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 2009  maggio 22 Venerdì calendario

BICICLETTA PER VOCE ARANCIO

Sabato 9 maggio da Venezia partirà il Giro d’Italia. Questa edizione è detta ”del Centenario”, perché il primo Giro si corse nel 1909. Non è tuttavia il Giro numero cento, dato che non si è svolto megli anni delle guerre (tra il 1915 e il 1918 e tra il 1941 e il 1945). Le tappe sono 21, l’arrivo sarà a Roma il 31 maggio. Il punto più alto sarà raggiunto alla diciassettesima tappa, il 27 maggio, in una frazione tutta abruzzese che parte da Chieti e arriva in cima al Block Haus, a 2.064 metri d’altezza. La frazione più lunga alla decima tappa: Cuneo-Pinerolo, 262 chilometri.

Nel 1863 in Francia la prima corsa su strada su lunga distanza: Parigi-Rouen, 126 chilometri, 1.000 franchi in palio. Si iscrivono 323 corridori, tra cui molte donne. Il primo è James Moore, che taglia il traguardo dopo 10 ore e 34 minuti. L’unica donna rimasta in gara impiega 23 ore e 20 minuti per arrivare a destinazione. In Italia la prima gara si svolse a Padova in due giornate, il 25 e 26 luglio del 1869, sulla distanza di due chilometri. Il primo premio: un orologio d’oro.

Quante bici ha una squadra che partecipa al Giro d’Italia? Risponde Davide Cassani, ex ciclista e ora commentatore Rai: «Una squadra al Giro d’Italia è composta da 9 corridori. Ogni ciclista ha in media tre bici, i capitani possono arrivare anche a quattro». Quanto costano queste bici? «Una bici da corsa professionale costa dai seimila ai novemila euro». Che fine fa dopo la gara? «Non viene buttata via. Certo, dipende dallo stato della bicicletta, ma può essere usata anche nelle corse successive. I componenti devono naturalmente essere sostituiti, ma il telaio può durare fino a 4-5 mesi». I ciclisti se le tengono? «Non direi che i ciclisti si affezionino sempre alle bici. Magari si tengono quella con cui si è vinto qualcosa d’importante. Certe volte la bici dell’impresa viene recuperata da qualche meccanico, o dai parenti. Poi ci sono casi limite: il tedesco Erik Zabel le conserva tutte, potrebbe farci un museo». Lei ha tenuto qualche bici da corsa? «No. Sto cercando di riprenderne una che ha un mio amico. Ci terrei, perché con quella sono arrivato settimo in un campionato mondiale» (in Belgio nel 1988, ndr).

Alessandro Ballan tiene dentro una teca in salotto la bicicletta con cui vinse il campionato del mondo a Varese, nel 2008.

Dal 22 aprile ci sono gli incentivi statali anche per l’acquisto di biciclette. Si tratta di un fondo di 8.750.000 euro da erogare nel 2009 ai cittadini che decidano di comprare una nuova bici, senza obbligo di rottamazione. valido anche per le bici elettriche (le cosidette «a pedalata assistita»). L’incentivo permette di avere uno sconto del 30% sul prezzo, fino a un massimo di 700 euro.

In Italia nel 2007 sono state prodotte 2.520.000 biciclette. Di queste, 1.357.991 sono state esportate. Ne sono state importate 827.080. Totale di bici disponibili sul mercato interno: 1.989.089. Il picco massimo di produzione di biciclette in Italia si è avuto nel 1994: 5.800.000 (dati Ancma, Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori).

Il giro d’affari legato all’export di bici nel primo semestre 2008 è stato di 70.221.607 euro. Nello stesso periodo si sono esportate parti di bici (pedali, telai, manubri, cerchioni ecc.) per 213.551.265 euro (dati Ancma).

Delle biciclette prodotte nel 2007, il 51% era di modelli per ragazzo, il 25% di mountain bike, il 20% di bici da città, il 4% di bici da corsa. (dati Ancma).

Royal Dutch Gazelle, la più famosa fabbrica olandese: 350 mila bici l’anno, fatturato di oltre 12 milioni di euro.

Ernesto Colnago, classe 1932, produttore di bici, parla con le sue creazioni (le chiama ”le ragazze”). Una volta gli era capitata una bicicletta che non «andava d’accordo» con Eddy Merckx. Allora lui l’accarezzò prima di ammonirla: «Ti avverto, pischella, come ti ho creata ti distruggo! Prova ancora a far arrabbiare Merckx e ti strappo i freni e me li mangio».

