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 2009  maggio 28 Giovedì calendario

PAOLO BIONDANI PER L’ESPRESSO 28 MAGGIO 2009

La mafia è servita Estorsioni, lavoro nero, tangenti. Così la criminalità controlla l’agroalimentare. E i prezzi volano alle stelle

La mafia è in tavola, tra la verdura e la frutta. Il mercato agroalimentare italiano è strangolato da una catena di vincoli commerciali, squilibri economici e dazi illegali che danneggiano la massa dei piccoli produttori. Favorendo la nascita di nuovi sistemi, poco visibili ma molto insidiosi, di condizionamento mafioso.
Per misurare l’assurdità dei meccanismi di funzionamento di questo settore-vetrina del made in Italy, uno dei pochi che in teoria sarebbero in grado di resistere alla crisi, basta entrare in uno a caso dei grandi supermercati all’ingresso di Vittoria, capitale siciliana del pomodoro ciliegino (la versione senza marchio del più celebre Pachino). Sulla vaschetta-standard da mezzo chilo, l’etichetta documenta che il produttore è un agricoltore locale. Il contenitore in plastica con l’ortaggio fresco, però, risulta confezionato da un grossista di Fondi, in provincia di Latina. Per passare dai campi di Vittoria ai supermercati di Vittoria, insomma, questi pomodorini tondi hanno percorso un viaggio di andata e ritorno di 1.636 chilometri. Un nonsenso finanziario, ambientale ed energetico. Che però non sorprende gli addetti ai lavori, prime vittime di questa e altre distorsioni della filiera alimentare. Che spesso nascondono forme di parassitismo criminale, cresciute fra speculazioni affaristiche e corruzioni.
Per capire chi sta mettendo le mani nel piatto degli italiani, ’L’espresso’ ha ripercorso l’intero cammino degli ortaggi più venduti, dalla raccolta nelle campagne del Sud alla vendita finale negli ipermercati del Centro-nord. Scoprendo nuovi casi di infiltrazione mafiosa. Buchi e truffe nei controlli. Frodi all’ombra del clientelismo politico. E situazioni incontrollabili di rischio per l’ambiente e la salute.
La chimica in serra Per sei mesi all’anno, il primo anello della catena alimentare degli italiani sono gli ortaggi freschi coltivati in 4 mila ettari di serre tra Licata, Gela e Pachino. Oggi quei teloni di plastica alti tre metri coprono quasi tutta la piana fino al mare. Dentro non vola una mosca: le piante di pomodoro, selezionate fino a raggiungere una lunghezza di 14 metri, crescono attorcigliate come liane su filari asettici. Il verde è cosparso di polveri bianche: gli antiparassitari, che sfumano all’avvicinarsi del raccolto.
Al centro della rete produttiva c’è il mercato ortofrutticolo di Vittoria, che è il più grande del Sud: un alveare di box che nell’ultima annata agraria, chiusa al novembre 2008, ha smerciato 2 milioni e 441 mila quintali di verdura (e 144 mila di frutta). I soldi si fanno tra ottobre e maggio, quando il resto d’Europa è improduttivo. Pomodori e peperoni, melanzane e zucchine sono coltivati da 3.500 piccole imprese, che per la Sicilia sono una specie di Fiat. Un’agroindustria fondata sulla chimica.
"Se vogliono vendervi pomodori biologici in dicembre , significa che vi stanno truffando", riassume il responsabile tecnico di una delle maggiori imprese di Vittoria, che esporta ciliegini anche in Gran Bretagna per mezzo milione di euro al mese. "La nostra è una chimica sicura, se non controllassimo la scadenza di tutti pesticidi non potremmo vendere nei supermercati inglesi o tedeschi, che sono sorvegliatissimi". La prima lezione, dunque, è che il biologico vero è solo di stagione. La seconda è niente nomi: siamo in Sicilia. La terza è che in alcune serre modernissime (per ora, una su cento) le piante poggiano adddirittura su tappeti in fibra di cocco, che dosano i fertilizzanti "come in Olanda". La visione ha un che d’irreale: le radici ormai non toccano più il terreno salino che ha reso famoso nel mondo il sapore dei pomodorini siciliani. Ma per i professionisti dell’agroindustria, il sole senza plastica è una nostalgia fuori dal tempo. "Qui è tutto controllato, c’è molta più chimica sporca nelle colture all’aria aperta".
Un salariato ultrasessantenne taglia corto: "Io me li ricordo gli anni in cui mio padre proteggeva i pomodori dal vento con le pale dei fichi d’india. Allora la chimica non c’era e noi contadini pativamo la fame". soprattutto la massa dei produttori minori, quelli da un ettaro e mezzo di serre a testa, a scagliarsi contro i "troppi controlli e registri": "Le ispezioni sui pesticidi bisognerebbe farle nei supermercati, sugli ortaggi coltivati chissà come e dove". Gli agricoltori alludono così alle falsificazioni alimentari più pericolose: prodotti al veleno venduti nelle confezioni dei pomodori sani. Alla base di queste truffe di stampo mafioso c’è un’incapacità politica, nella migliore delle ipotesi, di controllare gli anelli più ricchi della catena alimentare.
