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 2009  maggio 16 Sabato calendario

Plus (Il Sole 24 Ore) del 28 marzo 2009 (...) In precedenti interventi su «Plus24» mi sono pronunciato nettamente a favore della Borsa e alcuni amici, in privato, mi hanno chiesto spiegazioni

Plus (Il Sole 24 Ore) del 28 marzo 2009 (...) In precedenti interventi su «Plus24» mi sono pronunciato nettamente a favore della Borsa e alcuni amici, in privato, mi hanno chiesto spiegazioni. Premesso che sono un funzionario pubblico e che lo studio della finanza è finalizzato alla gestione dei miei investimenti personali, vorrei ribadire la mia opinione: 1 una corretta analisi di lungo termine non può perdere di vista l’inflazione; l’erosione monetaria nel corso del ventesimo secolo ha avuto un effetto devastante sulle obbligazioni ben superiore a quello sulle azioni (oltre ai pregevoli studi citati da «Plus24» si vedano, per il mercato italiano, le ricerche di Mediobanca); 2 bisogna sempre considerare indici azionari «total return»: il 28 febbraio scorso l’indice Comit globale ha chiuso a 782, come nel giugno del 1997, ma il Comit performance, che tiene conto dei dividendi reinvestiti, ha reso il 40% in più (una differenza non certo trascurabile); 3 i dati storici sono incontrovertibili: nei principali Paesi sviluppati il premio per il rischio azionario è un «fenomeno verificato empiricamente», da quando esistono rilevazioni statistiche; 4 quello che è accaduto nel passato, pur con lunga regolarità, non può garantire identica ripetizione nel futuro: nessuna analisi storica, nessun modello econometrico, nessun "guru" della finanza può assicurarci che un qualche "cigno nero" non sia lì dietro l’angolo, a sconvolgere le nostre previsioni, basate sovente su banali interpolazioni dei dati storici; 5 se si osservano i grafici di Borsa, il fatto che salta all’occhio, anche al profano, è la grande profondità dei cicli di mercato (e quindi l’intrinseca debolezza di una strategia "buy and hold"): dal 1997, 100 lire investite nella Borsa italiana, sono diventate quasi 300 nel 2000, ritornate a 150 nel 2003, ancora 350 nel 2007, 140 ieri. Decisamente il "punto di ingresso" dell’investimento azionario sembra importante (e quindi la superiorità di strategie basate sull’analisi tecnica o, comunque "graduali", come i Pac). Per concludere, non ritengo ci siano facili ricette per investire e che una asset class sia intrinsecamente migliore o peggiore delle altre; penso, invece, che concorrano diversi "fattori critici": un modello che tenga conto della ciclicità dei mercati; una gestione dinamica (ma non esasperata, pena il dilapidare in commissioni delle plusvalenze); il monitoraggio almeno trimestrale, meglio mensile, delle posizioni; l’utilizzo di tutta la gamma di strumenti che il mercato offre, in particolare i bond reali, certificate, Etf (compresi quelli "short") e future sugli indici. Massimo Repetto - (via e-mail) ------------- Risponde Marco Liera Lei mostra di possedere un’ottima preparazione sugli investimenti sui mercati finanziari, perchè ha approfondito notevolmente la dinamica delle varie asset class (azionario, obbligazionario e così via) nella storia. E’ ciò che serve per investire correttamente i propri risparmi: sapere ciò che è successo nell’ultimo secolo dei mercati, non quello che è accaduto l’ultimo mese o l’ultima settimana. Non solo: bisogna essere consapevoli, e lei si dimostra tale, che in futuro le varie asset class potrebbero registrare variazioni mai verificatesi in passato, che sfuggono a qualsiasi serie storica. I famosi "cigni neri" per intendersi. Pertanto, occorre dotarsi di molto realismo e cautela anche nell’avvicinarsi ad affermazioni del tipo «le azioni battono i titoli di Stato nel lungo periodo». Qualsiasi semplificazione in finanza è molto pericolosa. I mercati sono realtà assai complesse, in cui ogni giorno milioni e milioni di operatori e investitori operano con le loro aspettative, le loro speranze, le loro paure, le loro emozioni. E informazioni