Legambiente dice che in Italia si usa la bici per il 3,8% degli spostamenti urbani. In Francia la percentuale è del 3%, nel Regno Unito del 2%. Quelli che usano di più la bicicletta sono: olandesi (nel 27% degli spostamenti), danesi (18%), svedesi (12,6%), belgi e tedeschi (10%), svizzeri (9%), finlandesi (7,4%), irlandesi (5,5%). Comunque tra le varie città italiane ci sono fortissime differenze: Milano segna un 6,6% di spostamenti in bici, Torino e Firenze il 6%, Roma lo 0,5%, contro il 28% di Ferrara, il 25% di Parma o il 24% di Bolzano.

Il comune di Giakarta, venti milioni di abitanti, ha obbligato tutti i dipendenti pubblici a recarsi al lavoro in bici per contrastare l’inquinamento.

Il sindaco di New York, Michael Bloomberg, ha promesso agli abitanti della città tremila chilometri di piste ciclabili entro venti anni. Non tutte le piste avranno lo stesso aspetto: alcune saranno segnalate da asfalto di colore verde, altre saranno delimitate da un cordolo o da barriere in cemento. In un anno a New York il numero dei ciclisti è aumentato del 35%.

Non tutti i newyorkesi sono entusiasti della diffusione delle piste ciclabili. Nei quartieri dove le strade sono più strette, gli automobilisti segnalano un aumento di ingorghi, mentre gli autisti di autobus e camion dicono di non riuscire più a fare manovre con agilità. Nel quartiere di Williamsburg, a Brooklyn, lamentele degli ebrei ortodossi chassidici per via delle cicliste troppo scollacciate.

«Mi piaceva tanto ridere forte! Prendevo una bicicletta in prestito e volavo via. Cominciavo a ridere al vento, correndo come un fulmine e ridendo, ridendo! Adoravo il vento. Sembrava che mi accarezzasse» (Marilyn Monroe).

Secondo Legambiente le piste ciclabili in Italia tra il 2000 e il 2007 sono passate da circa 1.000 chilometri a oltre 2.400.

L’Olanda ha 22 mila chilometri di piste ciclabili, New York 270 chilometri. A Roma sono 45, spesso in periferia, infestati da immondizia, buche e vegetazione.

In Italia si pedala in media per 400 metri al giorno, contro il 2,6 chilometri quotidiani dei danesi e i 2,3 degli olandesi.

Quanti ciclisti ci sono in Italia? I tesserati nelle varie federazioni sportive sono circa 170 mila. Sugli amatori e su quelli che prendono la bici per girare in città non ci sono dati precisi. Si segnala comunque un costante aumento, soprattutto nel turismo: per esempio sono nate diverse catene alberghiere che offrono servizi personalizzati per ciclisti, informazioni sui percorsi e sugli itinerari della zona, convenzioni con negozi specializzati, menu appositi, centri benessere e palestre. Secondo le stime di Italy Bike Hotels il turismo in bicicletta nelgi ultimi cinque anni in Italia è cresciuto del 10%. L’Italia è diventato il terzo paese europeo più percorso da turisti ciclisti, dopo Austria e Francia.

Quali sono i modelli più venduti? Risponde Simone Carbutti, erede dei fratelli Romolo e Remo Lazzaretti, che a Roma durante la Prima guerra mondiale aprirono il negozio-officina di bici che ancora oggi è punto di riferimento tra gli appassionati di ciclismo. «I clienti che vengono qui chiedono soprattutto le city bike che fabbrichiamo noi». Vi fanno richieste strane? «No, sulle city bike al massimo possono chiedere di montare delle borse particolari, ma niente di eccessivamente vezzoso. La personalizzazione più spinta è per le mountain bike o per quelle da corsa». Che cosa chiedono? «Da un colore particolare fino al telaio fatto su misura». E come si fa un telaio su misura? «Abbiamo un centro di biomeccanica che prende tutte le misure antropometriche e poi si costruisce un telaio apposito». Quanto costa un telaio personalizzato? «Tra 1.400 e 3.000 euro». Per la città che altro offrite? «Le bici elettriche, che hanno sempre un buon mercato, anche grazie agli incentivi. E poi le pieghevoli». Pieghevoli? «Sì. Prima si compravano per tenerle sulle barche, dove occupavano poco spazio. Ma adesso vanno bene anche uso ”casa-lavoro”: si piegano e si mettono tra le gambe in autobus o accanto alla scrivania».