La legge del più forte Al mercato di Vittoria i produttori scaricano le cassette e trattano con gli intermediari ogni pomeriggio, a partire dalle 16, in un fantastico caos di cifre, profumi, rumori e colori. I prezzi cambiano da un giorno all’altro. Nella seconda settimana di maggio un carico di ciliegini viene venduto a 1 euro e 60. Il 10 per cento tocca al commissionario, titolare del box, che in Sicilia paga anche i facchini e il primo imballaggio (ma a Milano no). Quindi il produttore incassa 1,44. "Quest’anno va bene", commenta l’agricoltore: "Nel maggio 2008 dovevamo accontentarci di 40 o 50 centesimi".
All’alba del giorno dopo, in un frastuono nervoso, i pomodori ripartono per Catania con un camion, che prosegue via nave per Napoli, da dove ritorna su strada, per arrivare al mercato ortofrutticolo (Mof) di Fondi, il più grande d’Italia. Qui la stessa ’pedana’, come conferma l’etichettatura, viene rivenduta dal grossista direttamente ai magazzini dei supermercati, chiamati ’piattaforme’: il prezzo sale a 2,40 e già comprende il confezionamento finale nelle vaschette da 500 grammi. Nei supermercati, sia a Roma che a Milano, il cliente paga 3,98 euro al chilo (1, 99 alla vaschetta, con punte superiori in un caso su sei). A conti fatti, la grande distribuzione incamera con un solo passaggio almeno il 40 per cento del valore: più del produttore e di tutta la sua manodopera.
Ma la vera sorpresa è un’altra. "Il prezzo cala solo per noi", spiegano a Vittoria e ripetono a Fondi. Vale a dire: da ottobre ad aprile il prezzo nei supermercati tende a restare implacabilmente fermo a quota 1,99 alla vaschetta. Il cliente paga questi 4 euro al chilo anche quando i produttori incassano solo 0,50. Se invece una gelata fa alzare i costi, il supermarket rincara. La ruota dei prezzi gira solo in una direzione.
Seguendo il viaggio di altri quattro carichi di ortaggi, da Vittoria a Fondi, fino ai centri commerciali di Roma e Milano (vedi tabella), si scoprono altre assurdità. Per i cetrioli raccolti in Sicilia il 7 maggio, l’agricoltore ha incassato appena 15 centesimi: meno di un decimo del valore finale (1 euro e 99) preteso dai due supermercati di Roma che hanno liquidato fatture di 0,30 al loro grossista laziale. Una parte del ricarico di spesa imposto ai consumatori ha giustificazioni opache se non inesistenti. Due dozzine di grossisti, sia a Fondi che a Vittoria, sostengono che sarebbe "normale" dover pagare "una percentuale ai buyers", cioè ai responsabili degli acquisti di alcune catene di supermercati. Una tangente privata, insomma, che in Italia non è reato. E che sarebbe cresciuta insieme all’avidità dei manager: "Dal 4 all’8 per cento". Per assicurare più trasparenza basterebbe varare, dopo tante leggi inutili, un’etichetta obbligatoria con il "prezzo all’origine", come chiedono i sindaci di Vittoria e Niscemi. Di certo la giungla dei listini favorisce non solo i rincari speculativi, ma anche le mediazioni illegali.
Violenze e minacce "Nel sud Italia migliaia di produttori agricoli sono soggetti a pressioni, minacce e soprusi realizzati dalla criminalità organizzata con furti di macchinari, abigeato, racket del pizzo, estorsioni indirette, imposizione di manodopera o guardiania, danneggiamenti alle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, truffe all’Unione europea, caporalato mafioso". Il magistrato Francesco Paolo Giordano riassume così, nella relazione 2008 della Direzione nazionale antimafia, i sistemi con cui "Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta controllano il settore agricolo". Negli ultimi anni "l’ingerenza mafiosa emerge anche nella fissazione dei prezzi sui mercati ortofrutticoli: quotazioni sui campi stracciate, listini all’ingrosso gonfiati da fortissimi e ingiustificati rincari".
Al parassitismo criminale si affianca così "una mafia che è impresa", scrive sempre la superprocura: "Nei mercati di Fondi, Vittoria e Niscemi si va affermando un nuovo modello di infiltrazione: l’estorsione indiretta". Agguati e attentati restano un mezzo estremo per imporre una normalità del pizzo, che ormai si riscuote privilegiando certe "imprese di trasporto", "cooperative di pulizia" o "ditte di imballaggi". E se le procure non provano che il beneficiario è "un imprenditore mafioso, prestanome, riciclatore, connivente o ricattato", il racket scompare. Resta solo la strana scelta, antieconomica ma in apparenza lecita, di pagare dieci centesimi in più per ogni cassetta. I magistrati sospettano che almeno una parte degli inutili esodi e controesodi dei pomodori tra Vittoria e Fondi nasconda "la necessità di riempire comunque i camion per finanziare il monopolio delle ditte di trasporti controllate dai casalesi".