spesso non omogenee. facile comprendere come una preparazione come la sua sia frutto di anni e anni di studi, passione e dedizione all’argomento, e probabilmente anche di errori (che sono indispensabili nell’apprendimento). Credo che la maggior parte delle figure professionali che assistono i risparmiatori nelle loro scelte di investimento non possiedano una preparazione come la sua. Ecco spiegato perchè, al di là dei conflitti di interesse, i loro clienti subiscano delle perdite inattese: semplicemente perchè nessuno gliele aveva preventivate nella gamma di eventi possibile. Ci sono venditori che hanno collocato polizze e fondi azionari dietro la superficiale verifica di un orizzonte temporale di tre, forse cinque anni. E invece è arrivato il "cigno nero", una perdita del 56,3% nel giro di 20 mesi, come misurata dall’indice Msci World in valuta locale dal massimo del 13 luglio 2007 al minimo del 9 marzo scorso. illusorio attendersi che qualcuno preveda con precisione catastrofi dei questo tipo, ma è tassativo che il risparmiatore che investe in attività rischiose debba includere anche questi scenari nelle sue aspettative: o con una preparazione ad hoc, o perchè gliel’ha spiegato il professionista che lo assiste. Ovviamente, prima della scelta dell’investimento. Sul tema delle previsioni lei mi sembra avere una buona flessibilità, che però non deve sconfinare in ulteriori, pericolose illusioni: lei giustamente tesse le lodi del lungo periodo e dell’importanza del reinvestimento dei dividendi nella massimizzazione dei risultato di un investimento azionario (a proposito: l’indice Comit Performance + R, che include e reinveste le cedole, ha dato in 36 anni due mesi e 20 giorni il 200% in più dell’indice Comit Globale). Poi però enfatizza l’importanza del timing e dei cicli di Borsa. Parole sacrosante. Se non fosse che indovinare ex-ante le inversioni è materia scivolosissima. Allo scopo,non so a quali «strategie di analisi tecnica» lei si affidi. E ignoro anche quali metodi lei utilizzi per cercare di capire qual è il momento giusto per acquistare Etf short. Che, detto con franchezza, possono anche non rientrare nell’armamentario dell’investitore evoluto. ************************ Plus (Il Sole 24 Ore) del 16 maggio 2009 Volete evitare i «cigni neri»? «Mettete tutto in BoT e CcT» Nella «Posta del risparmiatore» di Plus24 del 28 marzo 2009 un lettore, che ha imparato bene la finanza, tiene saggiamente conto dei "cigni neri". Però trascura un fattore tutt’altro che volatile: la psicologia. E se si introduce questo fattore, che è una componente costante umana, tutte le considerazioni fatte mutano radicalmente.La psicologia dell’investitore medio-normale è ben diversamente influenzata dall’andamento dei mercati azionari rispetto a quelli obbligazionari, e i risultati ne risentono pesantemente. Ma anche gli altri argomenti addotti in favore delle azioni sono discutibili: l’inflazione intacca tanto i rendimenti azionari quanto quelli obbligazionari. Perché le azioni diano risultati migliori occorre che giochino a loro favore altri elementi; una resa del 40% in circa 12 anni (1997-2009) è stata certamente data anche da comuni e tranquilli titoli di Stato. E poi, chi ha investito una sola volta in 12 anni? E perché nel 1997 e non, per esempio, nel 1999? Già questa differenza di date cambierebbe completamente il quadro a sfavore delle azioni. Nella realtà tutti si trovano delle somme disponibili periodicamente e investono a più riprese. Ho simulato investimenti di cifre costanti ogni anno ai livelli medi dell’indice di ogni anno dal 1997 al 2008: la media di carico sarebbe di circa il 70% più alta dei livelli del 1997. i dati storici sono fortemente influenzati dai periodi cui si riferiscono e comunque le differenze tra azioni e obbligazioni su periodi molto lunghi non sono tali da giustificare i rischi, lo stress e tutte le altre rigidità dell’investimento azionario (che succede se "bisogna" vendere?); lo stesso lettore al punto 4) mostra di avvedersi della volatilità