La bici più costosa del mondo, in edizione limitata, placcata in oro 24 carati e incrostata da 600 cristalli Swarovski. Altri dettagli: sellino Brooks in pelle, rifiniture in cuoio, uno scudetto con foglia d’oro davanti al manubrio. In dieci esemplari, ognuno dei quali costa 80.000 euro. Pù economica la versione senza Swarovski: 20.000 euro l’una (solo 50 esemplari).

Giovanni XXIII chiese a Bartali d’insegnargli ad andare in bici: «Voleva perdere qualche chilo pedalando su e giù per i viali vaticani».

Terence Hill coi primi soldi guadagnati recitando (a dodici anni, nel ruolo di un giovane capobanda in Vacanze con il gangster diretto da Dino Risi) comprò una bici. Costo: 12 mila lire.

Gugliemo Marconi regalò alla fidanzata Beatrice O’Brien una bicicletta. Su consiglio della futura suocera ci aggiunse anche un diadema di brillanti brasiliani.

Gino Bartali ebbe la prima bicicletta «a sedici anni e un giorno»: «Me la regalò mio padre per risparmiare i trenta centesimi del tram». La sua prima vittoria, nel luglio 1931 sul percorso Nave di Rovezzano-Pontassieve e ritorno, su una bici di fortuna montata alla meglio con il telaio, le ruote, il manubrio presi a prestito da amici.

Il ciclista Paolo Bettini ebbe in regalo la prima bicicletta dal padre Giuliano che l’aveva trovata nella spazzatura. Si mise subito a far gare, vincendole. L’unica che lo batteva era una bambina che aveva la sua stessa età: Fabiana Luperini, poi vincitrice di tre Tour e cinque Giri d’Italia.

Alfonsina Strada, nel 1905, all’età di 14 anni ricevette una bicicletta come regalo di nozze: fu la prima donna al Giro d’Italia, nel 1924. Alla prima tappa, Milano-Genova, arrivò con due ore e mezza di ritardo (una quindicina di concorrenti maschi fecero peggio di lei); il distacco restò sempre attorno alle due ore, fino alla tappa tra L’Aquila e Perugia, 296 chilometri, quando toccò il traguardo fuori tempo massimo, 4 ore dopo il piemontese Giuseppe Enrici, poi vincitore del Giro. Messa fuori gara, continuò ugualmente a correre: nell’ultima tappa, la Verona-Milano, arrivò a mezz’ora dai primi ma al Velodromo Sempione ricevette un’ovazione interminabile.

La passeggiata in bicicletta di George W. Bush, allora presidente Usa, in Scozia nel 2005. Nel salutare un gruppo di poliziotti di guardia a un incrocio, tolse le mani dal manubrio e volò su uno di loro prima di finire a terra. Il poliziotto ferito ne ebbe una lesione ai legamenti dell’anca (sul referto scrissero che era stato colpito da un «oggetto movente/cadente»).

Nel foglio 133v del Codice Atlantico di Leonardo (circa 1490) si trova lo schizzo di un veicolo molto simile alla bicicletta.

Nel 1791 il conte francese Mede De Sivrac presentò nei giardini del Palais Royal di Parigi una sua invenzione: due ruote da carrozza unite da un travetto di legno. Ci si sedeva sul travetto e, dandosi la spinta coi piedi (come per il monopattino), ci si spostava. L’invenzione, prima chiamata cheval de bois (cavallo di legno), poi celerifero o anche velocifero, era faticoso da spingere e ingovernabile, perché non aveva sterzo.

Nel 1816 il barone Karl Von Drais inserì sul velocifero uno sterzo e un ”appoggia-pancia” per aiutare la spinta dei piedi. Nacque così la draisina. In Inghilterra la chiamarono hobby horse e la fecero tutta di ferro, con sellino in pelle, contachilometri sul manubrio, parafango sulla ruota posteriore e un riposagomiti. La versione per donna aveva il telaio abbassato.

Bando della Direzione Generale di Polizia di Milano, datato 8 settembre 1819: «Avendo dimostrato che il correre dei così detti velocipedi può riuscire pericoloso ai passeggeri, la Direzione Generale ordina: è proibito di girare nottetempo sui velocipedi per le contrade e per le piazze interne della città. tollerato, però, il corso dei medesimi sui bastioni e nelle piazze lontane dall’abitato. I contravventori saranno puniti con la confisca della macchina».

Nel 1861 il giovane francese Ernest Michaux, che lavorava nell’officina meccanica del padre, montò i primi pedali alla ruota anteriore di una draisina. Enorme successo tra i nobili parigini. Michaux inventò anche il primo freno: una paletta di ferro che, tirata da una cordicella, rallentava lo slancio della ruota poteriore. Nel 1865 il laboratorio Michaux produceva 400 velocipedi all’anno, nel 1869 era arrivato a 200 al giorno Tra gli acquirenti della draisina di Michaux anche il figlio di Napoleone III.

