviamo in un costante scambio di parole. Sappiamo che il mondo ci dà parole e che scrivendo le restituiamo al mondo. Ma la parola scritta non è più la stessa parola data dal mondo: è stata trasformata dal linguaggio, che è di tutti, per dire qualcosa che prima non era di nessuno. (...)
C´è chi scrive per essere amato: Dickens, García Márquez.
C´è chi scrive per essere odiato: Céline, Houellebecq.
C´è che scrive per essere gustato: Saramago, Nélida Piñon, artefici della lingua più gostosa, la lusitana.
C´è che scrive per in-vertire: Balzac, Galdós, Dos Passos.
C´è che scrive per sov-vertire: D.H. Lawrence, Juan Goytisolo, Jean Genet.
C´è che scrive per di-vertire: Sterne, Saki, Diderot.
C´è che scrive per con-vertire: Mauriac, Bernanos, Graham Greene.
C´è che scrive per av-vertire: Swift, Voltaire, Orwell.
Temuto, amato, odiato, lo scrittore nasconde il segreto desiderio di essere, al tempo stesso, un disturbo per il mondo che è, e un creatore del mondo che può essere.
Il fine ultimo è, in ogni caso, il lettore e lo scopo dell´autore è avere un effetto sulla vita affettiva del lettore, tendere fra sé e il lettore un ponte per l´intimità anche a costo dell´intimidazione, rinnovare nella lettura lo spirito del lettore e l´esistenza del libro.
Perché sappiamo che il lettore, protagonista del post-meridiano, conosce il futuro. Lo scrittore, no. Inoltre, perché lo scrittore consegni un libro al lettore, deve scrivere una letteratura che crei lettori, non una letteratura che conti lettori.