dei dati storici. Se ai "cigni neri" si sostituisce il fattore psicologico si ha una grave costante negativa, invece che una probabilità negativa; sulla strategia "buy and hold" un certo Warren Buffett la pensa in modo opposto. Quanto all’analisi tecnica, avete già espresso i vostri dubbi. Vorrei aggiungere che ho sempre sentito gli analisti suggerire di comprare soltanto dopo rotture di resistenze al rialzo: ne consegue che chi segue questo metodo non comprerà mai sui minimi ma anzi tenderà a entrare a prezzi comunque tesi, il che non è certo un bel cominciare, anche per via dei falsi segnali. In sostanza, credo che per la maggior parte degli investitori, tutto considerato, un tranquillo investimento in buoni titoli di Stato sia la ricetta più semplice e sicura e non necessariamente meno redditizia. A.Bassi - (via e-mail) - ------------- Risponde Marco Liera Lei ha fatto delle analisi sul comportamento dei mercati azionari e obbligazionari negli ultimi 12 anni, un periodo che può apparire lungo, ma che è assai poco significativo per trarre conclusioni. Pensi che neppure su statistiche di oltre due secoli come quelle di Jeremy Siegel, William Goetzmann e Roger Ibbotson è il caso di avanzare certezze assolute. Certo, l’osservazione di un campione statistico molto ampio aumenta le nostre conoscenze e quindi ci aiuta nelle nostre decisioni. Ma non ci fa conoscere in anticipo tutti gli eventi che ci aspettano, che potrebbero essere notevolmente diversi da quelli passati. Valga per tutti l’esistenza di un premio per il rischio (equity risk premium) implicito nell’investimento azionario, ampiamente provata per il Ventesimo secolo, ma che nessuno può oggi garantire per il Ventunesimo. Il fatto che negli ultimi 12 anni gli investimenti obbligazionari si siano rivelati nettamente vincenti su quelli azionari significa poco o nulla. Più in generale lei fa bene a evidenziare i rischi degli impieghi azionari, ma perché concludere che non valga mai la pena di correrli? Questo sarà vero per lei e per milioni di altri risparmiatori, ma ce ne sono molti altri che consapevolmente investono una quota dei loro risparmi sulle Borse e per lungo tempo ne hanno tratto grande beneficio in termini di maggiore efficienza del loro portafoglio. E fanno benissimo, se le loro caratteristiche e i loro obiettivi non sono nel frattempo cambiati, a mantenere una componente equity nei loro portafogli soprattutto dopo un ribasso medio della stessa del 50% dai massimi del 2007. Non me la sento poi di confermare la sua affermazione circa un presunto maggior peso della psicologia (o meglio, della componente emotiva) degli investitori sul mercato azionario rispetto a quello obbligazionario. vero che gli impieghi obbligazionari sono caratterizzati da una minore volatilità attesa rispetto a quelli azionari, ma questo è dovuto a un insieme di cause, alcune delle quali non sono state capite fino in fondo neppure da illustri accademici. Lei ha ragione quando afferma che sia i titoli di Stato sia le azioni sono esposti all’erosione dell’inflazione. Ma sta di fatto che su orizzonti di 20 anni e più non è mai successo che le azioni Usa ben diversificate non hanno dato un rendimento reale positivo. Gli attacchi dell’iperinflazione sono stati invece evidenti sugli impieghi obbligazionari, come è accaduto in Italia nei due Dopoguerra e negli anni 70. Un portafoglio di soli BoT e CcT è più esposto all’inflazione di uno composto all’80% da BoT e CcT e al 20% da un indice azionario. E poi lei tralascia di considerare quegli impieghi obbligazionari che da una decina d’anni a questa parte consentono di garantirsi un rendimento reale positivo, ossia i titoli di Stato e sovranazionali agganciati all’inflazione. Infine, il «buy and hold» di azioni è una strategia che non si adatta soltanto a Warren Buffett, ma richiede molta disciplina. E non è vero che l’analisi tecnica sia tutta da buttare. Soprattutto perché i migliori trader che la applicano non si illudono mai di poter indovinare i minimi dei mercati.