La draisina a pedali, chiamata anche ”boneshaker” (scuotiossa) perché le ruote erano di legno e sulle strade provocavano fastidiose vibrazioni al guidatore.

Per rendere più rapido il velocipede, si aumentarono le dimensioni della ruota anteriore in modo da coprire una distanza maggiore ad ogni giro di pedali. Era fatto così il biciclo, la cui ruota anteriore aveva un diametro compreso tra 90e 150 centimetri. Andavano a 12 chilometri l’ora al massimo, erano ingombranti e difficili da guidare: nacquero le prime scuole guida.

Il primo ad applicare la catena ad un veicolo a due ruote fu nel 1868 l’orologiaio parigino A. Guilmet. Fece costruire dal meccanico tedesco Meyer un velocipede, che prese il nome di bicicletto, con trasmissione a catena sulla ruota posteriore, forse ispirandosi a certi ingranaggi degli orologi.

Nel 1888 Lo scozzese G.J. Boyd Dunlop, veterinario di professione, per eliminare i contraccolpi delle ruote del triciclo regalato al figlio inchiodò alle ruote dei tubi di gomma gonfiati a pressione minima con una siringa di vetro. Nacque così il primo pneumatico. Dunlop propose a una squadra di ciclisti inglesi di montare le sue gomme in una gara. Vinsero e il nuovo pneumatico si diffuse in tutta Europa.

Nel 1889 l’irlandese William Hume presentò a Londra un modello con il nome di ”Bicyclette Humatic”, il primo a montare gomme pneumatiche. Da quel momento tutte le principali case produttrici che ottennero l’esclusiva di cerchiare le ruote con i pneumatici Dunlop lanciarono i loro modelli con il nome di ”Biciclette” (bicicletta in italiano).

Mario Labadessa cura il sito bicidepoca.com e fa anche consulenze per il restauro e la conservazione di biciclette. Che giro d’affari ha il mercato dei pezzi storici? « impossibile rispondere. Io posso solo dire che il mio sito ha dodicimila visitatori al mese e una community in crescita». Quanto vale una bici antica? «Ovviamente dipende dalla marca, dal modello e dallo stato di conservazione». Qualche esempio? «Un biciclo del 1870, in buono stato, può valere anche 5-6.000 euro. E consideri che di bicicli ne furono fabbricati parecchi. Oppure una Bianchi da passeggio ”tipo Impero” ben conservata, con tutti i pezzi originali, vale anche 1.400 euro». E quelle dei campioni? «Anche lì è difficile da dire. La Bianchi con cui Coppi vinse la Parigi-Roubaix nel 1950 direi intorno ai 2.000 euro». Chi vuole avvicinarsi al mercato delle bici d’epoca cosa deve assolutamente sapere? «Che la differenza spesso la fa il restauro. Se è conservativo, cioè cura la bici d’epoca lasciando i pezzi originali, la vernice ecc., è meglio e la bici vale di più. Invece alcuni ridipingono, cambiano i pezzi e tolgono l’usura. In questi casi la bici d’epoca perde il suo valore». Lei colleziona? «Sì. Facevo il bancario, ma la bicicletta è la mia passione da sempre». Pezzo più pregiato? «Un velocifero. Può valere anche 25.000 euro».

Un collezionista è Sergio Sanvido, classe 1928, ex riparatore, restauratore e commerciante di biciclette. Dal 1946 al 1949 anche ciclista in competizioni sportive. Ha cominciato a raccogliere biciclette più di venti anni fa, poi le ha donate al comune di Cesiomaggiore, in provincia di Belluno. nato così il Museo storico della bicicletta. Signor Sanvido, quante biciclette ci sono nel museo? «Circa 180». L’ultimo acquisto? «Una del 1791». Ci sono pezzi dei campioni? «E certo. Bartali, Pantani, Coppi…». Costano tanto? «Le bici dei campioni valgono di più, è naturale». Quanto valgono le bici del suo museo? «Dai 1.500 euro a più di 20.000».

A sessantasette anni lo scrittore russo Lev Tolstoj imparò ad andare in bicicletta. Fino a ottant’anni fu visto curvo sul manubrio, a girovagare per la campagna russa.

«La bicicletta è una linea retta con l’infanzia» (Didier Tronchet, Piccolo trattato di ciclosofia, Pratiche Editrice).