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 2009  maggio 16 Sabato calendario

«Lo potrei definire un tempio laico». Renzo Piano passeggia nella Modern Wing, il nuovo edificio dell´Art Institute of Chicago che «ancora per poche ore è la mia creatura ma che ora mi porteranno via»

«Lo potrei definire un tempio laico». Renzo Piano passeggia nella Modern Wing, il nuovo edificio dell´Art Institute of Chicago che «ancora per poche ore è la mia creatura ma che ora mi porteranno via». Una straordinaria opera da 400 milioni di dollari che l´architetto italiano ha iniziato a progettare dieci anni fa e che questa mattina, dopo quattro anni di lavori e 8.500 disegni, «ci pensi, sono come otto enormi dizionari», verrà inaugurato in pompa magna. «Io sono attirato dagli edifici pubblici, perché quando si svolge bene il proprio lavoro aiutano a tenere la barbarie fuori dalle città. Una delle ragioni per cui sono felice quando lavoro in America è perché l´America riconosce i valori umanistici della città. Oggi è Chicago, che non a caso è la città di Obama. La città è un´invenzione meravigliosa, se viene intesa come civitas, civiltà. E questi valori l´America li va a cercare da noi, in Europa. Non è un riconoscimento a una singola persona ma a un approccio culturale, a un atteggiamento nei confronti della città». Piano spiega la sua nuova struttura (acciaio, vetro, pietra calcare dell´Indiana), la copertura "a tappeto volante" con le sue lame modellate in alluminio e il sistema automatico di oscuramento, «un grande otturatore che serve per filtrare la luce». Un sofisticato congegno che fa sì che le opere degli artisti (l´Art Institute è il secondo museo americano dopo il Metropolitan di New York ed ha una straordinaria collezione di arte moderna e contemporanea) si possano ammirare alla perfezione. «Un edificio per l´arte gioca, flirta, gode con la luce. Luce che prende di giorno dall´esterno e che restituisce di notte all´esterno, come una sorta di lanterna magica. Questo è un edificio che dialoga con la città. Da queste stanze vediamo i grattacieli, il parco. Anzi quando incontrerò Richard Daley (il sindaco di Chicago, ndr) insisterò per fare mettere qui davanti un semaforo. Lui non vuole perché ha paura che fermi il traffico, ma voglio dimostrargli che non è vero». Visto che il semaforo non l´aveva ottenuto Piano il "dialogo con la città" lo ha creato con il Nichols Bridgeway, un ponte pedonale che con i suoi 190 metri collega il museo a Millenium Park e al Pavillon & Walking Bridge di un altro grande architetto, Frank Gehry. «Sono dieci anni che ci facciamo degli scherzi, io gli dico che l´ho fatto così per vedere lui, altrimenti non lo vede nessuno. Tra le nostre due opere c´è un dialogo, in tutti e due ci sono elementi leggeri, quello che lui ha fatto lì col suono io l´ho fatto per l´aspetto visivo. Il suo ponte è bellissimo però gli ho detto: "Frank, il tuo non va da nessuna parte, il mio invece ti raggiunge"». A Chicago l´architetto italiano ha lavorato bene e volentieri, perché qui esiste quel "civic pride", l´orgoglio civico «di una città che nel 1871 è stata rasa al suolo dal famoso incendio e vent´anni dopo il primo edificio pubblico che viene costruito, con i soldi dei privati, è un palazzo classico, l´Art Institute. E adesso, 130 dopo, il "civic pride" porta questa città allo stesso gesto, un´opera da 400 milioni di dollari tutta pagata dai privati. Questa volta non un palazzo classico ma quello che è stato definito un tempio di luce». Piano continua a camminare all´interno della sua "creatura". Scherza con il proprietario del ristorante perché lo ha chiamato "Terzo Piano" (il piano dove si trova all´interno del museo), continua a parlare di arte, letteratura, dell´America che ha imparato ad amare con Jack Kerouac e la musica di John Cage, «dell´originalità di Chicago», della «leggerezza che è la sua cifra espressiva». «La teoria che i musei devono essere scatole vuote, isolate, fuori dal mondo, è una teoria cretina», dice. All´inaugurazione osserverà di nascosto le reazioni della gente. «Me lo ha insegnato Roberto Rossellini quando girava un documentario: non guardare l´edificio, guarda in faccia quelli che lo girano».