La tappa finale è la gestione diretta dei supermercati. Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, disegna questo quadro: "Le indagini documentano il crescente interesse di Cosa Nostra a infiltrarsi nella grande distribuzione e in particolare nel settore agroalimentare. Da anni le infiltrazioni si realizzano attraverso il controllo mafioso di imprese che gestiscono attività economiche in apparenza lecite".
Dove comandano i clan A Vittoria, dopo gli arresti che hanno colpito i trasportatori di Cosa nostra, i clan gelesi sembrano inabissati. Ma bastano 30 chilometri per sentire un’altra aria. Niscemi è la capitale del carciofo. Qui per sei mesi si raccoglie un terzo di tutta la produzione italiana, eppure nel mercato, inaugurato nel 2006, funzionano solo tre box. Il Comune è reduce da due scioglimenti per mafia. Dal 2007, sull’onda di Gela, c’è un sindaco di sinistra, Giovanni Di Martino, 48 anni, che non nega il problema: "Purtroppo viviamo in un contesto ad alta infiltrazione mafiosa. Ma i produttori subiscono anche strozzature economiche. La distribuzione è nelle mani di pochi grandi intermediari, mentre la proprietà agricola è polverizzata. Se non riusciamo ad associarci e presentarci all’estero con un marchio di qualità, siamo perduti". Maggio è il mese dei carciofini destinati all’industria (surgelati o sott’olio), ma non si vedono contadini nei campi attorno a questo povero paese con le cisterne sui tetti. Al mercato c’è un solo produttore, Saverio Di Simone, a trattare il prezzo: "Sette centesimi a carciofo. Io non ce la faccio più. Così sopravvivono solo i contadini dell’Egitto o del Marocco".
A Fondi comanda la camorra. Domenica notte il settimo attentato in due mesi (capannoni incendiati, spari contro ditte e negozi) ha spinto il titolare della Cobal ad annunciare: "Basta, ora me ne vado". Per Elvio Di Cesare, anima dell’antimafia laziale con l’associazione Caponnetto, "la situazione è inquietante: dopo gli arresti dei capi, i clan casertani sembrano decisi a imporre con la violenza nuovi equilibri. E i grossisti sono le prime vittime".
Il prefetto di Latina ha chiesto fin dall’8 settembre il commissariamento per mafia del Comune di Fondi, guidato da una giunta forzista vicinissima al senatore Fazzone. Il 2 aprile il ministro leghista Maroni ha annunciato in Parlamento di aver sottoscritto il decreto. "Manca solo la delibera del Consiglio del ministri: è uno scandalo che Berlusconi tenga in carica un’amministrazione infiltrata dalla camorra", tuona Di Cesare. L’opposizione teme che lo scioglimento slitti a dopo le elezioni, quando il sindaco di Fondi potrà riciclarsi in Provincia. Al Mof i grossisti, che smerciano 12 milioni di quintali all’anno, si sentono criminalizzati e giurano di non pagare il pizzo. Ma l’attentato al collega ha spaventato anche i più forti.
’Ndrangheta a Milano Mafia e incendi però non fermano gli affari. Da Fondi un carico di ciliegini parte puntualmente per l’Ortomercato di Milano. Il presidente della società comunale di gestione (Sogemi), Roberto Predolin, ex assessore di An, ammette che "questo mercato è in crisi da anni: la grande distribuzione ci sta distruggendo, il nuovo polo logistico serve ma non basta". Nei vecchi padiglioni resistono 125 grossisti che riforniscono i negozi e gli ambulanti dei 93 mercati settimanali. I supermercati ormai comprano al Sud, l’Ortomercato serve solo a completare i magazzini. Ma il prezzo più basso coincide con la filiera più corta. All’Ortomercato, al sabato mattina, circa 10 mila consumatori italiani e stranieri, in una babele di lingue, dialetti, veli e carrelli, possono comprare frutta e verdura all’ingrosso. Una cassa di ciliegini? "Un euro e 80 al chilo".
Vent’anni fa l’Ortomercato era infiltrato dai narcofinanzieri di Cosa nostra. Nel 2007 nel palazzo della Sogemi è stato arrestato un presunto prestanome del clan calabrese dei Morabito. Due mesi fa la Procura ha smascherato l’ennesima cosca della ’ndrangheta, che schiavizzava i facchini di un’enorme piattaforma milanese della grande distribuzione. Particolare istruttivo: i boss facevano lavorare in nero per i supermercati decine di immigrati, facilmente ricattabili perché clandestini, che risultano sbarcati in Italia proprio sulle coste calabresi controllate da quei clan. Ora, tra Milano e Busto, le cosche gelesi e la cupola della ’ndrangheta stanno già prenotandosi, tra omicidi ed estorsioni, per gli appalti miliardari dell’Expo. I politici che governano l’ex capitale morale sono contrari a qualsiasi commissione antimafia. Nella Milano di oggi la prima preoccupazione è spartirsi affari e poltrone della grande kermesse del 2015, che avrà un tema sconosciuto ai più: ’Qualità e sicurezza alimentare’.